Gli schieramenti, che sostengono l’attuale esecutivo, sono divisi su tutto: e si tratta di scissioni che riguardano anche i singoli partiti. Dalla guerra ai balneari al Pnrr

Silvio non delude mai. Stavolta, prima con l’Editto di Treviglio, che smorzava l’afflato draghista, e poi con il Concilio di Napoli inteso a smentire la smentita, Berlusconi sta rappresentando da par suo lo spirito del tempo. Che in politica oscilla tra pragmatismo e testimonianza, governo e protesta. In Parlamento, per esempio, la maggioranza larga conta sul 95 per cento dei seggi (contabilità a cura di Giorgia Meloni), ma per andare avanti Mario Draghi ha già chiesto la fiducia 51 volte, 52 con i balneari (ancora Meloni). Come attraversare un campo minato: il governo può saltare, oppure no. Perché dentro la stessa maggioranza di maggioranze ce n’è due: i governisti e i populisti. Tra i quali si barcamenano tutti i leader.

 

Nella vicenda dei balneari, per esempio, cui sono legate l’una all’altra la riforma della concorrenza e la prossima rata del Pnrr, lo scontro più aspro è nella Lega, perché il testo bocciato dai parlamentari leghisti era stato scritto dai ministri Garavaglia e Giorgetti e approvato da Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni, tre leghisti, ma dell’ala governista. Così anche per la drammatica guerra Ucraina: il Parlamento vota sì alle armi, ma poi Matteo Salvini va in direzione opposta e contraria. Del resto nel 2020 la Lega giostrava tra europeisti e sovranisti proprio mentre era in gestazione il Pnrr, e l’anno dopo, su vaccini e green pass, tra chi era al governo e chi scendeva in piazza senza mascherina.

 

Nei 5 Stelle, tra Di Maio che vola a Washington da Biden, e il fu “Giuseppi” che ora attacca Usa e Nato, si sfiora la scissione. Ma se Salvini vorrebbe portare tutta la Lega dalla sua parte, Conte cerca disperatamente di mediare tra i due fronti interni. Senza successo: governisti e non governisti si fronteggiano sulla guerra, sui balneari, sul catasto e pure sul termovalorizzatore di Roma, altro ostacolo sulla marcia del governo (soldi e poteri a Gualtieri per l’impianto sono nel decreto Energia).

 

Per Meloni, invece, il problema non c’è visto che si muove nel campo comodo dell’opposizione, ma viene da sorridere al pensiero che se oggi sposa europeismo e atlantismo, due anni fa voleva uscire dall’euro. E vabbè. Nella maggioranza, invece, l’unico immune dal mal di governo sembra il Pd di Enrico Letta che, fermo sulla linea Draghi-Europa-Nato - soprattutto per il timore che troppe beghe mettano a rischio il Pnrr - riesce a tenere a bada i riflussi antiamericani che serpeggiano dentro casa. Ma questo non vuol dire che anche il Pd non si mostri dimidiato, solo che qui la divisione passa per l’abbraccio con l’irrisolto M5s che mezzo partito mal sopporta.

 

Già, perché sotto le legittime scelte di campo si nascondono scontri interni alle alleanze, che a volte toccano questioni di identità, ma spesso servono solo a certificare la propria esistenza in vita alla vigilia di una o l’altra campagna elettorale: Salvini è ossessionato dall’espansione di Meloni alla quale contende la leadership del centrodestra e che insegue sul suo terreno; Forza Italia vive l’incubo di essere schiacciata dalla Lega e si divide, come B. ha mostrato, tra chi vuole stringersi a Salvini e chi allontanarsene sempre più; Conte sa di guidare un movimento spaccato su molte cose, a cominciare dalla sua stessa leadership e dall’alleanza con il Pd, magari per tornare ad abbracciare la Lega.

 

Si dirà, appunto, che ci sono le le elezioni, ora le amministrative e tra un anno le politiche, certo. Ma da qui a lì c’è un percorso zeppo di ostacoli e appuntamenti: il Pnrr con la sua ricca dote di miliardi, il superdebito, l’inflazione vicina alle due cifre, i rischi di recessione, i prezzi alle stelle, i rischi di razionamento, l’incubo delle domeniche a piedi. Problemi intorno ai quali ancora si agiterà la “doppia maggioranza”. Senza contare che poi, finita la guerra, resteranno da definire i nuovi rapporti con Russia, Usa, Nato, Cina... La politica estera dei prossimi anni. Quella di Conte o Di Maio? Di Salvini o Meloni? Di Grillo o Draghi?