Manon Aubry è l’eurodeputata della sinistra francese diventata famosa per il discorso alla Von der Leyen sulle mancanze dell’Unione in tema di vaccini. E tra le sue battaglie c’è quella di renderne pubblici i brevetti

Manon Aubry è una giovane eurodeputata francese, «una ragazza che viene dal mondo delle associazioni», come lei stessa sottolinea. Il 10 febbraio nel suo intervento al Parlamento europeo di fronte alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha denunciato l’opacità e l’impotenza della Commissione europea nei confronti di “Big Pharma”, i colossi farmaceutici che forniscono i vaccini contro il Covid-19 in Europa. Per fare chiarezza su contratti, prezzi e calendario stabiliti con le aziende, oltre che sui ritardi nelle consegne dei vaccini, Aubry ha richiesto la creazione di una commissione d’inchiesta. L’intervento è diventato virale: su Facebook il video ha avuto milioni di visualizzazioni.


Aubry è uno dei nuovi volti della sinistra: un passato da attivista per l’Ong Oxfam, nel 2005 ha militato per il no al referendum sulla Costituzione Europea; più tardi, nel 2018 è stata nominata capolista del movimento di estrema sinistra “La France Insoumise”, guidato da Jean-Luc Mélenchon, che alcuni definiscono populista. Nel 2019 alle elezioni europee ha conquistato il suo primo mandato politico: a soli 29 anni è diventata co-presidente del gruppo Sinistra al Parlamento europeo, membro della commissione affari economici e monetari. Tra le sue battaglie c’è quella di rendere pubblici i brevetti dei vaccini.


Madame Aubry, la campagna vaccinale in Europa sta attraversando pesanti difficoltà. Nel suo discorso del 10 febbraio al Parlamento europeo lei ha criticato duramente la Commissione europea per i negoziati con le aziende farmaceutiche. Ha ricevuto una risposta da parte della Commissione europea?
«La settimana del mio intervento abbiamo avuto una riunione con la presidente della Commissione. Quello che mi ha colpito durante il nostro scambio è stata la sensazione di impotenza, di debolezza, la presidente ci stava quasi implorando di fare pressione sui laboratori sia per ottenere i contratti nella loro interezza che per far rispettare il loro calendario di consegna. Mi ha impressionato al punto che mi sono detta: “Quella che ho di fronte non è la presidente della Commissione europea!”. Sembrava una spettatrice esterna, una semplice cittadina, mi sono chiesta quando ha abbandonato il ruolo che è il nostro, ovvero di dettare le regole. È sorprendente che la Commissione europea non abbia mostrato la volontà di riprendere il controllo, di prendere in mano le cose, di dire: “Ok, siamo stati troppo deboli ma ora stabiliamo delle regole”. I laboratori stanno mettendo gli Stati in concorrenza l’uno contro l’altro, giocando sulla scarsità dei vaccini. Alla fine paghiamo un prezzo molto alto, non abbiamo la quantità di vaccino di cui abbiamo bisogno. Noi continuiamo a lottare per la creazione di una commissione d’inchiesta il cui obiettivo non è solo quello di dire che questo è sbagliato o di trovare i colpevoli, ma di trarre delle lezioni. Siamo ben lontani dall’uscita da questa crisi. Se siamo incapaci di stabilire regole per i laboratori farmaceutici, saremo altrettanto incapaci di stabilire regole per le grandi imprese inquinanti in materia ambientale. È in gioco il ruolo della politica di fronte alle sfide imposte dalle multinazionali».

 

 


Mercoledì 11 marzo, in vista delle elezioni regionali francesi, è stata annunciata l’unione della sinistra nella regione Hauts-de-France, ovvero l’alleanza tra il suo partito, la France Insoumise, il Partito socialista, i Verdi e il Partito comunista. In Francia, come in Italia, c’è una grande frammentazione tra i partiti di sinistra che non serve la causa delle idee. L’unione dei partiti è l’unico modo per la sinistra di sopravvivere?
«L’unico modo per sopravvivere è continuare a dare speranza e a rispondere alle preoccupazioni della vita quotidiana, su questo la sinistra ha perso il suo Dna. Il mandato di François Hollande ha fatto molto male in Francia alla sinistra: il popolo della sinistra si è raggruppato, ha sperato e poi è stato deluso. Ora per me il problema è come ridare speranza e soluzioni, è più una questione programmatica. Il fatto che possiamo riunirci perché così è più efficace, è una buona notizia. Vengo dalla regione Paca (Provenza-Alpi-Costa Azzurra) nel sud del paese, vicino all’Italia: lì c’è un forte rischio di vittoria dell’estrema destra, spero che si adotti un modello simile. Per quanto riguarda le elezioni nazionali, dovremo metterci d’accordo sul programma. Il parallelo con l’Italia ha senso e questo spiega l’eco che ha avuto il mio intervento in Italia. Vediamo l’Italia come un segnale d’allarme: quando la sinistra non è più in grado di rispondere alle preoccupazioni della gente e di darle speranza, allora crolla e ci vuole tempo per ricostruirsi. In Francia siamo a un punto di svolta: o prendiamo una strada chiara o crolliamo. Spero che riusciremo a unirci il più possibile».


Lei è un giovane laureata di SciencesPo Parigi, dove ha insegnato il nuovo segretario del Partito democratico Enrico Letta. In Francia, la maggior parte dei politici sono formati a SciencesPo o all’Ena. In Italia, i politici non hanno necessariamente una formazione qualificata e non è raro che provengano dal mondo dello spettacolo. Pensa che una formazione di qualità come quella che lei ha ricevuto sia indispensabile per poter rappresentare i cittadini?
«Assolutamente no. A SciencesPo si riceve uno stampino liberale. Ho rifiutato di stare in questo stampino ed è anche per questo che dopo SciencesPo ho deciso di non fare politica e sono andata a lavorare nel settore associativo. Onestamente non penso serva questo stampino liberale per rappresentare delle persone. È in gioco la democrazia: la politica tornerà ad essere uno strumento per decidere collettivamente il nostro futuro quando saremo capaci di includere delle persone nuove, di essere inclusivi nei confronti dell’insieme della popolazione, la politica ritroverà il suo senso quando avremo operai, impiegati, agricoltori, tutta la diversità della società e non un solo tipo di profilo che non rappresenta tutta la società».


Come è già successo per il Movimento 5 Stelle?
«Sì, in un certo senso, poi servirebbe più ideologia per evitare di allearsi con l’estrema destra! Ma sì abbiamo bisogno di tutti e tutte. Per esempio, in Francia abbiamo il 20% di operai, servirebbe il 20% di operai al parlamento. Mi ricordo quando a 18 anni sono arrivata a SciencesPo, arrivavo dal sud della Francia, non conoscevo Parigi, non frequentavo quell’ambiente e mi ricordo della violenza sociale che è stata per me il fatto di scoprire un mondo che non era il mio, con persone che si conoscevano già molto bene, parlavano benissimo inglese mentre io parlavo un inglese scolastico. È stata una forma di violenza molto forte che ho vissuto molto giovane. Se un operaio di 40 anni fosse eletto al parlamento subirebbe ancora di più la stessa violenza che ho provato io, bisogna diversificare le origini e i percorsi politici».


Le piace quello che sta facendo, l’attività da eurodeputata?
«È una domanda che mi fanno spesso, faccio fatica a rispondere. Se la domanda è se preferisco questa vita alla mia vita di prima, non lo so. Oggi penso di essere più utile, poi è chiaro che non bisogna che faccia questo tutta la vita, per rimanere fedele ai miei valori. Non voglio diventare come tutti quelli che mi toglievano la voglia di fare politica. Ho un mestiere che voglio riprendere più tardi».


La battaglia per i diritti delle donne è una delle sue lotte politiche principali. Cosa significa per lei essere donna?
«Rappresentare la maggioranza della popolazione, il 51%, ed essere ridotta sempre ad una minoranza. Una minoranza che non ha gli stessi diritti: in termini di diritto del lavoro guadagniamo ancora un quarto di stipendio in meno, non abbiamo le stesse prospettive di evoluzione. Io poi ho la specificità di essere una donna in politica, e aggiungo una giovane donna che viene dal mondo associativo : in politica questi sono handicap che si accumulano. Me lo fanno sentire al Parlamento europeo. Bisogna fare della protezione delle donne una priorità in Europa, mentre si sta andando indietro. È terribile dire che nel 2021 il diritto all’aborto non è assolutamente un diritto garantito sul suolo europeo: c’è la Polonia che sta per vietarlo, Malta dove è vietato, in molti Stati è ampiamente limitato, penso che sia il caso anche in Italia con l’obiezione di coscienza. C’è una strada enorme ancora da percorrere!».