Un anno dopo l’intervento americano i talebani erano distrutti. Se gli alleati si fossero ritirati allora, sarebbe stato possibile un governo moderato. L’analisi di Stephen Wertheim

L 11 settembre 2001 Stephen Wertheim, oggi uno dei più quotati analisti americani di politica estera (è senior fellow dell’American Statecraft Program al Carnegie Endowment for International Peace) era ancora uno studente della high school. «Ricordo un annuncio al citofono della scuola che ci istruiva ad accendere la tv e a guardare lo svolgersi degli eventi. Ricordo solo il dolore e la rabbia e il sollievo quando gli Stati Uniti hanno iniziato a bombardare l’Afghanistan. Molto di quello che è successo dopo penso sia stato contenuto in quei momenti iniziali, quando il presidente Bush e i commentatori americani hanno definito molto rapidamente il significato degli eventi».

 

Vent’anni dopo la guerra in Afghanistan e il ritiro Usa. Può essere definita un successo come ha detto Biden?
«Sì e no. Non è certo un successo, l’America ha perso una guerra di 20 anni con un risultato orribile, perché i talebani hanno ripreso il controllo. Ed è assolutamente comprensibile che la gente in Occidente e altrove sia inorridita da ciò che è successo in Afghanistan nell’ultimo mese. Allo stesso tempo penso che Biden abbia ragione quando dice che ha preso la decisione giusta per uscire dalla guerra, che non c’era un modo carino o pulito per farlo. Da mesi, da anni, non c’era un bel quadro che potesse accompagnare la fine delle operazioni militari, proprio perché la guerra era uno sforzo perdente e i talebani persone profondamente repressive. Era chiaro che non ci sarebbe stata una transizione morbida del potere. Inoltre penso che per quanto caotica sia diventata la ritirata, una volta che i talebani hanno inaspettatamente preso il controllo dell’intero Paese, la conclusione della guerra avrebbe potuto essere anche peggiore».

 

In che senso?
«Quello che la maggior parte della gente a Washington sperava era un “intervallo” decente come quello che seguì il ritiro degli Stati Uniti dal Vietnam, uno o due anni. Sarebbe stato davvero meglio per il popolo dell’Afghanistan che ci fossero state altre migliaia di civili e soldati afghani uccisi e feriti nel prossimo anno o due, combattendo solo per ottenere lo stesso risultato alla fine? Sarebbe potuto sembrare più bello per coloro che volevano ignorare l’Afghanistan una volta che le truppe occidentali se ne fossero andate. Ma non sarebbe stato un risultato migliore».

 

C’è stato qualche grave errore dell’Intelligence? O è colpa di Biden e prima di lui di Trump e Obama?
«Penso che il fallimento più importante sia quello dei presidenti americani che si sono succeduti nel non accettare la sconfitta molti anni fa, quando la missione degli Stati Uniti e degli alleati in Afghanistan era finita. La guerra si è trasformata in quella che penso sia stata correttamente descritta come una “guerra eterna” perché gli obiettivi erano irraggiungibili. E la scelta è diventata davvero combattere per sempre o no. Se non hai intenzione di farlo, meglio andarsene ora».

 

Quando occorreva andarsene?
«Questo è il problema fondamentale. Dobbiamo tornare indietro al 2002 o al 2003. È possibile che se le forze alleate se ne fossero andate in quel momento, allora ci sarebbe potuto essere un futuro senza talebani per l’Afghanistan. A quel tempo erano stati sbaragliati, molti militanti stavano cercando di essere reintegrati nella società afghana. Al Qaeda era stata in gran parte cacciata dal Paese. Se si vuole pensare a un punto di svolta, è stato molto, molto presto in quella che poi è diventata una guerra di due decenni. Un punto di svolta in cui potenzialmente il risultato politico in Afghanistan avrebbe potuto rivelarsi decisamente migliore. Quello che è successo è che gli Stati Uniti hanno continuato a fare la guerra e l’insurrezione talebana è stata creata in gran parte in opposizione all’occupazione di truppe straniere sul suolo afghano. E da quel momento, per 15 anni, i talebani hanno solo guadagnato territorio e consensi. Penso che se davvero gli Stati Uniti, se Obama, ma anche Trump, Intelligence, militari, la comunità della sicurezza nazionale, si fossero allineati nel cercare di modellare l’uscita più propizia possibile molto prima, allora forse il governo afghano avrebbe avuto una migliore possibilità di difendersi».

 

Decisione presa infine da Trump con gli accordi di Doha.
«Credo che ci sia stata molta riluttanza fino alla fine sia in alcuni settori del Pentagono, sia nella comunità che guida la politica estera a Washington. Nonostante gli anni avuti a disposizione per pianificare la loro uscita, il possibile ritiro inizia in effetti solo con l’accordo di Doha del febbraio 2020 tra gli Stati Uniti e i talebani. Ma anche allora era estremamente incerto, non si sapeva se gli Stati Uniti si sarebbero effettivamente ritirati fino al momento in cui Joe Biden, solo mesi fa, ha annunciato ufficialmente la decisione e la data del ritiro».

 

Cosa non ha funzionato nella pianificazione?
«Andava usato meglio tutto il tempo che hanno avuto una volta deciso il ritiro. Una cosa che assolutamente si sarebbe potuta fare diversamente è che dal momento in cui l’amministrazione Trump è diventata seriamente intenzionata a ritirarsi, gli Stati Uniti avrebbero potuto fare uno sforzo totale per elaborare uno speciale visto d’immigrazione per gli afghani “vulnerabili” che volevano lasciare il Paese. Questo non è successo, non con sufficiente velocità ed è stato un chiaro fallimento. Quello che penso sia stato più difficile è stato proiettare come esattamente la guerra civile afghana sarebbe finita e quindi cosa doveva essere fatto per pianificare questa eventualità».

 

Vent’anni fa tutti gli americani (o quasi) erano per bombardare l’Afghanistan. Poi dopo meno di due anni è iniziata la guerra in Iraq, che ha diviso gli Usa. È stato l’Iraq l’errore principale?
«No, continuo a pensare che il grande errore sia iniziato con la guerra in Afghanistan. La guerra in Iraq è stata un errore imperdonabile. È stata una guerra illegale, una guerra di aggressione, che gli americani non avrebbero problemi a denunciare se fosse stata lanciata da qualsiasi altro Paese. Ma è la guerra in Afghanistan che è stata l’inizio dei problemi con le guerre americane dopo l’11 settembre. Anche se il presidente Biden ha suggerito che gli Stati Uniti avevano un chiaro obiettivo iniziale, decimare Al Qaeda e punire i talebani per aver ospitato Al Qaeda, penso che sia più vicino alla verità che l’obiettivo fosse quello di trasformare l’Afghanistan, c’era già l’idea del cosiddetto nation building, un concetto che era destinato a fallire. Per avere successo doveva essere fatto con molta più attenzione e sensibilità alle realtà dell’Afghanistan, cosa che una superpotenza lontana non era probabilmente in grado di fornire. Avrebbe dovuto essere fatto con la volontà di reintegrare gli ex membri dei talebani e la società afghana. Invece, gli Stati Uniti avevano una mentalità in bianco e nero: o sei con noi o sei contro di noi».