Per l’Agenzia delle Nazioni unite è in corso una preoccupante escalation punitiva che ricalca il trend di liti temerarie. «Ignorate le raccomandazioni internazionali sul diritto all’informazione». Il rapporto pubblicato in esclusiva da Ossigeno

Aumenta l’abuso di leggi che producono querele che comprimono la libertà di espressione. Lo certifica una ricerca dell’Unesco, pubblicata in esclusiva da Ossigeno per l’informazione (www.ossigeno.it, con i commenti di studiosi e esperti) che dal suo osservatorio monitora l’uso distorto e talvolta intimidatorio di cause penali e civili contro i mezzi di informazione e conferma il trend certificato dall’organismo Onu per l'educazione, la scienza e la cultura.

Il dato è che non solo in Italia, ma praticamente ovunque nel mondo «si fa un uso scorretto del sistema giudiziario», instaurando contenziosi che hanno il solo effetto di inibire il libero esercizio del diritto di cronaca e la libertà di espressione.

Il dossier Unesco, pubblicato nella collana “World Trends Report on Freedom of Expression and Media Development” denuncia: anziché adeguare le leggi agli standard richiesti dalle organizzazioni internazionali che stilano periodicamente le classifiche sulla librertà di stampa, si compiono significativi passi contrari, ricorrendo a modifiche legislative che autorizzano «procedure punitive».

 

L’Unesco entra nel merito citando esplicitamente la diffamazione che, configurata come reato nell’80 per cento dei Paesi, apre le porte del carcere ai giornalisti. In questo, l’agenzia delle Nazioni unite individua non solo un limite all’autonomia degli operatori dell’informazione ma una minaccia alla difesa dei diritti umani. E per dare una dimensione del fenomeno, la diffamazione come reato ha conosciuto una significativa espansione in 44 Paesi. Elevando così a 160, 15 in Europa, il numero complessivo degli Stati in cui vige questa norma.

Per converso, proliferano cause e querele temerarie per diffamazione a mezzo stampa e per altri reati utilizzate come «schiaffi» a chi pubblica notizie scomode.

 

La ricerca internazionale indica anche una strada per ricondurre a equilibrio il sistema: governi, giornali, giornalisti, editori, difensori dei diritti devono prestare maggiore ascolto alle raccomandazioni degli organismi sovranazionali. In definitiva, depenalizzando la diffamazione, ovvero «a regolarla con il codice civile e a punirla senza il carcere».

 

Un percorso vecchio di almeno un decennio che ha segnato improvvisamente una battuta d’arresto se non una vera inversione di tendenza dal momento che in Europa solo dieci Paesi hanno abolito tutte le disposizioni generali contro la diffamazione e l'insulto e altri quattro hanno attuato una parziale depenalizzazione.

 

«In questi anni, diversi Paesi hanno imboccato la strada opposta: hanno reintrodotto o inasprito le norme sulla diffamazione semplice e a mezzo stampa e sull’ingiuria, hanno promulgato nuove leggi per rafforzare la sicurezza informatica e a combattere le "notizie false" e l'incitamento all'odio, hanno visto aumentare le cause civili per diffamazione, di solito preferibili, ma spesso tali da “turbare” la libertà di espressione e il lavoro dei giornali e dei giornalisti, per le richieste di risarcimento sproporzionate e i costi legali proibitivi», sintetizza Ossigeno.

 

E la ricerca Unesco individua anche nuove forme di compressione del diritto d’espressione legate al cosiddetto "forum shopping", ovvero la pratica di selezionare il tribunale in cui intentare un'azione legale.

In sintesi: la diffamazione è ancora un reato in 39 dei 47 Paesi africani. In Asia e Pacifico, 38 Stati su 44 mantengono il reato, sei l'hanno abrogato e uno ne ha proposto l'abrogazione parziale. Nell'Europa centrale e orientale la maggior parte dei 15 Paesi che prevedono la diffamazione come reato è previsto il carcere. Dieci Paesi hanno abolito tutte le disposizioni generali contro la diffamazione a mezzo stampa e l'ingiuria e altri quattro hanno attuato una parziale depenalizzazione.

I reati di diffamazione persistono in 29 dei 33 Stati dell'America Latina e dei Caraibi e continuano ad essere come formidabile arma contro giornalisti e blogger.

In Europa occidentale e Nord America, la diffamazione penale rimane negli statuti di 20 dei 25 Stati, la maggior parte mantenendo le sanzioni detentive. Tra il 2003 e il 2018, cinque Paesi hanno abolito le leggi penali sulla diffamazione a mezzo stampa e l'ingiuria e un altro le ha parzialmente abrogate.

 

«È un documento autorevole. Fra l’altro, fa sapere che i problemi italiani documentati da tempo da Ossigeno, quelli che hanno conferito all’Italia il titolo di paese europeo con più giornalisti minacciati, in realtà si manifestano in molti altri paesi, anche se non sono documentati pubblicamente come da noi. Anche altri aspetti fanno pensare all’Italia. Ad esempio il nuovo appello alla depenalizzazione della diffamazione, considerata da Unesco il primo passo da fare e invece per le forze politiche italiane è il male assoluto da evitare, un tabù. Un fatto su cui riflettere», commenta il presidente di Ossigeno.