In milioni denunciavamo a gran voce e senza indugi la connessione tra la globalizzazione delle merci e la separazione delle genti, le alleanze subdole tra signori dell’odio e padroni delle armi. Ci accusavano di massimalismo e utopismo irresponsabile

Col senno di poi.
Se lo avessimo saputo ovvio che non lo avremmo fatto.
L’epilogo del ventennio dell’operazione militare in Afghanistan produce una sorta di cortocircuito temporale che in molti non si aspettavano. Un buco, un vortice di risucchio storico che irrimediabilmente interroga coscienze e scelte. Un “ritorno” al punto di partenza che interroga anche le più solide convinzioni interventiste.


Col senno di poi lo avremmo davvero fatto?
Senno. Consapevolezza, comprensione che deriva dalla fatica dell’analizzare e del comprendere. Avviene normalmente a posteriori, perché ha bisogno della serietà dell’osservare e del metabolizzare. Ma può avvenire anche a priori, lì dove il coraggio di comprendere si oppone alla convenienza dell’accettare.


Col senno di prima.
Colla tenacia di anteporre la ragionevolezza all’interesse.
Colla libertà di far valere la critica all’adesione.


Vent’anni fa, io mi ricordo, in molti, in decine, in centinaia di migliaia avevamo manifestato il senno del prima. Io avevo poco più di vent’anni, iniziavo appena a poter capire, ma sentivo con chiarezza che nel canyon stretto del manicheismo che divideva il mondo tra pro e contro talebani, esisteva un sentiero più libero e coraggioso che evidenziava la miopia e la follia di quella dottrina.


Nei primi anni duemila un movimento globale profondo e radicale attraversava il mondo contrapponendosi tanto al fondamentalismo quanto al neo imperialismo, tanto al nazionalismo quanto al neo liberismo, tanto al campanilismo quanto alle diseguaglianze. Quel movimento aveva denunciato l’irresponsabilità e la violenza degli interventi bellici pseudo-umanitari, dal Kosovo all’Afghanistan, dalla Fortezza Europa all’Iraq.

Denunciavamo a gran voce e senza indugi la connessione micidiale tra la globalizzazione delle merci e la separazione delle genti, le alleanze subdole tra signori dell’odio e padroni delle armi, le amicizie inquietanti tra estremismi islamici e conservatorismi cristiani. I nostri nemici ci accusavano di massimalismo e utopismo irresponsabile. Ma non ci fermavamo. Eravamo in milioni nelle strade di tutto il mondo. E col senno di poi rappresentavamo senza alcun dubbio il senno di prima. Avremmo dovuto non fermarci davvero. O forse dovremmo provare a ripartire.