Temperature record nel Mediterraneo con una punta di 29 gradi. Rispetto al picco europeo del 2003, il termometro segna cinque punti in più. E il livello è cresciuto di 20 centimetri in 138 anni

Il tracciato pare quello di un elettrocardiogramma che sembra molto regolare, se non fosse che i picchi sono sempre un po’ più alti. Il grafico si compone instancabilmente dal 1910 dentro una casupola con le inferriate alle finestre, costruita sul ciglio di un molo del Porto Antico di Genova che verso la fine del secolo scorso è diventato un quartiere residenziale con posto barca sotto casa. Vista da qui, da Ponte Morosini, Genova sembra una minuscola Venezia con i suoi canali stretti. Proprio su uno di questi, tra il dehors di un bar e le vetrine di un parrucchiere si affaccia la piccola costruzione che da qualche anno è anche meta turistica segnalata con tanto di cartelli didascalici. Perché questo è il luogo in cui si custodiva la pietra miliare dell’altitudine. Quella che a partire dal 1954 servì a indicare per convenzione il “livello zero” da cui misurare con buona approssimazione l’altezza di montagne, colline e altri rilievi naturali dell’Italia continentale.

La prima misurazione, eseguita su un altro molo non distante da qui dall’Istituto idrografico della Marina tuttora titolare dei rilevamenti, risale addirittura al 1884, quando un mareografo in ottone di tipo Thomson cominciò a registrare meccanicamente con galleggiante, pennino e rulli di carta bianca, le variazioni del livello del mare.

Lo stesso mare che quest’estate ha toccato una temperatura senza precedenti da queste parti: 29 gradi, registrati il 13 luglio scorso dai termometri sistemati dall’Arpal ligure a Punta Chiappa, tra Camogli e Portofino. Temperatura forse piacevole per il bagno, ma disastrosa in prospettiva per l’andamento climatico.

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Non va meglio nel resto del Mediterraneo, come dimostrano i rilevamenti del sistema satellitare Medfs, gestito dalla Fondazione centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), nata nel 2005 con il supporto finanziario del ministero dell’Istruzione e di quello dell’Ambiente: il Mare Nostrum è bollente un po’ ovunque: si avvicina ai 28 gradi in Toscana, a Napoli, nella costa settentrionale della Sicilia, nel nord dell’Adriatico. La rappresentazione grafica della situazione, a tinte di fuoco e liberamente consultabile sul sito del Medfs, è davvero inquietante.

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La Fondazione aveva peraltro già segnalato che questo sarebbe stato un anno speciale per il mare, proprio come nel 2003, l’anno del caldo record in tutta Europa: nel giugno scorso infatti sia nel Mar Ligure che nel Golfo di Taranto le temperature dell’acqua erano superiori di cinque gradi rispetto ai circa 23 mediamente accertati in quel periodo dell’anno.

Il primo effetto del surriscaldamento del mare è inevitabilmente l’aumento del suo livello, sia per effetto della dilatazione dell’acqua sia per lo scioglimento dei ghiacci. Fenomeni ormai drammaticamente dimostrati e che procedono con un ritmo di crescita mai registrato prima.

Il primo dato da prendere in considerazione è il livello medio: dal giorno della misurazione di 138 anni fa a oggi è aumentato di oltre 20 centimetri, secondo i rilevamenti storici genovesi.

In sostanza, ragionando per assurdo, se oggi si utilizzassero gli stessi strumenti e lo stesso metodo di calcolo la vetta del Monte Bianco non sarebbe più a 4.810 meri di altitudine come ci insegnavano a scuola un bel po’ di anni fa, ma a 4.809,80. Certo, sarebbe comunque sbagliato perché lo spessore della calotta ghiacciata in vetta è mutevole come le maree del Mediterraneo, ma anche perché secondo l’ultima misurazione ufficiale eseguita nel 2017 con un complesso sistema di rilevamento satellitare il Bianco risulta alto 4.807,81 metri.

Per tornare dai monti al mare, l’altro elemento da tenere in considerazione è la nuova tendenza. Dal 2010 le misurazioni idrografiche ufficiali sono cambiate radicalmente e il vecchio mareografo di Genova - prima affiancato da altri strumenti e poi, nel 2012, sostituito da un’apparecchiatura digitale - non segna più il “livello zero” da cui calcolare ufficialmente tutto ciò che va verso l’alto nella Penisola. I rilevamenti sono affidati a una rete di 36 stazioni uniformemente distribuite lungo le coste italiane che si avvale di sensori radar di precisione millimetrica e di altri sistemi sofisticati.

La rete fa capo all’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca Ambientale, ente pubblico che dipende dal ministero della Transizione Ecologica. L’istituto ha un ruolo molto importante nella valutazione dei cambiamenti climatici: elabora annualmente e rende disponibili le statistiche e gli indicatori del clima italiano; stima le tendenze delle emissioni di gas serra in funzione delle politiche in atto oppure soltanto previste; tiene l’inventario delle emissioni per verificare il rispetto degli impegni che l’Italia ha preso a livello internazionale.

E sul sito web dell’Istituto tutti possono intuire a colpo d’occhio, grazie a grafici e istogrammi aggiornati quasi in tempo reale, che nel volgere di una decina d’anni la tendenza è cambiata molto rapidamente, confermando le diverse analisi della più lunga serie storica di rilevamenti disponibile in Italia, quella genovese appunto. In base a uno studio firmato da Maurizio Demarte e pubblicato dall’Istituto idrografico della Marina, l’aumento del livello medio del mare tra il 1884 e il 2006 era stato di 1,1 millimetri l’anno. L’esame dei dati raccolti sempre a Ponte Morosini dal 1999 al 2015 ha invece evidenziato che il valore tendenziale è quasi triplicato, ossia 3,2 millimetri l’anno.

Dato confermato da Fabrizio Antonioli, ricercatore del Cnr che da molti anni studia il livello del mare e che, tra l’altro, è autore con Thalassia Giaccone, geologa e subacquea, di un docufilm di successo dedicato ai rischi dell’innalzamento delle acque dal titolo quasi profetico: “2100”.

«Sì, la tendenza è quella a livello globale ma nel Mediterraneo è leggermente inferiore perché per nostra fortuna il mare ha una forte evapotraspirazione e i fiumi, soprattutto il Nilo dopo gli anni Sessanta, apportano una quantità d’acqua minore. Quindi ora c’è una sorta di scalino a Gibilterra, dove il Mediterraneo risulta di 15-20 cm più basso dell’Oceano Atlantico. A livello locale vuol dire poco. Però i mareografi di Genova e Marsiglia, in funzione da un periodo di tempo più lungo di tutti gli altri, danno una certezza: negli ultimi 100 anni il mare si è sollevato di 13,5 centimetri. Il divario è maggiore a Venezia dove invece nello stesso periodo temporale il livello è salito di 24 centimetri perché in Laguna l’acqua sale e contemporaneamente la città sprofonda», spiega il professore Antonioli.

Ma se i 20 centimetri di dislivello rilevati in 138 anni a Genova possono sembrare pochi, è la prospettiva che deve preoccupare. La Nasa, utilizzando i dati dell’Ippc (istituzione del’Onu per la valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici) ha messo in rete una sorta di Google Maps delle zone a rischio inondazione.

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Basta cliccare sul pallino di una qualunque città costiera nel mondo per scoprire di quanto si potrebbe alzare il livello del mare da qui al 2100, cioè tra 78 anni, che a ben pensarci non sono poi così tanti. Ecco, cliccando per esempio su Genova, Napoli e Palermo si può vedere che, salvo ravvedimenti da parte dell’umanità, il mare sarà 61 centimetri sopra la quota attuale, a Trieste 58, a Cagliari 68. Chi è facilmente impressionabile eviti invece di cercare le proiezioni per il 2150: perché, tanto per citare il caso più spaventoso, si prevede che il livello dell’Adriatico a Venezia possa crescere addirittura di quasi due metri (1,94 per l’esattezza). È vero che il Mose è progettato per arginare maree fino a 3 metri, ma ammesso che esisterà ancora tra 78 anni, le sue barriere dovrebbero restare sempre alzate. Calcoli scientifici inquietanti che confermano peraltro le proiezioni elaborate nel 2017 dall’Enea (ente pubblico di ricerca per le nuove tecnologie e lo sviluppo sostenibile), in collaborazione con 10 università.

«Lo studio riguarda una ventina di località italiane dove la pianura costiera si trova già appena un metro sopra il livello del mare o addirittura sotto di 0,5. Le nostre proiezioni, che partivano dai dati di Ippc leggermente rivalutati per il Mediterraneo e dai movimenti della Terra, ipotizzano per queste le località prese in esame uno scenario da qui al 2100, in assenza di interventi come la costruzione di dighe o di centrali che aspirano l’acqua, peraltro molto costose. Per dirla in breve, secondo il nostro studio gli incrementi del livello del mare potrebbero essere in queste zone tra gli 80 e i 130 centimetri. Gli effetti? Per esempio, nelle saline di Marsala le acque salirebbero di 1 metro e 3 centimetri, cioè quel luogo non sarebbe più una laguna, ma sarebbe mare aperto e avremmo perso definitivamente una delle zone di biodiversità più importanti del Mediterraneo», spiega Antonioli, che all’epoca faceva parte del gruppo di ricerca dell’Enea .

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Lo stesso studio era stato rielaborato nel 2019 a uso di Confcommercio che dall’Enea voleva sapere come progettare una serie di porti che fossero sicuri almeno per i successivi 50 anni.

Racconta Antonioli: «In pratica le altezze delle strutture portuali dal pelo dell’acqua calcolate dagli ingegneri progettisti dovevano essere aumentate di 2 e in alcuni casi addirittura di 3 metri. Per i calcoli abbiamo tenuto conto anche di situazioni di ulteriore rischio in momenti particolarmente sfortunati, come il devastante evento meteorologico che nel 2018 ha distrutto il porto di Rapallo. Lì si era verificato un concorso di cause: bassa pressione, quindi il mare un po’ più alto, e poi vento forte da Sud che aumentava la potenza del moto ondoso». Evento estremo, certo, ma ormai sempre più probabile.