Affari e politica
I morti di Ischia sono le ultime vittime del partito del cemento che da anni distrugge l’Italia
Oltre 69 chilometri quadrati di terreni vengono sepolti ogni anno da colate di calcestruzzo e asfalto. Anche in aree ad alto rischio di alluvioni, frane, terremoti. Come dimostra la cronaca di queste ore
C'è un partito in Italia che vince sempre le elezioni. Si presenta sotto diversi colori politici, quasi tutti, esclusi il verde e il rosso vivo degli assessori urbanisti della Bologna di una volta, della primavera di Napoli dopo Mani Pulite, della Sardegna salva-coste. È il partito del cemento. Un partito trasversale che domina da decenni il territorio nazionale, dalle grandi città alle coste di mari, fiumi e laghi, dai centri turistici alle periferie degradate. La sua forza, sotto tutti i governi, è misurata dai numeri e tabelle che pubblichiamo in queste pagine. Sono dati oggettivi, non opinioni: la quantità di terra, la superficie di suolo naturale, che ogni anno viene consumata, sfruttata, ricoperta da una crosta artificiale di calcestruzzo e asfalto.
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L'Italia continua da più di mezzo secolo a essere cementificata a ritmi frenetici: in media spariscono ogni giorno 19 ettari di verde. Più di due metri quadrati al secondo. La speculazione edilizia non si è fermata neppure quando il Paese era bloccato per il Covid-19. E dal 2021 è ripresa alla grande, raggiungendo i livelli più alti dell'ultimo decennio: la crosta grigia è aumentata di oltre 69 chilometri quadrati in dodici mesi.
Questi dati, contenuti nel rapporto pubblicato nel luglio 2022 dal Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa), nascono dalla schedatura di migliaia di foto aeree che documentano la progressiva cementificazione del nostro fragile territorio. Sono le immagini del disastro di una nazione dove si costruisce ovunque, di solito con tutti i permessi previsti da leggi e piani edilizi approvati dal partito trasversale del cemento, ma contro ogni regola di buon senso. In Italia si fabbricano case e capannoni, strade e parcheggi anche nelle zone a più alto rischio di alluvioni, frane, terremoti, disastri ecologici. Anche a costo di rovinare le bellezze naturali, i patrimoni culturali, i paesaggi che rendono unico il nostro Paese. Un sacco edilizio senza fine, che ignora tante tragiche calamità già vissute e i pericoli per il futuro, aggravati dall’emergenza globale del cambiamento climatico.
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Nell'ultima campagna elettorale si è parlato poco di ambiente, per nulla di consumo del suolo. Nell'Unione Europea, almeno finora, è diverso. Diversi atti della Ue imporrebbero anche all'Italia, che li ha firmati, di rallentare la cementificazione fino a bloccarla del tutto. Il suolo è un tesoro naturale, ha scritto e deliberato nel 2021 la Commissione di Bruxelles, che «deve essere tutelato e preservato per le generazioni future», perché «è una risorsa limitata e sostanzialmente non rinnovabile: occorrono migliaia di anni per produrre pochi centimetri di questo tappeto magico». Oltre a essere indispensabile per l'agricoltura, per garantirci cibo, legno e «riserve di biodiversità», la Commissione evidenzia che le terre vergini «svolgono molte altre funzioni preziose, come la regolazione del clima, il disinquinamento dell'aria e dell'acqua, il controllo dell’erosione, la difesa dai disastri idrogeologici». L'Europarlamento ha quantificato i danni collegati al degrado dei suoli in «oltre 50 miliardi di euro all'anno». Eppure in Italia la cementificazione continua, anzi aumenta. Perfino dove è più pericoloso costruire.
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Migliaia di case, fabbriche e centri commerciali sono stati edificati nelle zone a più alto rischio di alluvioni. I dati del rapporto, raccolti dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e da tutte le Agenzie regionali (Arpa), mostrano che in Italia è stato «consumato», cioè cementato o asfaltato, il 6,4 per cento delle aree «a pericolosità idraulica molto elevata». E il 9,3 per cento di quelle «a pericolosità media». Con situazioni drammatiche. In Liguria risulta cementificato il 23 per cento dei terreni a massimo rischio di straripamento di fiumi e torrenti. La minaccia di disastri idrici è diffusa anche in altre regioni, dal Trentino al Veneto, dal Lazio alla Sicilia, dove è a rischio circa un decimo del suolo occupato da attività umane.
Il “dossier alluvioni 2022”, pubblicato dal Wwf mentre a Senigallia si contavano le vittime, sottolinea che il cambiamento climatico, in Italia, sta aggravando i problemi creati dalla cementificazione dei fiumi e dei terreni dove dovrebbero sfogarsi le piene. «Negli ultimi 50 anni circa duemila chilometri quadrati di aree naturali di esondazione hanno subito varie forme di urbanizzazione», denuncia l'organizzazione ecologista: «Cemento e asfalto ostruiscono dal 3 al 25 per cento di tutte le sponde dei corsi d'acqua». Il rapporto Snpa-Ispra evidenzia che, nel 2021, sono diventati artificiali altri 361 ettari di suolo in «aree a elevata pericolosità idraulica» e 991 in zone «a rischio medio» di inondazioni.
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Il boom edilizio si allarga anche ai territori minacciati dalle frane. Cemento e asfalto, oggi, occupano più del 4 per cento delle zone a rischio «elevato» o «molto elevato» di smottamenti gravi. In Calabria si supera il dieci per cento, in Sicilia, Liguria e Umbria si arriva a quota 9. E anche questo problema si sta aggravando: nel 2021 sono stati edificati altri 370 ettari di terreni franosi, di cui 78 a rischio «elevato» e altri 38 «molto elevato». Considerando anche le aree a pericolosità «media» o «moderata», oggi più di un decimo del totale dei terreni edificati (oltre l'11 per cento) minaccia letteralmente di franare sotto i piedi degli italiani.
La mappa del nostro Paese, purtroppo, è segnata anche da vaste e popolose fasce di territori a rischio di terremoti. Ma pure qui ha vinto il partito del cemento. Nelle zone con «pericolosità sismica alta» o «molto alta» risultano edificati, in totale, ben 820 mila ettari di terreni. E nell'ultimo anno altri 24 milioni di metri quadrati di aree a massimo rischio di terremoti sono stati occupati da nuovi fabbricati, capannoni, strade e parcheggi, soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia, seguite da Lombardia e Veneto.
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Il consumo di suolo non risparmia neppure i parchi nazionali, che in dodici mesi hanno perduto 75 ettari di suolo naturale, di cui 14 in Campania, 12 in Abruzzo, 11 nel Lazio. Nel 2021 sono state cancellate ampie zone verdi anche in molte altre zone in teoria protette dalle norme di tutela dell’ambiente e del paesaggio, soprattutto in Abruzzo (137 ettari), Emilia (136) e Veneto (118). Il cemento avanza perfino nei siti nazionali più inquinati, con altri 82 ettari di suolo consumato, solo l’anno scorso, tra Porto Marghera, Sulcis e Casale Monferrato.
In Francia, Germania e altri Paesi europei ci sono leggi urbanistiche chiare e certe, che stabiliscono cosa e come si può costruire, senza dover chiedere favori, e dove invece non si può fare nulla, mai. In Italia invece l'urbanistica è da sempre un gran bazar delle licenze, piani regolatori e varianti, con regole che cambiano in ogni regione, provincia e comune, spesso insieme alle maggioranze politiche. Anche per questo, nelle statistiche giudiziarie, l'edilizia è il settore con i più alti tassi di corruzione e riciclaggio mafioso.
L'Espresso ha ottenuto dall'Ispra i dati completi degli ultimi 15 anni, divisi per regioni, che permettono di valutare, indirettamente, gli effetti sul territorio delle diverse maggioranze politiche. Nelle grandi città del Nord, in quasi tutta la riviera Adriatica dal Veneto alla Puglia, come da Napoli a Roma, mezzo secolo di boom urbanistico ha «saturato» il territorio, come scrivono i ricercatori. Ma in alcune di queste aree il sacco edilizio prosegue. La Lombardia è la regione italiana con più suolo artificiale (oltre 289 mila ettari, il 12,12 per cento), seguita da Veneto (11,90) e Campania (10,49). La stessa Lombardia ha consumato più verde di tutti anche nel 2021, con 883 ettari, e nella lista nera nazionale precede altre regioni molto cementificate come Veneto (684 ettari di verde in meno), Emilia (658), Piemonte (630) e Puglia (499).
La provincia di Monza e Brianza ha il record nazionale di suolo artificiale: il 41 per cento del territorio, con un aumento di 40 ettari nell'ultimo biennio. Cemento e asfalto dominano anche le aree metropolitane di Napoli (35 per cento) e Milano (32). Nel 2021 è la provincia di Brescia che ha consumato più verde (307 ettari), seguita da quelle di Roma (216) e Napoli (204). L'Espresso nel 1955 pubblicò un'inchiesta sui «palazzinari» con un titolo storico: capitale corrotta, nazione infetta. Oggi la città metropolitana di Roma è la più cementificata d'Italia, con oltre 70 mila ettari di suolo consumato.
Le coste sono le altre zone più colpite dalle speculazioni edilizie: in Italia è ormai diventato artificiale più di un quarto del territorio a meno di 300 metri dal mare. In Liguria si raggiunge il 47 per cento, nelle Marche il 45, in Abruzzo, Emilia, Campania, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia si supera il 30. E l'attacco alle coste continua, nel 2021, soprattutto in Abruzzo e Marche.
La cementificazione del territorio viene quasi sempre giustificata da previsioni urbanistiche, regionali o comunali, di aumento della popolazione. Ma i dati reali smentiscono da tempo questi alibi demografici. Nel 2021, in particolare, la popolazione italiana è diminuita di circa 405 mila persone, anche per i tassi eccezionali di mortalità dovuta al Covid, ma invece di ridursi, il consumo di suolo è aumentato: per ogni abitante in meno, sono stati cementificati altri 161 metri quadrati di verde. Questa assurdità urbanistica (più costruzioni per meno cittadini, mentre migliaia di edifici restano vuoti e abbandonati) riguarda ben 3.438 comuni italiani.
Dopo decenni di inerzia, nei mesi scorsi l'Italia si è impegnata con l'Unione Europea ad azzerare il consumo di suolo entro il 2030. I piani approvati dal governo Draghi (Pnrr e Transizione ecologica) prevedono il varo di una nuova legge urbanistica, con una regola base: basta cemento su terreni verdi, via libera solo alle ristrutturazioni. Anche per nuove opere d'interesse pubblico, si dovrà azzerare il consumo netto di suolo, ripristinando altrettante aree naturali. La riforma del febbraio scorso, che ha inserito la tutela dell'ambiente nella Costituzione, crea una cornice favorevole, come mai prima d'ora, a uno stop nazionale al sacco edilizio. Ora però resta da capire se l'agenda europea sarà confermata dalla nuova maggioranza di destra. O se invece vincerà ancora una volta il partito del cemento, come nei governi di Silvio Berlusconi, che legalizzò perfino gli abusi edilizi con i condoni del 1994 e del 2003.
L'Ispra ha calcolato che, al ritmo attuale, in Italia spariranno altri 570 chilometri quadrati di verde entro il 2030 e ben 1836 nel prossimo ventennio. Possibile che a distruggere ciò che resta del territorio nazionale sia un partito che si chiama Fratelli d'Italia?