Da Napoli a Oplontis, da Pompei a Castellamare di Stabia i siti più amati dai visitatori italiani e stranieri sono ricchi di novità. Tra lotte di gladiatori e lussuose ville mai viste prima

La Campania ha un cuore antico, anzi antichissimo. Abitata sin dalla preistoria, è in età romana che è diventata il centro di villeggiatura più chic. Aristocratici, generali, imperatori, costruivano qui le loro ville “d’ozio”, dove poter parlare in greco, la lingua della cultura elitaria, organizzare banchetti in riva al mare, curarsi con bagni termali. Era la Campania “felix”, un termine che all’inizio si riferiva alla straordinaria produzione di vino e grano, per poi comprendere quell’insieme di arte, paesaggio, clima dolce, che continuano a renderla unica. Oggi, ci permette di viaggiare nel tempo, ritornare a un passato che spunta ovunque, ricostruire modi di vita che si avvicinano per molti aspetti alla moderna quotidianità.

POMPEI
È sempre Pompei a occupare un posto di primo piano nel prolungare la nostra meraviglia: un laboratorio di storia che non finisce mai di esaurirsi. Si sono riaperte tante porte per entrare in luoghi finora chiusi per restauri o messa in sicurezza, e il pubblico è accolto anche con visite serali. Il prossimo appuntamento è il 12 agosto, quando il termopolio, scoperto due anni fa, darà l’avvio al tour di edifici di pregio nella “Regio V”, verso Porta Vesuvio.

Erano numerosi i locali di ristoro in città; ma i più frequentati erano i termopoli, dove si servivano piatti caldi. L’ultimo venuto alla luce è il più elegante: il bancone con i “dolia” inseriti per vari generi di alimenti, è completamente affrescato, davanti e dietro, dove i gestori servivano i clienti. Le figure sono molto accurate e dipinte con colori accesi: una sensuale Nereide, per dare un tocco “mitico” all’insieme, e - più prosaicamente - un gallo e due anatre germane a testa ingiù: la réclame di quanto si cucinava e si vendeva.

Insieme ai granai del Foro pompeiano, ora si potrà visitare la “Villa B” di Oplontis (Torre Annunziata), poco distante da quella di Poppea, seconda moglie di Nerone. All’epoca della scoperta, vi furono trovati una bellissima cassaforte in legno e bronzo e i resti di 40 fuggiaschi. Si tratta di un complesso commerciale, dove erano accumulati prodotti agricoli e si riempivano le anfore di vino per il trasporto su nave dal porto vicino. «È importante», sostiene Gabriel Zuchtriegel, direttore generale del Parco archeologico di Pompei, «ampliare la visita degli scavi più famosi con i siti di Oplontis, Boscoreale e Stabiae, perché sono pezzi di un grande mosaico da leggere tutto insieme: un complesso territoriale che interagiva ad ogni livello e ci permette di comprendere meglio le dinamiche sociali ed economiche di Pompei».

A settembre invece termineranno i lavori di ripristino della villa “di Diomede”: una residenza scenografica di 3500 mq, affacciata sull’antica linea di costa. Disposta su tre piani, era dotata di un impianto termale e di una piscina nel giardino porticato, dove si apriva una stanza semicircolare con alcova, chiusa da una tenda (si sono trovati gli anelli). Scavata alla fine del Settecento, divenne una meta obbligata per i visitatori da Grand Tour; fra gli altri, vi entrarono lo scrittore Thèophile Gautier, che si ispirò per il racconto “Marcella”, e il severo conte di Cavour, che non ha resistito a lasciare il suo nome graffito su una parete.

CASTELLAMMARE DI STABIA
Meno nota rispetto alle città venute alla luce con scavi estesi, l’antica Stabiae ha ampliato il nostro sapere sulla prima età imperiale per il lusso che non ha nulla da invidiare alle grandi “domus” di Pompei ed Ercolano.

Il contributo arriva da due ville scoperte tre secoli fa, che si offrono come itinerario di nicchia, ma non meno attraente. Sono di grandi dimensioni, e si trovano fuori dall’abitato, sul pianoro di Varano. Appartenevano ad alti personaggi politici della capitale che vi facevano arrivare artisti di fama per decorarle.

La “Villa di Arianna” prende il nome dall’affresco che ritrae la principessa cretese, autrice della salvezza di Teseo dal Labirinto grazie a un filo, e poi dall’eroe abbandonata. In una grande sala è ritratto il lieto fine del mito: ad Arianna addormentata appare il dio Dioniso, che si invaghisce di lei e la sposerà.

Mosaici pavimentali con disegni geometrici in bianco e nero sono ancora estesi e intatti; le pitture sulle pareti, presenti in ogni ambiente, sono conservate in buona parte e rivelano sia gusti diffusi che motivi del tutto originali. Come la stanza a fondo bianco che sembra ricoperta di piastrelle: gli spazi sono scanditi da losanghe regolari; al centro di ogni riquadro compaiono uccelli o tondi con immagini di amorini. Non mancavano agi esclusivi: quartiere termale, stanze con finestre panoramiche e un ampio giardino. Recuperata per 3000 mq, sfoggia i suoi porticati per passeggiare, lo spazio riservato al verde e le rampe che la collegavano al mare, più vicino rispetto a oggi. Sembra impossibile che in quest’atmosfera di benessere fisico e mentale, si potessero covare sentimenti di un odio implacabile; eppure, ne abbiamo una prova.

L’epigrafista Antonio Varone, dopo Pompei, ha esaminato quanto è rimasto sui muri delle due residenze (“Iscrizioni parietali di Stabia”, L’Erma di Bretschneider, 2020) e, nella Villa di Arianna, in una zona nascosta, ha rinvenuto una maledizione scritta con caratteri minutissimi. In poco spazio (13 x 10 cm) qualcuno si era rivolto a una divinità infernale - senza citarla - perché divorasse carne, reni, fegato e facoltà mentali di un certo Massimo, dopo averne legato mani, capelli e visceri. Sono stati trovati molti esempi di queste invettive feroci nel mondo antico; ma di solito le cosiddette “defictiones” erano incise su tavolette di piombo e sotterrate; questo è l’unico esempio graffito su un muro.

Disegni, scritte, firme, testimoniano in altre stanze tanti aspetti della vita che si svolgeva all’interno. C’era un’aula scolastica per i figli degli addetti alla manutenzione della villa, mentre in una camera da letto compaiono i nomi dei liberti che vi dormivano. Uno di loro si vantava di aver amato una donna e un uomo: numeri irrisori rispetto a quanto è stato graffito altrove. In un ambiente contiguo, qualcuno si rivolgeva a un grande amatore dicendogli che si era accoppiato con così tante donne, soprattutto di altri, da aver generato una grande discendenza. A questo punto, gli chiedeva: «Perché non organizzi le Olimpiadi dei materassi?».

L’altra super-dimora, articolata su due piani, è detta “di San Marco” per una cappella settecentesca che si trovava nella zona. Al tempo del suo splendore, godeva di 11.000 mq, con una piscina nel giardino interno lunga trentasei metri, e non aveva niente da invidiare alla Villa di Arianna e, presumibilmente, nemmeno alle altre che si ergevano sul pianoro. Provengono da queste residenze tanti affreschi che si trovano al MANN di Napoli; ma si riferiscono soprattutto a “San Marco” i raffinati reperti che possiamo ammirare nel Museo stabiano “Libero D’Orsi”, aperto lo scorso anno per volontà di Massimo Osanna. Da non perdere, la raffigurazione pittorica del planetario armillare (modello della sfera celeste ideato in epoca ellenistica): all’interno, appaiono l’Equatore e un Meridiano azionati dalla Primavera e dall’Autunno.

NAPOLI
Per la riapertura delle sue sale al pubblico, il Museo Nazionale di Napoli (MANN) ha fatto le cose in grande con la mostra “Gladiatori”, dedicata ai divi del mondo romano. Organizzata in collaborazione con il Parco archeologico del Colosseo e l’Antikenmuseum di Basilea (catalogo Electa, fino al 6 gennaio 2022), illustra ogni aspetto della loro violenta attività. Possiamo così conoscerne anche la dieta, a base di verdure e legumi, con un “tonico” composto da cenere e ossa.

È il Salone della Meridiana a presentare i 160 reperti, suddivisi in sei sezioni: rilievi con scene di combattimento, suppellettili, modellini, strumenti musicali che accompagnavano gli scontri e, per la prima volta in Italia, un pavimento restaurato di mosaico (6,55 x 9,8 m) che arriva da Augusta Raurica (odierna Augst, in Svizzera). In una vasta gamma cromatica, quadretti con coppie affrontate di gladiatori si inseriscono in una ricercata decorazione (II sec. d.C.). Il clou della rassegna riguarda però le armature da parata: scudi, schinieri, e soprattutto elmi riccamente decorati, ritrovati a Pompei e conservati nel museo napoletano.

Il numero dei visitatori sta premiando l’impegno profuso per la rassegna: «In poco più di due mesi», fa notare Paolo Giulierini, direttore del MANN, «nonostante gli ingressi contingentati, l’hanno vista in 40.000; e fra essi molti bambini. Ai più piccoli è infatti dedicato uno spazio speciale allestito nel Braccio Nuovo: “Gladiatorimania”, dove potrà divertirsi anche chi non andrà in vacanza».

I duelli gladiatori ebbero origine nei riti funebri, come dimostrano le immagini su vasi e sulle lastre dipinte di Paestum, per poi diventare “ludi” spettacolari di massa. Proprio in Campania esisteva una cospicua serie di anfiteatri per le loro esibizioni, dei quali i più rinomati - tuttora in piedi - erano a Pompei, Capua e Pozzuoli. Per ogni evento, sui muri delle città apparivano i nomi degli organizzatori, dei partecipanti, e i tipi di spettacoli offerti; di solito, prima degli scontri fra gladiatori, si svolgevano le cacce agli animali feroci, le “venationes”, che appassionavano il pubblico.

L’entusiasmo arrivava però al massimo quando si cimentavano i campioni - mirmilloni, reziari, traci, opliti, caratterizzati dal diverso tipo di armatura -, talmente bravi che, pur se sconfitti, erano spesso risparmiati dal colpo letale.

Non si contavano le ammiratici femminili, ma c’erano anche donne che scendevano nell’arena per combattere. Le citano storici greci e latini, come le gladiatrici che, al tempo dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), si scontravano di notte alla luce delle fiaccole.