Il bilanciamento continuo tra gli eccessi e i vuoti dei partiti di maggioranza è alla base dell’azione del presidente del Consiglio. Un equilibrio molto delicato

Se sia meglio sbagliare per eccesso piuttosto che per difetto è un dilemma che attraversa quotidianamente la vita di molte persone e le insegue anche quando varcano la soglia della politica. È l’eterna disputa tra il troppo e il troppo poco, tra tutti i pieni e i vuoti a cui il nostro zelo e/o la nostra coscienza danno le loro mutevoli forme.

Sulla carta questo inedito duello appare impari. A favore dell’eccesso militano infatti i tratti romantici e generosi di quanti si prefiggono conquiste sempre più nobili e insieme le furbizie di chi ama prospettare racconti ed esiti improbabili eppure mirabolanti. Al suo primato concorrono lo zelo dei neofiti, la passione dei militanti, la densità delle dottrine, l’enfasi dei retori, l’impegno dei professionisti, il culto degli appassionati e via elencando. In una parola tutte le voci di quanti alla politica assegnano sorti magnifiche e progressive e ai quali parrebbe disdicevole giocare in punta di piedi una partita così densa di valori e di significati. Presentarsi al cospetto dei propri elettori (e della propria coscienza) con un discreto numero di esagerazioni appare a tutti costoro come un dovere gratificante e insieme obbligato. Insomma, una regola a cui sarebbe assai sconveniente derogare.


E tuttavia càpita poi di tanto in tanto che l’eccesso di tutti gli eccessi di cui sopra generi infine l’attesa di qualche difetto che almeno ne compensi certe esagerazioni. Come se un’oscura divinità politica ci richiamasse infine a ripristinare una misura più equa in base alla quale l’alternanza tra il troppo e il troppo poco, con pari diritti per entrambi, finisce per dare un senso al pendolarismo che caratterizza ogni democrazia ben organizzata.


Quello che succede nel giardino di casa della nostra politica da un po’ di tempo in qua sembra avvalorare quel curioso pendolarismo. Infatti, tutta la tessitura del rapporto tra Draghi e le forze della sua variopinta maggioranza richiama l’esigenza di bilanciare per quanto possibile i pieni e i vuoti, trovando di volta in volta un equilibrio tra la baldanza con cui si cerca di fare largo alle proprie ragioni e la discrezione con cui si lascia un minimo di spazio alle ragioni altrui. L’eccesso e il difetto, per l’appunto. Cosa che richiede una sapiente mescolanza dell’uno e dell’altro, e magari una maggiore enfasi su quelle prudenze e quei limiti che da ultimo erano stati più trascurati.


La strategia governativa di Draghi appare infatti largamente giocata sulla scommessa che i partiti che lo sostengono sbaglino per difetto e non per eccesso. Egli confida che le pulsioni di parte non si esprimano mai con troppa veemenza e non cozzino in maniera stridente le une contro le altre. Così, lascia che i capi delle tribù confluite nel suo accampamento piantino le loro bandierine. Stando attento però che esse non svettino troppo, né si facciano ombra a vicenda più del dovuto. E quando poi invece càpita che esse vengano ripiegate e momentaneamente sospendano le loro contese, si intuisce come egli se ne se senta sollevato. Senza però darlo mai eccessivamente a vedere.


Questa strategia infatti ha bisogno che anche Draghi stia ben attento a sua volta a non sbagliare per eccesso. Egli non deve mai dare anche solo l’impressione di avere in serbo pure lui la sua bandierina, né di pensare ad ingrandire più di tanto il suo territorio, né di proporsi di estendere il suo tempo e la sua forza più di quanto gli altri giudichino conveniente. Nel suo caso sbagliare per difetto, mostrando eccessiva condiscendenza verso questo o quello dei suoi momentanei azionisti, potrebbe comportare dei rischi. Ma a sua volta sbagliare per eccesso, come se la sua intenzione fosse quella di dilatare ancora di più le sue prerogative, lo esporrebbe a contraccolpi assai più pericolosi. Così, egli pare a sua volta particolarmente attento al dosaggio delle parole e dei gesti, e finanche dei sottintesi. Regolando se stesso per regolare gli altri.


La dialettica tra Draghi e i “suoi” partiti si svolge paradossalmente sul rispetto di confini e procedure che non sono mai stati codificati, e che anzi sembrano contraddire l’andazzo più sbarazzino seguito fino a pochi mesi fa. Laddove a furia di esagerare, un po’ tutti, si è finito per restituire un certo onore alla prudenza rimettendo in trono per una volta coloro che, temendo gli eccessi, preferiscono appunto che si sbagli per difetto.


Così, piano piano, un passo alla volta, calibrando parole e gesti, il codice della nostra politica sembra farsi quasi – quasi - più prudente e circospetto. Nel bel mezzo di urla che ancora risuonano, minacce che vengono profferite e vigilie elettorali che si riempiono di parole d’ordine inutilmente assertive, ci si comincia forse a rendere conto che la nostra politica ha soprattutto bisogno di riscoprire il senso della misura. E che, nel dubbio, quella misura è meglio racchiuderla nel perimetro dei suoi limiti piuttosto che perderla nell’ampiezza di certe sue esagerazioni.