Il fronte per la candidatura all’Eliseo del giornalista che vuole scardinare il sistema come Donald Trump può contare su una rete potentissima. A cui si aggiunge il peso mediatico di Bolloré

«Un clown che non fa ridere», «l’intellettuale organico della destra», «il Trump francese». In pochi mesi il 63enne Éric Zemmour ha provocato un terremoto mediatico: giornali, radio, tv, social non fanno che parlare del quasi-candidato alle elezioni presidenziali. L’ex giornalista del Figaro punta all’Eliseo con tre idee: combattere “l’islamizzazione della Francia”, imporre l’assimilazione agli stranieri, rafforzare l’identità francese. Le sue invettive dividono il paese e suscitano la schizofrenia del dibattito pubblico. Lui vuole vietare i nomi non francesi, che non figurano né sul calendario romano né sul calendario rivoluzionario? L’Accademia del Premio Goncourt, il più antico e prestigioso premio letterario, quest’anno ha premiato Mohamed Mbougar Sarr, autore senegalese con il nome del profeta musulmano.

 

Com’è riuscito a occupare il centro della scena politica? Tra i molti intellettuali ultraconservatori che si sono imposti negli ultimi anni, Zemmour esprime le sue idee da “polemista”, come viene definito, interpretando le posizioni più radicali della destra. Nel 2002 l’inchiesta dello storico David Lindenberg “Rappel à l’ordre” aveva rivelato, in modo premonitorio, l’emergenza di una cultura “neoreazionaria” nel panorama intellettuale francese. A gennaio, il magazine “Valeurs actuelles” ha organizzato un incontro pubblico per «trovare la nuova star della destra» a cui hanno partecipato Éric Zemmour, Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen, il generale Philippe de Villiers. Per il settimanale ultrareazionario la destra è «orfana di un salvatore capace di radunare tutte le sue famiglie, stretta tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen». Accanto al testo una foto di Éric Zemmour che sorride a Michel Houellebecq: anche lui, come l’autore di “Sottomissione”, è diventato un personaggio di riferimento del panorama culturale francese.

 

 

Per il giornalista i nemici da combattere sono due: il pensiero progressista, assimilabile al perbenismo, e l’Islam che invade la Francia minacciando l’identità francese. Ma come si può definire l’identità francese? «Un paese di razza bianca, di religione cristiana e di cultura greco-romana», risponde Zemmour con una frase attribuita a Charles de Gaulle.

 

Mathieu Soquière, autore dello studio “2022, la flambée populiste” per la Fondazione Jean-Jaurès, osserva che «in sole sei settimane c’è stata un’impennata delle preferenze per Zemmour, passato dal 5 al 17% nei sondaggi. Oggi se si sommano le preferenze per Zemmour e per Marine Le Pen raggiungiamo il 35%, ovvero un terzo dei francesi appoggia idee di estrema destra». Questo fenomeno preoccupa. «È trascorso abbastanza tempo dal 1945, dall’epoca fascista, l’estrema destra ha impiegato quarant’anni per rialzare la testa, ma questa volta è più pericolosa», osserva Laurent Binet, lo scrittore del bestseller “HHhH”.

 

All’origine di questa esplosione ultraconservatrice e identitaria c’è l’attuale configurazione politica, ancora molto confusa. Il partito Les Republicains è frammentato e alla ricerca di un nuovo rappresentante. Dopo la condanna di Nicolas Sarkozy per finanziamento illegale della propria campagna presidenziale e quella di François Fillon in prima istanza per appropriazione indebita di fondi pubblici, la destra fatica a ricomporsi. Emmanuel Macron ha vinto la scommessa elettorale grazie alla rivoluzione del “né destra né sinistra”, sconvolgendo il paesaggio politico e spostando il cursore al centro. A questo si aggiunge la leadership in difficoltà di Marine Le Pen, definita da Zemmour «donna di sinistra», a seguito dell’operazione “dediabolisation”: basta Frexit, assenza alla “Manif pour tous” (collettivo contro matrimonio e adozioni gay), svolta sociale in materia economica. La mutazione del partito, più accettabile per le istituzioni, non ha prodotto i risultati elettorali tanto attesi, sottolinea il sondaggista Jérôme Sainte-Marie. Al fallimento del 2017, è seguito il più recente flop del Rassemblement National alle elezioni regionali. Oggi Marine Le Pen non viene percepita come capace di vincere le prossime elezioni, osserva Sainte-Marie: anche suo padre Jean-Marie Le Pen appoggia Zemmour: «Ha il vantaggio della novità. Arriva, è sorprendente, incisivo, e scuote gli edifici esistenti».

 

Per l’economista Daniel Cohen il giornalista rappresenta «una ripresa di controllo di un’estrema destra neo-trumpiana rispetto ad un disegno più complicato e fallito di Marine Le Pen, quello di riunire l’estrema sinistra e l’estrema destra». Nathalie Saint-Cricq, editorialista politica di France2, sua ex collega al Quotidien de Paris, osserva: «Zemmour è un intellettuale brillante, un tipo divertente, ma soprattutto un uomo di televisione, un accusatore, in nessun caso un uomo politico». Non tutti sono d’accordo sulla sua erudizione. «Zemmour è un’impostura, commette un sacco di errori grossolani, ha la cultura storica di uno studente che prepara il concorso per SciencesPo, ma non di più», osserva il filosofo Arnaud François. Il suo ex professore di SciencesPo, il banchiere Patrick Careil, conferma: «Se dovessi correggere uno dei suoi interventi, avrebbe un voto sotto la sufficienza».

 

Nel varco di rappresentanza aperto a destra, ha trovato spazio l’estremista Éric Zemmour. Di origini modeste, dopo due tentativi falliti di ingresso all’Ena, l’alta scuola di amministrazione francese, e una breve esperienza da pubblicitario, entra nella redazione del Quotidien de Paris e intraprende una lunga carriera da giornalista a Le Figaro. Inizialmente si firma con lo pseudonimo Zanni, personaggio doppio della commedia dell’arte, servo scaltro e buffone. Il giornalista è animato da due forze: appartenere all’élite intellettuale borghese ed essere popolare. Con gli anni Zemmour si radicalizza: più volte condannato e assolto per incitazione all’odio razziale, nel 2014, dopo un’intervista al Corriere della Sera nella quale evoca la deportazione dei musulmani, viene licenziato da I-Télé. Per il polemista «l’Islam è incompatibile con la Francia». Le sue parole sono l’espressione dell’angoscia per una presunta decadenza del Paese, incapace secondo lui di difendersi dall’Islam e dall’immigrazione.

 

 

La minuziosa inchiesta “Le Radicalisé”(edizioni Seuil) del giornalista Etienne Girard svela la rete di sostegni del quasi-candidato. Una parte del mondo cattolico si sta avvicinando a lui, che senza fare allusioni metafisiche ha spesso evocato l’identità cattolica della Francia. Tra gli interessati c’è Guillaume de Thieulloy, magnate della stampa cattolica integralista in Francia, ma anche il nuovo Partito cristiano-democratico francese. Diversi giovani sono stati affascinati: alcuni vicini alla “Manif pour tous”, provenienti dall’entourage di Marion Maréchal, altri delusi da Sarkozy, alcuni non convinti dall’ideologia dei diritti dell’uomo difesa dai macronisti.

 

Due ragazzi di fiducia lavorano dietro le quinte: Sarah Knafo, 28enne diplomata all’Ena, ombra di Zemmour, di cui gestisce riunioni strategiche e presenza mediatica, e il 34enne Samuel Lafont, esperto di social network, sorta di Luca Morisi transalpino. La corsa ai finanziamenti per la campagna è iniziata, con la creazione di un’associazione di finanziamento “Gli amici di Éric Zemmour” : una cellula gestita da professionisti come Julien Madar e Jonathan Nadler, banchieri passati da Rotschild e JP Morgan. Laurent Meeschaert, proprietario del mensile di estrema destra L’Incorrect, ex direttore delle risorse umane di L’Oréal, si è impegnato a finanziarlo convinto che il polemista sarà capace di realizzare l’unione della destra. Il milionario Charles Gave, vicino all’estrema destra, gli ha prestato 300.000 euro perché «Éric ha un coraggio fisico pazzesco. E come diceva Napoleone: il coraggio è l’unica virtù che non si può fingere».

 

 

C’è poi il gruppo Bolloré, azionista di Mediaset, Mediobanca e con quasi il 25% di Tim. Vincent Bolloré detiene un impero mediatico: i canali televisivi C8, Canal+, CNews, Lagardère, Hachette, la radio Europe1, il Journal du Dimanche e Paris Match. Come Trump, Zemmour è un animale televisivo: per anni è stato ospite del talk “On n’est pas couché” su France2, ha condotto la trasmissione “Zemmour et Noulleau” su Paris Première, ma soprattutto per tre anni è stato una presenza fissa del programma “Face à l’info” su CNews, la FoxNews francese. Qui Bolloré gli ha offerto una preziosa tribuna, «un trampolino ideale che gli ha permesso di raggiungere un milione di telespettatori, senza il quale oggi non saremmo qui a parlare di lui», sottolinea Alain Minc, consigliere dei manager della borsa parigina, vicino a Macron. Perché Bolloré ha fatto di Zemmour la guglia della sua cattedrale mediatica? «È una scelta di business, ma anche un atto politico. Come Murdoch anche Bolloré vuole fare affari e promuovere un’ideologia, nel suo caso un’ideologia reazionaria». Nel frattempo Hervé Gattegno, direttore di Paris Match e del Journal du Dimanche, che aveva messo in copertina Zemmour in posa amorosa con la sua consigliera, è stato licenziato.

 

Per l’ex presidente francese François Hollande non ci sono dubbi: «Zemmour è un’impresa, con risultati finanziari, sostenuta da un gruppo di media», e questo fenomeno ricorda il passato. «Silvio Berlusconi è stato criticato per aver usato i suoi canali televisivi per favorire la sua carriera politica, ma ora c’è un gruppo privato che ha scelto Zemmour come portavoce dei suoi interessi».

 

Il suo punto di forza è la comunicazione. «Zemmour ha un modo di parlare molto moderno, un vocabolario famigliare, mentre Marine Le Pen ha un approccio più classico», osserva Saint-Cricq. I due arrivano da galassie opposte: Zemmour rappresenta un’estrema destra senza complessi, proveniente dalla società civile, secondo una tendenza cominciata con il presidente americano Ronald Reagan, un ex attore, e acceleratasi con Trump. La filosofa Chantal Delsol lo conosce personalmente: «È un buffone, ha assolutamente bisogno di essere notato ed è capace di inventare cifre pur di avere ragione». Come per Trump e Salvini, l’importante è diventare Evento. «Quando Marine Le Pen fa un’intervista al Tg delle 20, Zemmour alla stessa ora porta i giornalisti con sé per mettere in scena il suo incontro faccia a faccia con le popolazioni immigrate. Vuole creare ed essere l’evento», osserva Ivanne Trippenbach, specialista dell’estrema destra di Le Monde. Al Salone della sicurezza interna, il quasi-candidato ha impugnato un’arma pesante e l’ha puntata contro i giornalisti. Gesto in perfetto stile trumpiano, grave errore secondo Saïd Mahrane di Le Point: «In Francia abbiamo avuto lo shock dell’attentato contro Charlie Hebdo, alcuni giornalisti sono stati massacrati dai terroristi, un’immagine come quella non può passare».

 

L’emergenza del personaggio è stata favorita anche dalla pandemia, con l’esplosione di fake news e la dispersione caotica dei dibattiti sanitari. La Francia si è confrontata con il successo del medico Didier Raoult, che proponeva trattamenti farlocchi, mentre Trump consigliava di curarsi con iniezioni di disinfettante. Come dopo l’11 settembre, la paranoia generale si è cristallizzata intorno a fantasmi identitari e a una nuova forma di revisionismo storico. Zemmour può allora affermare che Pétain ha salvato gli ebrei francesi, permettendosi di fare una provocazione permanente. Di origine ebraica, Zemmour moltiplica dichiarazioni offensive anche sull’affare Dreyfus, la retata del Vel’d’Hiv o le leggi della memoria che puniscono il reato di negazionismo. Poco importa il paradosso, quello che conta è fare audience, essere costantemente al centro, come è accaduto con Salvini e con Trump. Come loro Zemmour «non è un fenomeno provvisorio», allerta Minc. Allora sorge una domanda urgente: che tipo di resistenza opporre a questi vecchi e scaltri showman? Parlare più forte o sparire? Incalzarli o ignorarli? Il dilemma rimane intatto e in gioco c’è sempre la democrazia.