Il sindaco-medico ha trasformato questo piccolo borgo in provincia di Pavia in un museo a cielo aperto. Per contrastare lo spopolamento che affligge tanti piccoli comuni

Mentre cammina per le strade del paese, Francesco Ratti si china ogni tanto a raccogliere carte e buste di plastica che sono state abbandonate per terra. «Tenere pulita la città è una delle cose più difficili», dice. È il sindaco di Gravellona Lomellina da quasi 30 anni, tra pochi mesi scadrà il suo ultimo mandato. «Lascerò il posto a qualcun altro, ma non smetterò di dedicarmi a questa città».

 

Gravellona Lomellina è un paese di 2.700 residenti, in provincia di Pavia, quasi al confine con il Piemonte. Da Milano ci si arriva in 50 minuti. Si può raggiungere la piazza principale in auto: Ratti ha deciso di non limitare il traffico perché aveva paura che la città si spegnesse.

 

Sui giornali locali della zona, Gravellona viene spesso definita un museo a cielo aperto. Le strade e le pareti delle case sono ricoperte da quadri, copie di opere esposte altrove che Ratti ha voluto portare in paese per regalare agli abitanti qualcosa da poter ammirare. Spiega: «Siamo abituati ad arredare solo le nostre case e a vivere in città che sono brutte. Io volevo che un paese signorile per pochi diventasse bello per tutti».

 

I quadri vengono selezionati da Ratti, che contatta i musei e chiede di poterli fotografare, per poi creare delle stampe da affiggere. «La maggior parte delle opere sono di macchiaioli e divisionisti italiani: di coloro che hanno raccontato il popolo». Ci sono i disegni dei pittori ottocenteschi Telemaco Signorini, Emilio Longoni, Angelo Morbelli. Raffigurano la sofferenza, la miseria, la povertà.

 

 

Il sindaco di Gravellona passeggia, come una guida turistica, per i vicoli del paese. Una delle sue stampe preferite è “Le gramignaie al fiume” (1896) di Niccolò Cannicci: sono rappresentate delle donne con i piedi immersi in un fiume, intente a raccogliere delle alghe. «Tutta l’erba era del padrone, quindi loro per dare da mangiare alle oche andavano a rubare le alghe dentro al fiume, l’unico posto che non apparteneva al padrone».

 

Secondo Ratti è fondamentale tramandare il ricordo di come hanno vissuto nel passato le fasce più deboli della società. «A un certo punto mi sono chiesto: perché non tentiamo di riconsegnare a chi vive qui, a chi passeggia per la nostra città la memoria storica della popolazione che era?». Ha pensato che ricoprire il paese con queste opere fosse l’unico modo per attirare l’attenzione e lo sguardo dei passanti, che spesso anche mentre camminano controllano insistentemente il cellulare.

 

Ratti è nato e cresciuto a Milano, dove ha intrapreso gli studi in medicina. Dopo due anni in Africa come volontario, ha deciso di diventare medico di base: «L’unico posto disponibile era Gravellona», racconta. Si è trasferito quando aveva 28 anni e da quel momento non si è mai più spostato. «Per anni sono stato il medico di famiglia della città, tutti mi conoscono». Per strada qualcuno lo saluta ancora chiamandolo dottore: «Oggi invece di curare le singole formiche, cerco di curare il formicaio», osserva scherzando. Per Ratti fare il sindaco è un mestiere travolgente, a cui dedicarsi 24 ore su 24. Ripete spesso che la città è la sua casa.

 

Anche per questo motivo ha voluto che diventasse più bella attraverso l’esposizione di quadri e la creazione di installazioni (come gli spazzacamini sui tetti o i gatti che suonano il pianoforte sul muro del municipio). L’arte ha rappresentato un mezzo attraverso cui far rinascere il paese, ricreando attorno alle diverse opere quel senso di comunità che stava scomparendo. Ratti non voleva che Gravellona fosse un paese abbandonato a se stesso, senza un’anima: ha spronato la popolazione a impegnarsi per rendere più suggestive e vivibili quelle strade. Le installazioni create nei vicoli della città e le opere esposte sui muri delle palazzine sono nate con l’aiuto dei cittadini, chi ha potuto ha donato qualcosa alla città per dare il suo contributo.

 

Appena fuori dal centro, per esempio, c’è una casa che è stata regalata al Comune da una signora anziana: «Non c’erano eredi e mi ha chiesto di farne qualcosa di bello», ricorda Ratti. Il Comune l’ha restaurata e ora vuole crearci una Scuola professionale di agricoltura, per portare un po’ di occupazione. «Nel paese per fortuna adesso qualcosa si trova ancora, perché c’è un artigiano che ha avuto successo nella moda e continua ad assumere».

 

Dei 7.904 Comuni italiani, 5.490 hanno una popolazione inferiore ai 5mila abitanti: rappresentano il 17 per cento della popolazione e amministrano il 54 per cento del territorio nazionale. Negli ultimi anni si sono via via svuotati sempre di più: i giovani preferiscono vivere nelle grandi città, dove trovare lavoro è più facile; le scuole iniziano a diminuire perché nascono sempre meno bambini e bambine; gli sportelli delle banche si spostano; i bar e i negozi che chiudono non riaprono e non vengono rimpiazzati.

 

Secondo l’ultimo report dell’Istat, dal 2011 al 2019 i Comuni con meno di 5mila abitanti hanno perso più di 520mila residenti. Una tendenza già segnalata dall’Anci, che due anni fa ha creato un atlante digitale per monitorare le condizioni dei piccoli paesi. I dati elaborati risalgono al 2017: l’Anci rilevava 4.007 Comuni con una variazione demografica negativa: il problema è trasversale e coinvolge tutta la penisola, da Nord a Sud. La maggior parte si concentra nelle zone interne, in particolare in montagna dove i trasporti spesso sono difficili, ma ci sono Comuni in via d’estinzione anche a bassa quota.

 

Nell’atlante dell’Anci Gravellona Lomellina è indicato tra i paesi stazionari, quelli cioè «con variazione demografica positiva ma inferiore a quella nazionale». In tutta Italia sono 528 i piccoli Comuni inseriti in questa categoria. «Mantenere la dimensione del paese non è facile, ma noi ci stiamo provando», commenta Ratti, che si interrompe per fermarsi a salutare un passante. Poi riprende: «Negli ultimi anni la popolazione è aumentata: eravamo 1.900, ora siamo 2.700. Ratti spiega che spesso chi non ha la possibilità di vivere in centro, nelle città, preferisce trasferirsi in posti di campagna come Gravellona Lomellina. «C’è stata una contro emigrazione».

 

La sfida allora rimane abituare i nuovi cittadini a vivere insieme agli altri, «perché oggi la gente sta più per i fatti suoi e non si interfaccia tanto con le persone». Mantenere in vita un paese significa anche questo: agire per far sopravvivere la comunità, al di là dei numeri. Ed è quello che Ratti insieme ai suoi assessori e ad alcuni abitanti ha provato a fare in questi anni a Gravellona Lomellina. I quadri e le installazioni sono soltanto una piccola parte del lavoro svolto.

 

Una delle opere a cui i cittadini tengono di più è uno spazio verde, il Parco dei tre laghi: una distesa di 240mila metri quadrati che ha creato l’amministrazione insieme a un gruppo di volontari. Il progetto è stato approvato nel 1993 dal Comune; dieci anni dopo, una volta ottenuti i permessi, sono iniziate ufficialmente le operazioni di progettazione. L’amministrazione comprò poco alla volta i terreni e iniziò a piantare 7mila alberi; negli anni poi sono comparsi tre laghi e diverse colline. Nel parco ora ci sono giochi e punti ristoro per i picnic all’aperto.

 

 

«Per noi questa è arte. Arte in latino è come “poieo” in greco: vuol dire fare, costruire. Qui prima non c’era niente e adesso è nato tutto questo». Vicino al terzo lago tra qualche mese sarà inaugurato anche il “Villaggio dell’anno mille”: un insieme di case e capanne che saranno realizzate con le tecniche di allora. Ratti le mostra con fierezza, mentre tocca il legno per verificarne le condizioni. «Qui faremo il mercato scoperto», dice.

 

Intanto gli abitanti di Gravellona Lomellina sperano che quest’anno arrivi finalmente la fibra. La attendono dal 2020. «In questo modo chi vuole allontanarsi dalla città e riscoprire la natura, può trasferirsi qui e lavorare in smart working», suggerisce Ratti. Durante la pandemia moltissime persone hanno iniziato a pensare di lasciare i grandi centri abitati, per riscoprire una normalità più comunitaria che scongiurasse l’isolamento avvertito durante i mesi del lockdown. Per venire incontro alle nuove esigenze dei propri abitanti anche una metropoli come Milano sta provando a trasformarsi: il sindaco Beppe Sala continua a ripetere che il futuro è la città a 15 minuti, dove ogni servizio essenziale è raggiungibile in un quarto d’ora.

 

Per i piccoli Comuni la pandemia potrebbe essere un’occasione per ripartire e sfidare lo spopolamento. Perché ciò accada, secondo Ratti, le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) devono essere distribuite in modo che possano giovarne anche i paesi con meno di 5mila residenti. «Qui con un po’ di soldi potremmo fare qualcosa di buono». Forse vanno in questa direzione i 42 milioni stanziati dal Dipartimento della funzione pubblica per rafforzare la capacità amministrativa dei piccoli Comuni e garantire prestazioni migliori attraverso assunzioni e digitalizzazione, anche in previsione dei finanziamenti europei. Con il Pnrr ai borghi italiani arriverà un miliardo di euro e bisognerà cercare di non sprecarlo.