Tangenti pagate per vent’anni in almeno 19 nazioni, dalla Cina alla Libia, dalla Spagna al Sudafrica. E tenute nascoste anche dopo un patteggiamento negli Usa costato un miliardo. Il consorzio giornalistico internazionale svela i segreti della multinazionale. E i versamenti all’esercito terrorista per salvare le reti telefoniche nell’area di guerra a Mosul

Una corruzione mondiale, da Premio Nobel del malaffare. Il gruppo Ericsson, il colosso svedese delle telecomunicazioni, ha pagato tangenti per più di vent'anni in almeno 19 nazioni, dall'Africa al Medio Oriente, dall'Europa alla Cina. Ha continuato a corrompere anche dopo essere stato incriminato negli Stati Uniti con sanzioni da un miliardo di euro. E ha tenuto nascosto di aver pagato perfino i combattenti dell'Isis in Iraq. E altre tangenti in zone di guerra come la Libia.

 

Una grande multinazionale, con base nella civilissima Stoccolma, che versa il pizzo per almeno tre anni all'esercito terrorista dell'autoproclamato Stato islamico. È la storia più impressionante che emerge dall'inchiesta Ericsson List, coordinata dall'International consortium of investigative journalists (Icij). Un'inchiesta fondata su documenti interni dello stesso gruppo svedese: le indagini aziendali e i controlli legali avviati negli ultimi anni, dopo la scoperta dei primi casi di corruzione. Le carte, mai rese pubbliche fino ad oggi, sono state analizzate da 117 giornalisti di 31 testate internazionali, tra cui L'Espresso in esclusiva per l'Italia, e riscontrate con documenti esterni e testimonianze videoregistrate dai cronisti inviati in Iraq.

 

L'inchiesta rivela che la multinazionale ha distribuito fondi neri per decine di milioni di dollari anche negli anni in cui metà del Paese e della vicina Siria erano sotto il controllo dell'Isis. I soldi sono serviti a comprare protezioni a tutti i livelli, pagando amici e nemici dell'Occidente: funzionari del governo ufficiale di Bagdad, generali e politici del Kurdistan iracheno, combattenti dello Stato islamico. I fondi neri venivano creati gonfiando le spese per forniture, appalti e servizi di trasporto. I soldi ai tagliagole dell'Isis venivano poi consegnati, in contanti, dai dipendenti, terrorizzati, delle società irachene reclutate dalla filiale locale del gruppo Ericsson. 

 

Questi pagamenti inconfessabili sono cominciati nel 2014, quando l'esercito nero ha conquistato Mosul, la seconda città dell'Iraq, proclamata capitale dello Stato islamico, scatenando un'ondata di esecuzioni sommarie, distruzioni, attentati e sequestri di persona. In quel periodo i manager della multinazionale in Iraq, secondo i documenti interni, hanno deciso di pagare l'Isis, attraverso gli appaltatori locali, per poter continuare a lavorare in quella regione, dove la Ericsson era impegnata a realizzare un costoso piano di nuove infrastrutture tecnologiche. Le tangenti di guerra sono poi continuate fino alla sconfitta dell’Isis. E sono state versate anche per trasferire attrezzature, antenne e ripetitori, per centinaia di chilometri, lungo uno speciale tracciato, chiamato in gergo Speedway, che permetteva di evitare controlli, tasse e dazi del governo ufficiale. In questi casi erano alcune società di trasporti a consegnare i pacchi di banconote, ai posti di blocco, ai combattenti dell'Isis. L'inchiesta ha identificato 18 fatture per servizi di trasporto pagate il triplo delle tariffe di mercato e in un caso a un prezzo 20 volte superiore.

 

Il gruppo Ericsson è un colosso delle telecomunicazioni, con oltre centomila dipendenti in 140 nazioni, che controlla circa il 15 per cento del mercato mondiale delle infrastrutture per le reti telefoniche e informatiche. Nel 2013 la multinazionale si è vista accusare dalle autorità americane di corruzione internazionale. Negli Stati Uniti la legge che incrimina le società che pagano tangenti a pubblici ufficiali stranieri fu varata ancora cinquant'anni fa, dopo lo storico scandalo Lockheed, e viene applicata severamente a tutela (e spesso su denuncia o soffiata) delle aziende concorrenti. Nel dicembre 2019, per uscire dalle indagini ed evitare il carcere ai dirigenti coinvolti, la casa madre di Stoccolma ha siglato uno speciale e costoso patteggiamento con i procuratori di New York.

 

La Ericsson «ha ammesso», come si legge nel comunicato finale del ministero della giustizia americano, che diversi suoi dirigenti avevano versato tangenti per anni, «dal 2000 al 2016», in cinque nazioni: Cina, Indonesia, Vietnam, Kuwait e Gibuti. Per chiudere il caso, la multinazionale ha accettato di pagare una multa record di un miliardo e 60 milioni di dollari al Dipartimento di giustizia e all’autorità di controllo della Borsa (Sec). E si è impegnata a denunciare tutti i reati commessi nel mondo e a sottoporsi ad altri tre anni di controlli anticorruzione. I documenti ottenuti dal consorzio Icij ora rivelano che la Ericsson ha tenuto nascosti i risultati delle indagini interne su molti altri casi di corruzione pubblica e privata, che coinvolgono almeno 14 nazioni.

 

Oltre all'Iraq, le accuse finora mai emerse riguardano Stati Uniti, Brasile, Croazia, Spagna, Portogallo, Egitto, Marocco, Sud Africa, Angola, Azerbaijan, Bahrain, Libano e Libia. Molti casi di corruzione riguardano le nazioni dove è più forte la competizione con le altre multinazionali, in particolare con il gigante cinese Huawei, che è il primo concorrente del gruppo Ericsson anche in Iraq. 

 

Il documento più importante ottenuto dal consorzio Icij è un rapporto «confidenziale» con 73 pagine di sintesi delle indagini interne sui casi di corruzione internazionale, trasmesso ai vertici aziendali dallo studio legale di New York che ha difeso la Ericsson negli Stati Uniti. Il dossier riassume le verifiche effettuate dagli organismi di controllo attraverso l'esame di 22 milioni e mezzo di email, 4 terabyte di documenti, bilanci, conti bancari e riporta le testimonianze o confessioni di 28 persone. Gli ispettori della Ericsson hanno anche ritirato computer e telefonini aziendali, copiandone i dati.

 

Il rapporto evidenzia casi di corruzione, riciclaggio, fatture false, evasione fiscale e appropriazione indebita commessi dal 2011 al 2019 e comprende numerosi fatti mai segnalati alle autorità americane. Il nome dell'inchiesta giornalistica deriva da una tabella collegata: la lista che riassume tutte le accuse, le nazioni coinvolte e i provvedimenti adottati. Il rapporto riguarda anche le corruzioni in Iraq e lancia l'allarme avvertendo che una parte dei fondi neri potrebbe essere finita all'Isis, ma queste parti come molte altre sono rimaste segrete.

 

La Ericsson è presente in Iraq fin dagli anni '60, quando partecipò all'installazione della prima rete telefonica nazionale. Dopo la guerra del 2003 e la caduta di Saddam Hussein, sotto l'occupazione militare americana è iniziato il boom dei telefonini. La Ericsson si è quindi aggiudicata ricchi contratti per forniture di antenne, torri, ripetitori e tecnologie informatiche. I suoi clienti più importanti sono l'azienda statale di telecomunicazioni e le tre maggiori società private di telefonia mobile: Asiacell, Zain e Korek. Negli anni gli affari sono aumentati nonostante il terrorismo e la guerra civile. Dal 2011 al 2018, si legge nei documenti interni, la Ericsson in Iraq ha ottenuto ricavi netti («total net sales») per 1,9 miliardi di dollari.

 

Sul problema dell'Isis, le indagini aziendali rivelano un cruciale scontro interno alla Ericsson, che si è consumato nel 2014. Quando l'esercito terrorista ha conquistato Mosul, almeno due dirigenti iracheni hanno proposto di lasciare il paese e sospendere i contratti in corso, invocando la cosiddetta causa di forza maggiore. I loro superiori hanno però deciso di restare, affermando che non si poteva «distruggere il nostro business», come si legge nel rapporto. Meno di un mese dopo, la Ericsson ha chiesto ad Asiacell, il suo principale cliente in Iraq, di chiedere «il permesso all'autorità locale Isis» di continuare a lavorare a Mosul. Il gruppo telefonico Asiacell non ha risposto alle domande del consorzio Icij.

 

La scelta di continuare a lavorare nel regno del terrore ha messo in grave pericolo la vita dei dipendenti, soprattutto i tecnici, operai e camionisti delle ditte appaltatrici irachene. La tv tedesca Ndr ha intervistato in Iraq un ingegnere che nel 2014 è stato sequestrato e tenuto in ostaggio per un mese dai combattenti dell'Isis. «Mi facevano telefonare ai manager della Ericsson, ma nessuno mi rispondeva. Mi hanno lasciato solo». Le indagini interne della multinazionale confermano il problema dei sequestri di dipendenti. Le testimonianze raccolte dai giornalisti inviati in Iraq raccontano anche di camionisti fucilati o decapitati. ll manager della Ericsson che impose ai lavoratori di restare a Mosul sotto l’Isis, però, non ha avuto problemi, anzi è stato promosso.

 

Le carte interne della multinazionale svedese rivelano anche casi di corruzione tra le forze che hanno combattuto l'Isis. E pagamenti sospetti ai dirigenti di imprese clienti. Mentre i cittadini iracheni vivevano nel terrore, la Ericsson distribuiva a pochi privilegiati una pioggia di soldi e di regali costosi: opere d'arte, vestiti firmati, computer, orologi di marca. Le stesse indagini aziendali contestano i viaggi gratis in Svezia e Spagna offerti a più di dieci funzionari del ministero della Difesa.

 

Sotto accusa anche versamenti per oltre un milione e 200 mila dollari, giustificati con fatture ritenute fittizie, a un generale dei peshmerga, Sirwan Barzani, nipote dell'ex presidente del Kurdistan iracheno. La sua è da decenni una delle più potenti famiglie della regione autonoma e controlla tra l'altro la compagnia telefonica Korek. Un portavoce di Barzani ha risposto al consorzio ricordando il suo «coraggio ed eroismo di combattente nella guerra contro l'Isis», ma non ha rilasciato dichiarazioni sui rapporti della sua famiglia e della società Korek con il gruppo Ericsson.

 

La multinazionale svedese ha ricevuto nelle scorse settimane una serie di domande molto dettagliate, ma non ha risposto ai giornalisti di Icij. Alcuni giorni dopo, l'amministratore delegato del gruppo, Börje Ekholm, si è fatto invece intervistare da una testata svedese che non fa parte del consorzio (per cui non era in grado di contraddirlo) e ha rivelato, per la prima volta, che le indagini aziendali avevano identificato «pagamenti sospetti in Iraq fino al 2018», ammettendo di «non poter escludere» che una parte dei soldi fosse finita all'Isis. Il top manager ha sostenuto che «i destinatari finali di molti versamenti sono rimasti sconosciuti e non sono identificabili», ma ha confermato che sono state registrate spese per trasporti «anche in aree che erano controllate da organizzazioni terroristiche, incluso l'Isis».

Dopo l'intervista, la Ericsson è crollata in Borsa (meno 14 per cento).

 

Quindi la multinazionale, con un comunicato stampa, ha dichiarato di aver «licenziato numerosi dipendenti» e «chiuso diversi contratti con società esterne» in seguito alle indagini aziendali sulla sua controllata in Iraq. Il manager Ekholm ha poi precisato che la multinazionale non aveva rivelato le corruzioni in Iraq perché «la materialità delle accuse non aveva superato la soglia» di attendibilità. L'amministratore delegato ha inoltre confermato che le autorità americane, nei mesi scorsi, hanno accusato la Ericsson di aver violato l'accordo di patteggiamento, ma ha dichiarato che il problema non riguarda l'Iraq. Il colosso svedese ora assicura di aver avviato nuove indagini molto approfondite per fare luce su tutti i casi di corruzione o altri reati.