La rincorsa alla polemica del giorno o alla dichiarazione dell’influencer fa perdere di vista l’importanza di costruire

A volte è la notizia che non c’è a dare conto di quello che accade. Sono passati venti giorni o poco più dall’intemerata di Fedez sulla Rai, il primo maggio e l’omotransfobia. Lì per lì, sembrava l’annuncio di una novità anche politica, l’avvento degli influencer (copyright Panarari), il loro assalto al Palazzo. Un’onda possente destinata a cancellare alcuni dei castelli di sabbia che i partiti avevano costruito in riva al mare. Ora, può ancora darsi che di questo si tratti e che come un fiume carsico l’argomento e i suoi protagonisti si riaffaccino sulla scena pubblica non appena se ne presenterà l’occasione. Ma resta il fatto che certe novità si presentano quasi sempre nelle forme della loro stessa evanescenza: l’onda, la sabbia, il vento, la polvere. Quasi a descrivere una politica liquida e sfuggente intenta a porre rimedio alla troppo massiccia solidità di quella di una volta.


Certo, lì per lì l’onda fa impressione, e quando è così possente, lo sanno bene i marinai, si può poco o niente. E infatti quasi nessuno, fin qui, ha osato opporre un’obiezione a Fedez, magari contando sull’oblio oppure sull’indulgenza del giorno dopo. Il fatto è però che la politica non può essere sempre e solo una successione di onde. Dovrebbe essere semmai una costruzione. Un mattone sopra l’altro, posati con metodo e fatica - e magari con un po’ di tempo a disposizione. E prima ancora, un progetto che dia un senso a tutti quei mattoni impilati.

Il fatto è però che mattoni e progetti non se ne vedono. Piuttosto, si vede all’opera una deriva emozionale che da qualche anno a questa parte ci fa sognare una politica che coltiva e asseconda stati d’animo, frammenta storie che non sa più raccontare, vive di attimi che non hanno quasi nessuna concatenazione. E infatti se qualcuno cercasse un briciolo di coerenza tra un’emozione e l’altra dubito che riuscirebbe a trovarla.


Certo, non sempre i mattoni di una volta davano vita a costruzioni armoniose. Servivano a volte a costruire ponti, altre volte a erigere muri. Erano il materiale con cui magari si edificavano prigioni e si rendevano invalicabili i confini. E la nostra immaginazione sognava a quel punto che arrivasse un’onda o una ventata o anche solo un grido che ce ne liberasse. Con l’idea, però, di costruire l’indomani qualcosa di meglio, di dedicare la nostra solidità a cause più nobili.

Invece oggi tutto diventa volatile, quasi evanescente. Scopriamo un argomento, lo gonfiamo come un palloncino e il giorno dopo ce ne dimentichiamo. Nel frattempo un altro palloncino, di un altro colore, sta per guadagnare la nostra attenzione e il nostro applauso. Ma nessuno poi ne segue il percorso e si assicura che tutti quei palloncini arrivino da qualche parte e magari sortiscano qualche conseguenza.


Lo so che questo ragionamento sembra il rimpianto di un dirigente politico attempato. E forse lo è. Ma il rimpianto in questo caso contiene un avvertimento. E cioè che a furia di coltivare emozioni, anche le più effimere, stiamo perdendo di vista quello che è più essenziale per una buona politica: il suo sentimento civile. Cioè il nesso che connette una legge all’altra, un gesto all’altro, un argomento all’altro. In due parole, il suo significato e il suo esito.

Dovremo pur chiederci qualche volta cosa ne è stato delle emozioni e delle indignazioni di appena qualche settimana prima. Scopriremmo che il più delle volte sono andate perse, prive di conseguenze, e che nel frattempo la nostra immaginazione ne ha forgiate altre fino a capovolgerne il senso. Senza quasi mai prendersi cura del fatto che arrivassero a destinazione.

La nostra civiltà si fonda sul dinamismo, è risaputo. E i ritardi della politica di tutti questi anni giustificano la frenesia e l’insofferenza e perfino l’indignazione che vanno tanto di moda. Ma un giorno o l’altro si dovrà pur dar conto a chi viene dopo di noi di cosa è rimasto di tutte le parole che abbiamo speso, e tutte le grida, e tutte le buone intenzioni. E io temo che a quel punto scopriremo che la volatilità delle emozioni ha sostituito la densità dei sentimenti, facendoli evaporare e lasciandoci in eredità risultati piuttosto modesti.