Un anno dopo l’uscita negli Usa del suo capolavoro, il libro più tradotto con la Bibbia e il Corano, lo scrittore e aviatore soggiornava vicino Capo Caccia, di fronte al museo che oggi ne celebra il genio

E magari ripensava ai suoi mille atterraggi di fortuna. Come quella volta che precipitò nella foresta tropicale mentre era diretto alla Terra del Fuoco. O quando si schiantò nel deserto libico durante un tentativo di raid da Parigi a Saigon: correva il 30 dicembre del 1935, a salvarlo furono un beduino e i mezzi dell’Aeronautica italiana.

 

Ad Alghero, Antoine de Saint-Exupéry aveva trovato un orizzonte degno della sua fame insaziabile di libertà. Ogni tanto si metteva a scrutare le stelle che si specchiano in quel mare estatico. Ma il mondo bruciava, e lo richiamava all’ordine. Del resto non gli era mai piaciuto indugiare troppo a lungo a terra. Il suo posto era in cielo. E saliva nella cabina del suo fulmineo Lightning P38. Operazioni perlustrative, le sue: non mitragliatrici, ma ricognizioni al servizio delle forze alleate americane dislocate nella base militare di Fertilia. Il compito era di localizzare e fotografare gli avamposti tedeschi. La Seconda guerra mondiale stava virando verso il suo colpo di coda. In Sardegna, nella città del corallo, il grande poeta-aviatore era arrivato il 10 maggio del 1944. Qui aveva festeggiato, virtualmente, il suo compleanno: vagava a migliaia di piedi d’altezza quel 29 giugno, sorvolando le Alpi.

[[ge:rep-locali:espresso:356500878]]

I nazisti lo avevano intercettato ma era riuscito a sfuggire tra le fidate nuvole, immergendosi «in quella profonda meditazione del volo, nella quale si assapora una inesplicabile speranza». Non sapeva che l’appuntamento col destino sarebbe stato solo rinviato: per l’uomo che aveva «fatto della sua vita un sogno, e di un sogno la realtà» si aprivano, infatti, le ultime settimane su questo strano pianeta. Nella “piccola Barcellona”, paradiso turistico a venire, Saint-Exupéry soggiornava in una villetta che oggi non c’è più, nella baia di Porto Conte.

 

Era pur sempre estate: quando non decollava suonava il violino, si cimentava a scacchi, andava in barca, deliziava i commilitoni con giochi di prestigio e i ricordi picareschi del Sud America e della Guerra civile spagnola. E continuava a scrivere: concluse il romanzo “La cittadella”, compose il suo testo giocoforza testamentario “Lettera a un americano”. Con lui, inseparabile, l’amico John Phillips, fotoreporter di “Life”. Sono sue le straordinarie immagini finali dell’autore di Le petit prince, con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, più ironica che eroica, da adulto mai disincantato.

 

“Il piccolo principe”, il suo capolavoro metaforico, il libro più tradotto nella storia con La Bibbia e il Corano, era già uscito negli Stati Uniti l’anno precedente (in Italia sarebbe sbarcato nel 1949). 14 luglio 1944: piomba la consegna di partire per la Corsica. 18 luglio: Antoine è a Bastia. 31 luglio: lo scrittore francese stacca l’ombra dal suolo senza più un ritorno. È il suo viaggio di addio. Si fa per dire, lo leggeremo per millenni. L’aveva presagito: «Ho detto ieri al tenente Gavoille: “Ne riparleremo dopo la guerra”. E il tenente Gavoille mi ha risposto: “Non pretenderà di essere ancora vivo dopo la guerra, capitano!”». Era nato a Lione nel rotondo 1900, di origini aristocratiche, all’alba pionieristica del secolo dell’aviazione e della narrativa moderna.

[[ge:rep-locali:espresso:356500876]]

Dal 2019 ad Alghero, all’interno dell’area marina protetta Capo Caccia e di una torre costiera eretta dagli aragonesi nel 1572, è visitabile il Mase (Museo Antoine de Saint-Exupéry). Il panorama è magico, a perdita d’occhio, perfetto per il suo intestatario ideale che abitò, in quei due mesi e mezzo, proprio lì di fronte. Aperture estive dal martedì alla domenica. Il suo direttore artistico è Massimiliano Fois, storico e artefice del saggio “Pizzicaluna a L’alguer”, incentrato proprio su questa sua misconosciuta stagione terminale algherese.

 

Un altro libro molto interessante sul tema è “Il piccolo principe dall’isola alle stelle” di Luciano Deriu. Più in generale, è imperdibile “Saint-Exupéry. A biography” del premio Pulitzer Stacy Schiff. Al Mase troverete cimeli d’antan, documenti rari, opere d’arte, installazioni, i ritratti fotografici di Phillips e tutte le prime edizioni dei suoi libri. Da “Corriere del sud” (1928) a “Pilota di guerra” (1952), passando per “Volo di notte” (1929), il bestseller istantaneo “Terra degli uomini” (1939) e tante altre pagine memorabili postume. “Le petit prince” ha venduto sì più di duecento milioni di copie, ma la statura di un gigante della Via Lattea della letteratura non si esaurisce nella sua intramontabile favola allegorica dalle molteplici chiavi di lettura, valida per qualsiasi classe anagrafica e generazione di passaggio. Né basta la dimensione letteraria a restituirne la complessità biografica: pilota militare dopo la Grande Guerra e poi civile per linee di migliaia di chilometri come la mitica Aeropostale Argentina-Francia, aveva desiderato fin da ragazzino di trasvolare continenti e oceani, pampas e rarefazioni d’Africa, nell’azzurro infinito striato di semplice fato.

[[ge:rep-locali:espresso:356500877]]

Da lassù il nostro mondo riguadagnava le sue debite proporzioni: «Le civiltà sono soltanto fragili dorature: basta un vulcano a cancellarle, un nuovo mare, un vento di sabbia». Senza perdere, tuttavia, un grammo della sua congenita magnificenza: «Sotto l’aeroplano, le colline scavavano già il loro solco d’ombra nell’oro della sera. Le pianure si facevano luminose, ma di una inconsumabile luce: in quelle regioni esse non finiscono mai di restituire il loro oro, così come dopo l’inverno non finiscono mai di restituire la loro neve».

 

La voce, lo sguardo degli angeli. Come è dura, ma pura, l’avventura. Imperversano i terribili anni Trenta del Novecento e Antoine de Saint-Exupéry si libra più in alto che può: ormai scarseggiano le riserve democratiche e morali d’ossigeno nella vecchia Europa. Anzi, sono agli sgoccioli. Meglio rischiare la pelle in quote vertiginose, «spinto verso quella vita forte che porta con sé sofferenze e gioie, ma che, sola, conta qualche cosa».

[[ge:rep-locali:espresso:356500879]]

Ogni tanto riatterra anche per amore di Consuelo, sua moglie, un’artista salvadoregna del giro dei surrealisti con cui si moltiplicano le turbolenze. Non disdegna il giornalismo, collabora con Paris-Soir. Scoppia il nuovo conflitto planetario: cerca di darsi da fare coi galloni di capitano di complemento, vorrebbe governare una squadriglia di caccia ma l’Armée de l’Air lo confina in una di ricognizione. La carta di identità non è più verdissima per il tempo.

 

Il maresciallo Pètain si inginocchia a Hitler, il regime collaborazionista infesta la culla della rivoluzione e lui prova ancora a onorare la patria. Scampa a un nuovo sinistro volante e nel 1942 ripara a New York, dove va a vivere, insieme a Consuelo, in un appartamento appartenuto a Greta Garbo. Ma non si dà pace. Lo avvistano in Québec. Per gli statunitensi, la sua fede gollista è incrollabile e lo adottano a differenza del governo canadese. Riappare all’improvviso sui radar europei: gli affidano incarichi strategici, ma secondari, nel cuore del Mediterraneo.

 

L’epilogo è noto. Per decenni la sua morte sarà ammantata di mistero e di una malsana aura romantica: e se fosse stata una messinscena, un formidabile capitolo extra? Un pescatore francese trova tra le sue reti un braccialetto d’argento con inciso “Antoine”. Glielo aveva regalato la moglie. Quando riaffiora a galla il relitto del velivolo, il pilota della Luftwaffe che l’aveva abbattuto confessa la sua ammirazione postuma: aveva letto quasi tutti i suoi libri, tranne “Il piccolo principe”. «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».

 

«È incerto se Saint-Exupéry volasse per scrivere o scrivesse per volare», ha osservato da par suo Umberto Eco nella prefazione al fumetto che un altro prodigio dell’immaginazione, Hugo Pratt, gli ha dedicato nel 2009. E non tutte le rielaborazioni in materia sono uguali: è ben diversa la sua visione da quella, per esempio, di Marlowe di tre secoli e mezzo prima. Il suo Faustus non parlava certo al cuore latente dell’umanità, ma alla nostra inconfessabile hybris. Scorrazzante nell’aria, trainato da draghi svolazzanti e scintillanti di fuoco, riassumeva in questi termini la superficie terrestre sbirciata dalle sommità celesti: è «più piccola della mia mano».

 

Antoine de Saint-Exupéry ha inseguito un’aerodinamica di fraternità e amicizia universale. Il candore e lo stupore da preservare, «tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano». Una rotta fuori dalle sfere tragiche della sua epoca. La febbre della carlinga, della fusoliera, del motore; il cadere e il rialzarsi sulle piume di metallo della fantasia. Ogni volta che ascendeva in cielo diventava un po’ più immortale. «Bisognerebbe lavorare più che per sé stessi, per l’eternità», affermò tra l’altro. E magari ripensò alle onde di Alghero, alla sua esistenza incredibile e poco importava che fosse il suo ultimo volo a occhi aperti. «Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua».