Fare una sintesi delle varie posizioni è un compito obbligato ma sempre più difficile per il presidente del Consiglio

Fare sintesi. Una parola che pare veramente magica ed è complicata, quant’altre mai, nella sua realizzazione. Specialmente in un Paese come il nostro, dove lo stato d’eccezione si rivela permanente da ben prima dello scoppio della pandemia.

E, pertanto, il primo a dover operare delle sintesi di questi tempi è il presidente del Consiglio Mario Draghi. Sul cronoprogramma delle riaperture come sull’orario del coprifuoco, sulla data dello sblocco dei licenziamenti come sulla tassa di successione, sulle semplificazioni come sull’architettura della governance del Recovery Plan (sfrenato oggetto del desiderio partitico).

Una sintesi obbligata - e sempre più faticosa - all’interno del governo di larghe intese di fronte ai sintomi di un ritorno della “partitocrazia”. E al cospetto di tutta una serie di contrastanti spinte di posizionamento, che evocano il mai sopito riflesso pavloviano della campagna elettorale permanente (in vista delle prossime amministrative). E, come se non bastasse, a Draghi tocca pure di adoperarsi per ricercare con i partner Ue una sintesi vantaggiosa per l’Italia sui ricollocamenti dei migranti e dei rifugiati - anche perché questo è uno dei terreni più minati per la tenuta dell’esecutivo di (difficoltosa) unità nazionale.


A conferma delle sue qualità di tecnico politico, “SuperMario” il Sintetizzatore sta dunque facendo largamente ricorso allo strumento della mediazione, virtù principe di chi, per l’appunto, sa fare la politica. Ma affinché il sistema-Paese non perda quello che rappresenta davvero l’ultimo treno (incarnato dalle risorse del Next Generation Eu) servirebbe altresì uno sforzo di sintesi generale, che corrisponde pure a un’assunzione di responsabilità collettiva.

E, quindi, a una sintesi autentica fra gli interessi particolari (che troppo spesso sono corporativismi), le parti sociali e i poteri che, invece, accentuano ogni giorno di più la conflittualità. Quella che sembra una mission impossible, ma che dovrebbe diventare praticabile, se non si vuole consegnare l’Italia a una deriva senza ritorno.