Il Capitano lancia il movimento Prima l’Italia per inglobare i moderati e superare la Meloni. Ma dal notaio firmano solo i suoi fedelissimi. Assenti Giorgetti, Zaia e Fedriga: se fallirà si riprenderanno il partito

E’ la sua ultima carta. Se perderà, la sua parabola finirà e il Nord si riprenderà la leadership. Matteo Salvini lo sa bene e in queste ore ha i nervi a fior di pelle. I sondaggi danno la Lega sotto il 16 per cento, meno di quanto raccolto alle Politiche di quattro anni fa. Il 34 per cento delle Europee con il Capitano in testa a tutti i gradimenti tra i leader è solo un vago ricordo. Così, prima del voto delle Politiche del 2023 e su suggerimento dei suoi nuovi gran consiglieri, Denis Verdini, Marcello Dell’Utri e la vecchia guardia forzista guidata da Licia Ronzulli, ha lanciato il nuovo movimento Prima l’Italia: una sorta di Partito delle libertà 2.0.

Ma Matteo è già finito nelle sabbie mobili dei centristi e degli ex democristiani, gli unici che possono sostenere questo progetto. Lorenzo Cesa e Silvio Berlusconi gli han detto: «Vai avanti tu, noi ci saremo», forse. Nel frattempo Salvini deve testare la nuova creatura nella patria per eccellenza delle sabbie mobili e dei democristiani: la Sicilia, che va al voto a novembre e prima, a giugno, avrà anche il suo capoluogo alle urne. Non a caso i primi tavoli di confronto sono andati a dir poco male con il rischio concreto che in Prima l’Italia a stento ci saranno solo i candidati leghisti e nessun centrista o forzista. Uno scenario disastroso, insomma: «Matteo è alle prese con una missione disperata ed è finito nella ragnatela pericolosa dei democristiani. Se non decolla Prima l’Italia siamo pronti a riprenderci la Lega e a rimettere il simbolo Nord sulle nostre bandiere», avverte un senatore leghista molto vicino a Salvini, ma che in questi giorni ha ascoltato il malcontento dei vari Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Roberto Castelli, che quasi rimpiangono il Senatur Umberto Bossi e sono ben disposti a mettere alla porta il non più giovane ed enfant prodige Matteo: il Capitano che da tre anni a questa parte non ne ha azzeccata una.

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LA MOSSA DISPERATA
Silvio Berlusconi al suo non-matrimonio ha ribadito che Salvini è il leader del centrodestra, facendo intendere che è a lui che vorrebbe lasciare la sua eredità politica. Salvini gli ha fatto vedere il simbolo di Prima l’Italia con il tricolore bene in vista e a Berlusconi è piaciuto molto, perché in fondo si tratta di un restyling della sua amata Forza Italia. Allo stesso tempo Lorenzo Cesa e Antonio De Poli dell’Udc si son detti pronti a fare le liste per le prossime Politiche con Prima l’Italia. Salvini ne ha preso atto e senza fare clamore è andato in fretta dal suo notaio di fiducia e ha creato il “Movimento Prima l’Italia”: a firmare lo Statuto c’erano, oltre a lui, il senatore Stefano Candiani, Giulio Centemero e Nino Minardo, segretario del partito in Sicilia, ex Forza Italia, e da sempre al lavoro per l’allargamento del partito verso i moderati. Non c’erano Giorgetti, Zaia e gli altri dirigenti della Lega con cuore e testa sopra il Po. Lo Statuto, che L’Espresso ha letto, di fatto considera il nuovo Movimento come costola della Lega per Salvini premier, quindi comunque ben saldamente in mano a Matteo. «Dobbiamo in tutti modi arrivare alle Politiche con un listone che ci garantisca il sorpasso con Fratelli d’Italia», ha sussurrato ai suoi fedelissimi, anche se proprio qualcuno dei presenti alla costituzione del nuovo contenitore gli ha fatto notare: «Matteo, ma tu davvero ti fidi di un Berlusconi ormai in declino e dei democristiani come Cesa e De Poli? Davvero pensi che questi fino all’ultimo non tratteranno su tutto minacciando di non entrare nel listone? Berlusconi poi terrà tutti i suoi, oppure lo convinceranno che è meglio far vivere Forza Italia, la sua creatura? E, ancora, ma non lo vedi un ex democristiano come Raffaele Lombardo che sta combinando? Fa la federazione con noi e poi va a parlare con Matteo Renzi ed Enrico Letta per tenersi aperta la porta del centrosinistra alle regionali in Sicilia. Siamo in mano a loro, ti rendi conto?».

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IL NORD ALLA FINESTRA
Già, la Sicilia, il grande banco di prova del listone. E qui che Salvini dovrebbe testare Prima l’Italia alle urne e incassare buone percentuali di consensi per dire ai suoi che alle Politiche si va con il nuovo simbolo e il nuovo movimento. In questi giorni è già alle prese con le candidature a sindaco di Palermo e Messina. E Salvini ha avuto modo di apprezzare cosa significa mettere insieme i centristi e per giunta siciliani. Nella città dello Stretto la lista Prima l’Italia è già saltata per mancanza di candidati. Al non-matrimonio di Berlusconi ha parlato a lungo con Marcello Dell’Utri, che gli ha suggerito di candidare come sindaco di Palermo l’ex rettore Roberto Lagalla, passato recentemente nell’Udc: un nome perfetto per vantare poi un credito con Cesa per le Politiche.  Convocato il primo tavolo con i leader del centrodestra siciliano però, Matteo è rimasto quasi sconvolto dalla litigiosità dei vari Saverio Romano, Salvatore Cuffaro, Gianfranco Micciché, quest’ultimo in rotta perfino con il suo mentore, l’ex senatore Dell’Utri da lui difeso sempre anche dopo la condanna definitiva per favoreggiamento alla mafia. Il colmo è stato quando Romano e De Poli si sono quasi insultati sul nome di Lagalla. Un disastro, insomma. E se questo è l’inizio, figurarsi cosa può accadere al tavolo da convocare per le regionali.

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L’Udc già minaccia di non entrare nel listone se non avrà il candidato a Palermo e non va meglio in Forza Italia: al Sud il partito è allo sbando, con la vecchia guardia, capitanata alla Ronzulli con al seguito Antonio Tajani e Renato Schifani, che vuole l’alleanza con la Lega, e il resto del partito che va per la sua strada nei vari territori. «Prima l’Italia vince solo se ci sarà un gioco di squadra», ribadisce il senatore nel cerchio magico di Salvini. Matteo intanto cerca di puntellare il listone anche al Nord e nei giorni scorsi ha chiuso un accordo con “Lombardia ideale”, il movimento guidato dal consigliere regionale Giacomo Cosentino. In altri tempi avrebbe fatto anticamera da Salvini, oggi è Matteo che lo corteggia per il suo nuovo progetto, anzi per la sua ultima carta.

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Nella Lega nel frattempo c’è un affollato balcone di dirigenti che sta a guardare per vedere il fallimento di Salvini e riprendersi il partito. Nei giorni scorsi Castelli alla baita degli alpini di Lecco ha radunato un po’ di leghisti e ha raccolto tutto il loro malcontento per l’abbandono del Nord nel simbolo, dell’ampolla di Pontida e di tutti i rituali inventati dal Senatur Bossi. In quelle stanze sono state tante le parole dette ad alta voce contro Salvini e la sua deriva sudista e centrista per inseguire il sogno di una nuova Forza Italia che lo incoroni presidente del Consiglio. Stanno comunque tutti lì, sul balcone, a vedere fin dove arriva. Se fallirà gli daranno il benservito per issare in tutte le sedi il vecchio simbolo della Lega Nord e riaprire Radio Padania, che oggi si chiama Radio Libertà: come se avesse sede ad Arcore e non in via Bellerio.