Sono gender fluid e appoggiano le campagne Lgbtq+. Nate in Giappone ora sbarcano in Europa e anche in Italia. Il comparto del social marketing nel nostro Paese vale oggi quasi 300 milioni di euro

Nefele, come la ninfa plasmata da Zeus da una nuvola, ha i capelli corti dalla tonalità cangiante. Mostra un approccio anticonformista e gender fluid. Il suo corpo è punteggiato da lentiggini, il suo motto «l’imperfezione è bellezza». Vive su Instagram, dove pubblica immagini sbarazzine e intriganti: lei mentre cucina, fa windsurf, scherza col cagnolino, è in vacanza nel deserto, si gode un tramonto in riva al mare. Si definisce, la definiscono la «prima influencer virtuale imperfetta» made in Italy: lontana al quadrato, quindi, dagli stereotipi e dalle convenzioni di categoria.

 

Già, perché Nefele, nonostante le sembianze e le movenze, le espressioni e i comportamenti, non avrebbe nulla a che fare con l’evoluzione darwiniana della nostra specie. O almeno per ora. È un prodotto della computer grafica: l’hanno concepita tre ragazzi torinesi, Filippo Boschero, Laura Elicona e Luca Facchinetti. «Prova emozioni e sogna di creare un universo più inclusivo, facendo leva sul lato umano della tecnologia - ci spiegano -. Dove ci si senta liberi di essere ciò che si vuole, senza paure e pregiudizi». E senza l’ossessione del bellissimo a tutti i costi, naturale o innaturale che sia. «Il suo pubblico? Per lo più giovani donne, tra i 18 e i 35 anni».

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Sono chiamati influencer virtuali e in Asia polarizzano l’attenzione già da qualche anno. Il loro debutto in Giappone nella sottocultura otaku, tra anime e manga. La capostipite assoluta era stata Hatsune Miku, nel remoto 2007, punta di diamante dell’era del vocaloid (un sintetizzatore vocale). Ne ha macinata poi di strada quel software beta. L’esplosione di massa è avvenuta nel triennio 2018-2021: ormai tra Sol Levante, Cina e Corea del Sud sono star strapagate, recitano in film e collezionano pienoni in cyber-concerti fantasmagorici. In seguito è toccato all’America e adesso è la volta dello sbarco in Europa e nella penisola. Sono avatar, all’apparenza, autosufficienti, porte girevoli tra il vecchio mondo fisico e il Metaverso che incombe. Frutto dell’intelligenza artificiale, luccicano sempre più numerosi su Instagram e Twitch, TikTok, Facebook e Twitter. Post e streaming, interazioni con i followers: tutti protocolli che eseguono come, e meglio, dei loro omologhi in carne e ossa. E dire che sarebbero solo dei modelli in 2 o 3D, animazioni dal design ultra-antropomorfo pilotate da fotocamere e sensori di movimento. Yuniiho è una V-Tuber (virtual youtuber) tutta italiana. Sfoggia capelli rosa e due enormi occhi verdi da cartone anni Ottanta. Con una foglia di basilico sulla cima del cappello che manda in visibilio la sua rigogliosa community su Twitch, decine di migliaia di persone con sangue e muscoli.

 

L’hanno ideata i tre misteriosi fondatori di VCorp. Loro stessi si fanno rappresentare da avatar perché «in un pianeta sempre più connesso e con l’aumentare dello scambio di informazioni questo permette di separare vita privata e pubblica, senza sacrificare l’identità - raccontano a L’Espresso -. Ci rivolgiamo principalmente a una clientela giovane, lavoriamo parecchio con l’estero». Alle spalle di Zaira, aria eterea e pop, un occhio verde e uno blu, arrivata in primavera e già con quasi 80 mila followers su Instagram, opera un team di professionisti tricolori del settore, tra cui un autore di serie tv. A lanciarla nei nuovi mondi è stata la compagnia Buzzoole. «Rappresenterà la generazione Z e parlerà più lingue. Sarà la Virgilio del Metaverso» assicurano.

 

A meno di improvvise riprogrammazioni, Eli e Sofi sono due gemelle virtuali venticinquenni nate in Sicilia durante il primo lockdown, con un capitale di 47 mila seguaci Instagram. Capigliatura rossa «perché rare», dalla loro biografia fittizia scopriamo che amano la natura, il make-up e ovviamente i romanzi fantasy. Combattono il razzismo, il bullismo e le discriminazioni in genere: alla base c’è sempre uno storytelling sensibile ai temi imprescindibili del presente. E preferiscono, chissà perché, i viaggi astratti e «immersivi, senza mezzi di trasporto inquinanti». Eccole coltivare in una delle loro stories un ricordo elegiaco della terra dei loro nonni, con selfie panoramico ma di Gucci vestite e con tanto di hashtag della maison. Trascendono il tempo e lo spazio, sono più economiche di una Chiara Ferragni e non si sono ancora ribellate ai loro demiurghi mortali: schiere di ingegneri, filosofi e sceneggiatori freelance. Anche Daisy è una connazionale di nascita, ma è stata realizzata dal gigante dell’e-commerce Yoox ed è ricalcata sulle fattezze dell’attrice canadese Hannah Gross. Pure lei non disdegna affatto gli abiti griffati, lo shopping free, anzi, ben retribuito dai grandi brand.

 

L’alta moda e le multinazionali dell’abbigliamento, della bellezza, del lifestyle, dell’intrattenimento, del turismo, dei videogiochi, del food e dell’high-tech ricorrono infatti in maniera esponenziale ai servigi degli influencer virtuali. Sarà che come ambasciatori commerciali rasentano, in termini tecnici e cinici, la perfezione: instancabili e malleabili, veramente interattivi e dotati, volendo, del dono dell’ubiquità. Quando tutto era fermo per pandemia loro potevano muoversi dove volevano, alla velocità della luce. E non hanno bisogno di maquillage o filtri ingegnosi: non invecchiano mai. Valentino ha scelto, per esempio, la blasonata orientale Kizuna Ai; Louis Vuitton si è affidata all’elegante modella di colore “all pixel” Shudu Gram. Un’altra acclamata top model elettronica è Lil Miquela, un’eterna diciannovenne californiana con la frangetta irresistibile alla Amélie: l’hanno cooptata, tra gli altri, Calvin Klein, Chanel e Samsung. Adidas si è rivolta a Lu Do Magalu, una webstar brasiliana precipitata dal futuro. Vanta addirittura 6 milioni di followers su Instagram: sono rinomati i video in cui recensisce prodotti e app.

 

Vegana e bandiera dell’empowerment femminile, la tecno-musa Noonoouri ha sfilato, da par suo, per Versace e Dior ed è amica di Kim Kardashian. Tra le senatrici fashion del gruppo spicca Imma da Tokyo, una sgargiante e iperattiva mannequin con caschetto pink shocking e connotati incredibilmente realistici. È stata testimonial, per dirne qualcuno, di Ikea e Porsche e appoggia le campagne di sensibilizzazione sull’ambiente e sui diritti della comunità LGBTQ+. I giovanissimi la adorano. Uno dei pochi protagonisti maschili è Knox Forst, un ventenne robotico from Atlanta, Georgia. È apparso sulle copertine di Forbes e Fortune e durante l’emergenza Covid-19 ha dato una mano nientemeno che all’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità.

 

 

Il 10 novembre si è tenuta a Milano la prima edizione dell’Influence Day, un evento organizzato da Flu, tra le principali realtà in materia. Tra gli ospiti Cameron-James Wilson, ceo di The diigitals, la prima agenzia planetaria di virtual top model. Nel Belpaese «il comparto dell’influencer marketing vale oggi quasi 300 milioni di euro», dice Giancarlo Sampietro, fondatore di Flu. E prendono quota “i virtuali”: pochi margini di rischio con questi nostri indistinguibili simulacri, nessuna gaffe o caduta di stile dietro l’angolo. Anzi, la loro capacità di coinvolgimento è tre volte superiore alla norma come dimostrano studi recenti. Nutriamo una fiducia istintiva verso queste interfacce sempre più evolute e senzienti, o pseudo-tali. Doppi di noi, sfrondati però di tutti quei difetti intrinseci alle nostre virtù. Pesano tuttavia sullo sfondo problemi di ordine etico e giuridico: chi risponde dei contenuti che condividono sui social? E qual è il confine tra libertà d’espressione e sponsorizzazioni più o meno manifeste? La legislazione e la consapevolezza, al riguardo, sono ancora agli albori. Sta di fatto che se e quando cominceremo ad abitare a miliardi l’inquietante e sfavillante Metaverso, avatar e ologrammi definitivi di noi stessi, avremo la medesima codifica grafica degli odierni influencer virtuali. E il cielo in una stanza, la vita da remoto. Più nativi digitali di così. Restiamo umani, virtualmente umani.