Le leggi su ius scholae e contrasto all’omotransfobia continuano a essere rinviate o ignorate dall’Aula. Così sono i primi cittadini a cercare di fornire risposte con vari metodi: cittadinanze onorarie, sanzioni comunali per gli atti discriminatori, registri

Ogni volta che in Parlamento si parla di diritti, il copione si ripete: emergono sempre le stesse divisioni, con destra e leghisti arroccati, poi si inneggia al compromesso, quindi si getta la spugna. Perché non è mai il momento buono per parlarne, come ricordava un parlamentare, auspicando l’ennesimo rinvio. C’è sempre dell’altro a dettare le urgenze, ci sono questioni sempre impellenti che suggeriscono di posticipare all’infinito soluzioni. E mentre il Paese reale si arena, rimanendo lontano dagli standard europei, cresce il divario tra cittadini e istituzioni di cui la politica, in un curioso cortocircuito, per prima si lamenta e per di più invocando principi di coesione nazionale. 

 

A cercare di accorciare le distanze ci provano gli amministratori locali che si ingegnano nel trovare soluzioni a quel che i diritti rappresentano: ossia bisogni reali, quotidiani, insoddisfatti e vissuti come profonde ingiustizie. Più vicini fisicamente al territorio, i sindaci ne raccolgono le istanze, ne respirano gli umori, scontano la disaffezione alla politica che è figlia di aspettative deluse e diritti negati. Da nord a sud, i primi cittadini sembrano marciare decisamente più veloci delle Camere. Complici indirizzi di governo più pratici e meno vincolati alle alchimie di tenuta delle maggioranze nazionali.

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Lo fanno sullo ius scholae provando a dare certezza alle legittime attese degli studenti che frequentano le nostre scuole, eppure bollati come stranieri. Sono più di 900 mila le ragazze e i ragazzi che con l’affermazione del principio dello ius scholae si vedrebbero riconosciuta la cittadinanza italiana. Una ovvietà dettata dall’urgenza della realtà ma diventata materia di un dibattito strumentale e ideologico che nasconde il non detto di una serpeggiante xenofobia di marca razzista.

 

Così Bologna, ancora una volta, nell’inerzia dei Palazzi romani, diventa punto di riferimento. Lo dice il sindaco Matteo Lepore quando annuncia la sua piccola rivoluzione cittadina: «È un voto storico quello che ha introdotto il principio dello Ius Soli nello statuto del Comune di Bologna, è la prima volta che accade in Italia e siamo contenti che abbia fatto da apripista: tanti sono infatti i Comuni che ci stanno chiedendo informazioni per replicare il nostro provvedimento. Ma la cosa che conta di più è che da oggi chi nasce o studia a Bologna potrà essere cittadino onorario bolognese. Dalle città può nascere un tempo nuovo, che spinga il Parlamento ad approvare riforme per i diritti, per la vita delle persone, per il loro futuro e una reale piena cittadinanza senza ipocrisie».

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E dai sindaci arrivano risposte indirette anche sul versante dell’omofobia, di fronte al clima d’odio che spesso degenera in violenza con cui le realtà locali fanno i conti quotidianamente. Naufragato a ottobre il disegno di legge Zan, il cui affossamento è stato salutato dagli applausi del centrodestra, sono ancora le amministrazioni a escogitare soluzioni, in assenza di un quadro normativo che inequivocabilmente fissi la discriminazione sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità come un reato peculiare, punibile con la reclusione fino a 4 anni.

 

Del resto la fotografia di quel che è accaduto lo raccontano i cartelli comparsi al Pride di Milano con una sintesi estrema quanto efficace: «Voi esultate, noi moriamo». E proprio durante il Pride, il sindaco di Milano Beppe Sala ha annunciato che il capoluogo meneghino tornerà a riconoscere come figli di entrambi i genitori le bambine e i bambini nati all’interno da una famiglia omogenitoriale. Un atto politico, certo, ma anche con ricadute pratiche immediate. Spiega Gaia Romani, assessora dem ai Servizi civici e generali di Palazzo Marino: «Coerentemente con il percorso importante che stiamo portando avanti sul fronte dei diritti, insieme all’assessore al Welfare e diritti Lamberto Bertolé, abbiamo voluto adottare un atto fondamentale soprattutto per i suoi effetti concreti sulla vita di tante persone. In un quadro normativo che continua a rimanere incerto, lasciando nel limbo tante famiglie, con le sofferenze che ne conseguono per loro e i propri figli, ci siamo detti che non si poteva più attendere. Un Paese, che voglia definirsi civile, non può ignorare queste battaglie. Battaglie alle quali noi, come amministratori locali e quindi primi presidi per la cittadinanza, non potevamo più sottrarci. Ciò che ci auguriamo adesso, infatti, è che quanto fatto da Milano sia uno sprone per il Parlamento, affinché si decida a legiferare al più presto».

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Anche in questo campo, infatti, manca una legge a livello nazionale e molti Comuni, come Napoli, Torino e Roma già da qualche anno hanno smesso di riconoscere i figli dei genitori omosessuali. Decisiva per la marcia indietro la sentenza numero 12193 del 2019 della Cassazione a sezioni unite che ritenne non trascrivibile sul certificato di nascita italiano lo status genitoriale di uno dei due papà di un bambino nato all’estero.

 

Chi invece non ha mai smesso di riconoscere l’omogenitorialità è il sindaco di Siracusa Francesco Italia, di Azione: «In attesa che il Parlamento italiano dia finalmente la tutela che meritano alle famiglie omogenitoriali, fin dal 2020, abbiamo scelto di tutelare i diritti loro e dei loro figli in coerenza con l’art 3 della Costituzione. Basta guardare negli occhi queste famiglie per comprendere quanto un piccolo gesto di alcuni sindaci possa trasformare le loro vite». A Siracusa sono già sei i riconoscimenti effettuati.


E a spingere sull’acceleratore dei sindaci è anche il partito Gay Lgbt+, solidale, ambientalista, liberale che propone l’approvazione di delibere comunali che puniscano gli episodi di omolesbobitransfobia, prevedendo multe da 500 euro destinate alla costituzione di un fondo per la prevenzione della discriminazione oltre a istituire, come prevedeva il ddl Zan, la giornata contro l’omobitransfobia per il 17 maggio. «Stiamo invitando i sindaci ad agire in particolare nelle grandi città come Milano, Napoli, Torino, Roma e Bari dove ci sono maggioranze in teoria progressiste che dovrebbero essere a favore dei diritti per le persone Lgbt+ ed in casi come questi dare segnali concreti e non solo solidarietà», sottolinea il portavoce Fabrizio Marrazzo. «La nostra delibera sui recenti casi avvenuti a Napoli e Bari, ad esempio, avrebbe già imposto in capo agli aggressori identificati una sanzione amministrativa di 500 euro a testa, considerando l’impossibilità di applicare aggravanti alle sanzioni penali perché non c’è una legge nazionale che le preveda. E questa sanzione comunale è applicabile anche alle discriminazioni e offese online verso le persone Lgbt+, permettendo ai Comuni di avere a disposizione, solo guardando alle offese pubblicate via social nelle grandi città, migliaia di euro per fare azioni di informazione e sensibilizzazione contro l’omolesbobitransfobia», conclude Marrazzo.

 

Due giovani romani, entrambi ventenni, sono stati insultati e aggrediti alle 4 del mattino del 2 luglio dopo aver partecipato al Pride di Napoli, mentre a Bari, il 3 luglio, all’indomani del Pride, la furia omofoba si è abbattuta su un gruppo di ragazzi aggrediti e malmenati. Uno di loro, che si definisce non binary, è stato colpito con una pietra. E gli aggressori sono al momento a piede libero, sebbene sia alta la fiducia sulla possibilità che vengano identificati.

 

L’idea di una stretta sanzionatoria a livello locale sta lentamente guadagnando adesioni. Sono già otto i Comuni che hanno manifestato l’intenzione di deliberare su quanto proposto dal partito Gay Lgbtq+, solidale, ambientalista, liberale: Morterone (Lecco), Cancellara (Potenza), Madonna del Sasso (Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte), Castiglione Cosentino e Oriolo (Cosenza), San Nicolò d’Arcidano (Oristano), Castelnuovo Cilento (Salerno) e, da ultimo, Ferla, in provincia di Siracusa. «La giunta municipale con questa deliberazione ha voluto manifestare in maniera concreta la propria condivisione in relazione ad un tema fondamentale come quello del rispetto della persona che va al di là di ogni professione e di ogni genere. Un gesto sostanziale per denunciare i soprusi nei confronti di chi è più debole: il nostro Comune è vicino a questa tematica nella concretezza di un atto amministrativo e, considerando ciò che può fare un ente locale, possiamo dire che anche noi abbiamo dato il nostro contributo», dice il sindaco di Ferla, Michelangelo Giansiracusa.

 

Mentre il Parlamento si avvita in calcoli di opportunità, la rete dei sindaci, dal basso, dimostra che dei segnali immediati, simbolici e concreti allo stesso tempo, possono essere lanciati. E chissà, forse anche raccolti in alto, se non per adesione ai principi, quantomeno per calcolo elettorale.