L’occupazione di Kiev da parte delle truppe di Mosca è improbabile e avrebbe costi insostenibili. Se lo “zar” la minaccia è perché ha solo da guadagnare da questa situazione. Ma anche la Nato può uscirne rafforzata

Forse tutte le guerre sono sbagliate; certo molte hanno origine da errori di calcolo. Una delle parti in causa, ad esempio, può ritenere che l’avversario sia troppo debole o irresoluto per reagire a una provocazione, e spingersi troppo oltre; oppure, temendo che una situazione favorevole non sia destinata a durare a lungo, può decidere di sfruttarla prima che sia troppo tardi. La guerra nasce spesso dall’ignoranza, o dalla cattiva informazione; la pace, altrettanto spesso, ha più speranze di sopravvivere grazie a una valutazione corretta degli obiettivi e delle possibilità proprie e altrui. In ogni caso – in pace, in guerra, o in una delle tante situazioni ibride a cui dobbiamo abituarci nel XXI° secolo – è fondamentale comprendere cosa cerchi di ottenere il nemico e quali mezzi intenda impiegare. Il discorso strategico inizia sempre da valutazioni di questo tipo.

 

Putin oggi ha l’iniziativa. È la Russia a decidere cosa fare in Ucraina; la Nato deve reagire alla minaccia. Prima domanda a cui è necessario rispondere: esiste davvero il pericolo di un’invasione? Gli occidentali affermano di esserne convinti; se si analizzano le forze in campo, i rischi e i possibili vantaggi di un’offensiva, sembra invece improbabile che Putin si cacci in un’avventura del genere. Le truppe e i mezzi russi ammassati ai confini dell’Ucraina potrebbero essere sufficienti per ottenere una rapida vittoria “convenzionale”: la conquista dello spazio aereo sarebbe praticamente immediata, e due o tre colonne corazzate potrebbero convergere su Kiev, spezzando la resistenza ucraina prima che un problematico intervento della Nato sia in grado di stabilizzare la situazione sul terreno.

 

 

Ma poi cosa accadrebbe? Putin sa benissimo che mettere in piedi un governo fantoccio e sostenerlo contro un’opposizione popolare armata sarebbe un incubo. L’Ucraina non è la Cecenia: ha 1.000 chilometri di confine con Paesi della Nato, attraverso i quali l’Occidente potrebbe mantenere in vita – senza limiti di tempo e con costi umani e materiali sostenibili – una guerriglia nazionalista la cui semplice esistenza avrebbe ripercussioni disastrose sull’economia e sulla società dell’intera Russia. A Mosca ben pochi hanno dimenticato quanto lo sciagurato intervento in Afghanistan, seguito da nove anni di sanguinose operazioni militari contro i mujahidin, abbia segnato il destino dell’Unione Sovietica. Di sicuro non lo ha dimenticato Vladimir Putin, che negli ultimi anni si è dimostrato uno stratega al tempo stesso abile e prudente, usando al meglio tutte le armi di cui dispone la Russia, dalla forza militare convenzionale alle leve economiche, da azioni “ibride” all’uso di mercenari e proxies, ovvero milizie locali disposte a combattere le sue “guerre per procura”. Dal 2014 Putin ha ampliato il dominio strategico russo senza commettere errori né in Ucraina, né in Siria, né in Libia: c’è da scommettere che non inizierà a sbagliare adesso che si trova nella situazione più rischiosa e meno remunerativa, visto che ha già preso quello che più gli interessava – ovvero la Crimea, annessa in spregio al diritto internazionale, e il Donbass, che la Russia controlla attraverso le milizie delle repubbliche secessioniste.

 

Allora perché, se non ha nessuna intenzione di invadere l’Ucraina, Putin sta facendo salire la tensione? La risposta è in realtà banale, e può essere formulata con un’altra domanda: perché mai non dovrebbe? È un gioco a cui può solo vincere. Sul fronte interno, mostrare i muscoli ai confini ucraini, provocando reazioni atterrite e scomposte tra gli avversari occidentali, gli fa fare un’ottima figura con i concittadini, e consolida la sua immagine di uomo forte capace di difendere gli interessi del Paese; per quello che riguarda i rapporti con la comunità internazionale, finché un soldato russo non ne uccide uno ucraino Mosca non corre alcun rischio, ma può ottenere molto. Il messaggio che vuole inviare è chiaro: i russi, se vogliono, dispongono dei mezzi necessari a prendere Kiev in pochi giorni (non necessariamente attraverso un’offensiva convenzionale); per allentare la minaccia chiedono che la Nato rifiuti l’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza anche nel caso vi fosse una richiesta formale da parte del suo governo. Forse non è una clausola che possa essere esplicitamente inclusa in un trattato, ma ci sono molti modi per giungere a un’intesa di questo tipo in via riservata.

 

Non possiamo certamente stupirci che Putin persegua questo obbiettivo. Non solo ha sempre dichiarato di considerare una disgrazia l’ingresso dei Paesi dell’est europeo nell’Alleanza atlantica, che Mosca è stata costretta ad accettare dopo la dissoluzione dell’Urss; ha anche ripetuto più volte di ritenere inaccettabile ogni ulteriore ampliamento della Nato verso oriente. Di fronte al fatto compiuto la Russia adotterebbe senza dubbio contromisure aggressive; ma in questo momento i rischi di un’offensiva convenzionale in Ucraina superano di gran lunga i possibili vantaggi.

 

Perché, allora, tanta agitazione in Occidente? Anche in questo caso la risposta potrebbe essere piuttosto semplice. I più attivi sono i governi di Washington e Londra, dove Boris Johnson e Joe Biden hanno indici di popolarità tutt’altro che incoraggianti. La guerra, o anche solo il sabre-rattling – il rumore di sciabole – è da sempre una delle migliori “armi di distrazione di massa” di cui dispongano i politici in crisi. I vertici della Nato si adeguano, anche perché l’intraprendenza russa in vari teatri operativi ha avuto l’effetto di rivitalizzare un’alleanza occidentale che pareva in agonia. Questo potrebbe rivelarsi l’unico errore di Putin, per quanto inevitabile: speriamo non ne commetta altri.

 

Gastone Breccia, Università di Pavia