Carte d’identità rubate a Pompei. Utilizzate dall’uomo chiave dello scandalo sul controllo di giornalisti e politici. Che è partner nel suo paese della milanese Rcs Lab

Se venisse rappresentata in un film di spionaggio, la sede dei Servizi segreti greci assomiglierebbe probabilmente a come è in realtà. Un cubo di cemento trapiantato nella periferia di Atene, dove la bandiera greca, unica nota di colore, sventola all’entrata e le finestre degli uffici sembrano scrutare l’esterno come tanti piccoli occhi.

A quattro mesi dallo scoppio del cosiddetto «Watergate greco», l’edificio pare custodire gelosamente molte delle risposte agli interrogativi che stanno mettendo in crisi il governo conservatore di Nea Dimokratia. O forse bisognerebbe cercare quelle risposte lungo la riviera ateniese, nel quartiere esclusivo di Glyfada, presso la sede di Intellexa, l’azienda che ha venduto lo spyware Predator. Ma oggi al suo interno non c’è più nessuno: il personale, dopo una sommaria perquisizione degli uffici da parte delle autorità greche, ha fatto gli scatoloni e protetto dalla stessa riservatezza che ha accompagnato il suo arrivo due anni fa, ha abbandonato Atene. «Finché le autorità greche non condivideranno le informazioni, saremo costretti a comporre il puzzle con il materiale che abbiamo: e l’immagine emersa finora non è confortante», ha dichiarato l’europarlamentare Sophie in ‘t Veld durante una visita ad Atene con la commissione Pega, istituita per fare luce sull’utilizzo di spyware in Europa. E un tassello di questa costruzione in divenire conduce in Italia.

È l’ultimo capitolo di una storia che inizia con il giornalista Thanasis Koukakis, collaboratore del Financial Times, il primo a denunciare nella primavera scorsa di essere stato intercettato dai Servizi segreti greci nel 2020, mentre stava portando avanti indagini sull’evasione fiscale e l’emissione di fatture false in Grecia. Un anno dopo l’intercettazione dei Servizi segreti, Koukakis ha ricevuto un messaggio con Predator: per permettere che tutte le attività del suo cellulare venissero monitorate, è bastato cliccare sul link ricevuto da uno sconosciuto. La stessa trappola è stata tesa, pochi mesi dopo, all’europarlamentare e presidente del partito socialista del Pasok, Nikos Androulakis; vittima dello spyware, infine, è caduto anche il deputato di Syriza Christos Spirtzis: «Attraverso me volevano ascoltare Alexis Tsipras», ha dichiarato dopo avere presentato una denuncia nel settembre scorso.

Il premier conservatore Kyriakos Mitsotakis, responsabile di avere avocato a sé per legge la gestione dei Servizi segreti, ha negato ogni possibile uso di Predator da parte dello Stato e ha promesso di «sciogliere il groviglio di questo centro di spionaggio occulto». Le numerose rivelazioni della stampa greca tratteggiano invece uno scenario diverso: un parastato, vicino al premier, avrebbe utilizzato entrambe le modalità di spionaggio per controllare almeno cento persone tra politici, forze dell’ordine e giornalisti. Sotto la lente di ingrandimento del sito d’inchiesta Insidestory, con cui Koukakis collabora, sono finite due aziende: la già citata Intellexa e Krikel, rifornitrice ufficiale del ministero dell’Interno per quanto riguarda le tecnologie di sorveglianza e di interesse, secondo la stampa greca, dell’uomo d’affari Yannis Lavranos. A evidenziare un rapporto tra le due aziende sarebbe sia il movimento di fondi tra Krikel e Intellexa, nel 2020, sia un servizio di consulenza prestato dall’imprenditore Felix Bitzios, divenuto successivamente azionista di Intellexa, all’azienda rifornitrice dello Stato nel 2018. Secondo il quotidiano greco Efimerida ton syntakton, inoltre, Krikel sarebbe coinvolta in un probabile giro di fatture false, in base alle quali avrebbe effettuato transazioni per 5 milioni di euro con un’altra impresa ma i pagamenti bancari corrispondenti non risultano da nessuna parte.

«Yannis Lavranos appare come una figura mitica, soprattutto per ciò che su di lui non è stato detto», ha riportato il quotidiano: l’imprenditore afferma di vivere a Londra e avrebbe goduto di un accesso privilegiato sia ai precedenti governi di Nea Dimokratia che a quello di Syriza. Nel maggio di quest’anno, in un elegante centro ricevimenti fuori Atene, Lavranos ha organizzato il battesimo del proprio figlio: come padrino ha presenziato il nipote ed ex capo di gabinetto di Mitsotakis, Grigoris Dimitriadis, dimessosi quest’estate a seguito dello scandalo. A rendere il personaggio di Lavranos ancora più misterioso, contribuisce una carta di identità italiana, rubata e poi falsificata con una sua foto, che è stata rinvenuta dal sito d’inchiesta greco Reporters United. L’Espresso ha potuto verificare come il documento, il cui uso rimane sconosciuto, e nel quale Lavranos appare con il nome di Gianni Berti, sia stato rubato a Pompei nel 2012. Altre due carte di identità italiane che risultano rubate nei pressi di Napoli nello stesso anno sono state registrate, con i nomi di Antonio Sassi e Giorgio Antonelli, nel consiglio di amministrazione di un’altra società riconducibile a Lavranos, la Elektroum technologies, che dal 2017 non pubblica il bilancio nel registro delle imprese.

L’Espresso, in aggiunta, ha potuto visionare la copia di altre due carte di identità italiane rubate nel 2012 a Pompei e Ottaviano poi falsificate con le foto di persone ricollegabili alla cerchia di collaboratori di Lavranos.

Interpellata a proposito della vicenda, l’Agenzia delle entrate greca commenta: «La verifica dei documenti di cittadini europei viene effettuata solo in caso di sospetti di reato sulla base di una richiesta scritta alla rispettiva ambasciata». Contattato da L’Espresso, Lavranos afferma di avere presentato denuncia contro ignoti dopo essere venuto a conoscenza della carta di identità italiana con la propria foto e di non avere rapporti di partecipazione con Krikel, mentre a proposito di Elektroum ribadisce di non avere più legami con l’azienda da molti anni.

Un altro legame che sembra emergere tra il misterioso uomo d’affari e l’Italia risale al 2021, quando i Servizi segreti greci firmano un contratto per la fornitura di «sistemi moderni di intercettazione legale» con la milanese Rcs lab, azienda di punta del settore che vanta tra i suoi clienti anche le forze dell’ordine italiane. In base alle testimonianze raccolte da Insidestory di due funzionari che hanno partecipato alle trattative, una figura si sarebbe imposta «a rappresentanza degli interessi italiani»: Lavranos, considerato il «local partner» in Grecia di Rcs lab, mentre Krikel sarebbe stata l’azienda subappaltatrice del contratto.

L’Espresso ha chiesto a Rcs lab di commentare queste affermazioni, e ha ottenuto la seguente risposta: «Esistono specifici obblighi normativi e contrattuali che vincolano l’azienda al riserbo […] in ogni caso, si ritiene opportuno precisare che rientra tra le modalità operative di Rcs lab quella di fruire del supporto di partner tecnici locali per aspetti logistici, implementativi o di manutenzione […] qualora un partner non risultasse più idoneo a svolgere l’incarico, l’azienda provvederebbe alla tempestiva sostituzione». Lavranos, inoltre, ha smentito qualsiasi relazione con Rcs lab e ha denunciato una «spietata guerra di diffamazione del proprio nome».

Una commissione parlamentare d’inchiesta, istituita per indagare sulle intercettazioni, si è conclusa senza una relazione condivisa: l’opposizione ha infatti accusato i deputati di Nea Dimokratia di ostruzionismo, quando si sono opposti alla convocazione di personaggi considerati decisivi per la vicenda, come Lavranos. A seguito della chiamata della Commissione parlamentare per le Istituzioni e la Trasparenza, invece, Lavranos e Bitzios non si sono presentati sostenendo di risiedere all’estero e si sono detti disposti a rispondere per iscritto alle domande. L’unico a essere stato ascoltato è Dimitriadis, il nipote del premier, che ha negato ogni legame con l’utilizzo di Predator.

«Ogni ombra su questo caso deve essere allontanata prima delle elezioni» previste per la prossima primavera, ha invocato l’europarlamentare Sophie in ‘t Veld, ricordando come «sono di interesse non solo nazionale, ma anche europeo». Alla vigilanza di Bruxelles guardano con speranza i reporter greci, costretti a lavorare in un clima di crescenti intimidazioni, e i giovani, tra i più convinti che al pari del suo illustre americano, «il Watergate greco» debba concludersi con la scoperta dei responsabili.