A sorpresa l’accusa chiede di bloccare il procedimento per completare gli interrogatori chiesti dalla difesa. Il tribunale si è riservato di decidere. Al centro del braccio di ferro la deposizione di monsignor Perlasca, super teste dell’inchiesta

La restituzione degli atti del processo all'ufficio del promotore di giustizia per procedere a quanto sollecitato da molte delle 10 difese: l'interrogatorio preliminare dei vari imputati non sentiti durante l'istruttoria. È la richiesta, che lui stesso ha detto "potrà sorprendere", avanzata dal Pg aggiunto Alessandro Diddi all'inizio della seconda udienza del processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, rappresentata all’epoca dal cardinale Angelo Becciu. Per l'accusa, il processo va quindi “azzerato” per consentire un effettivo rispetto dei diritti di difesa. Il Tribunale presieduto da Giuseppe Pignatone si è riservato di decidere sul punto, come anche sulle richieste di nullità avanzate dalle difese.

Nelle due ore di udienza i difensori degli imputati hanno chiesto di annullare il processo. Tra le carenze lamentate, l’assenza del deposito di molti atti, tra cui materiale informatico, la mancanza di un corretto interrogatorio in fase istruttoria e la possibilità di visionare le oltre cento ore di interrogatorio al super teste dell’inchiesta, monsignor Alberto Perlasca.

Alessandro Diddi ha attaccato gli avvocati difensori: «Sento che qualcuno vaneggia di prove false, non ho capito quali potrebbero essere. Credo - ha aggiunto Diddi - che il processo stia nascendo con una montatura di polemiche fuori dalle righe, con franchezza vi chiedo di dirci - rivolgendosi ai legali degli imputati - quali sono le prove false che inconsapevolmente avremmo acquisito. Se ci sono prove false sulla base delle quali stiamo fondando un processo  dico che non ce lo possiamo permettere».

Va ricordato che questo procedimento sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue è il primo realizzato dopo la riforma del processo penale vaticano, determinato dal “motu proprio” di Papa Francesco e molte normative sono ancora legate al Codice Zanardelli, che fu adottato dalla Santa Sede in correlazione della stipula dei Patti Lateranensi. Diddi ha quindi chiesto “la restituzione degli atti al Promotore di Giustizia per non calpestare i diritti degli imputati così da garantire a tutti un corretto interrogatorio”. In verità, quella che è sembrata come una nota di resa o di invalidità del processo è da considerarsi come una “mossa del cavallo” per uscire dallo stallo di una contrapposizione non tanto nel merito delle accuse ma nel metodo processuale, che è la sostanza e l’essenza delle imponenti basi difensive su cui fanno affidamento gli imputati, dando la palla al presidente del tribunale Giuseppe Pignatone che rispondendo alle considerazione di Diddi in merito alle mediatizzazione del processo da parte della difesa ha risposto: “Tutto quello che viene citato a livello giornalistico per noi è totalmente irrilevante. Conta solo quello che è agli atti del processo, soprattutto quando riusciremo ad averli nella loro completezza. Da parte del tribunale c’è la massima serenità. L’aver iniziato una corposa ed inedita inchiesta con un ordinamento giudiziario vetusto e averla conclusa con un aggiornamento dei codici non è ovviamente un dato da sottovalutare, un dato che secondo Diddi avrebbe portato a “qualche sbaglio in fase iniziale”.
Mentre le difese degli imputati rigettano la richiesta di Diddi e puntano all’invalidazione del processo, domani mattina alle 9:30, Pignatone risponderà alle “maxi richieste della difesa”. È molto probabile che verrà steso un termine di perentorietà di consegna degli atti e della riproduzione integrale, estendendo la possibilità di produrre materiali difensivi e l’interrogatorio contestuale all’interno del dibattimento.

Mentre nelle aule giudiziarie vaticane, gli avvocati svolgono il loro lavoro cercando di far saltare il tavolo sulle questioni procedurali, il tribunale federale svizzero ha posto sotto sequestro numerosi conti correnti bancari di società collegate agli affari della Segreteria di Stato e ad Enrico Crasso, società sfiorate dall’inchiesta vaticane e che secondo gli inquirenti elvetici avrebbero avuto un ruolo nel riciclo delle illecite somme sottratte con gli investimenti vaticani.

Anche la procura di Roma nel corso dei giorni scorsi ha proseguito con numerosi interrogatori, di operatori finanziari coinvolti nelle medesime operazioni. Da segnalare che venerdì scorso il Dis, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, in seduta al Copasir, ha relazionato intorno al caso di Cecilia Marogna, la presunta esperta di intelligence che avrebbe sottratto ingenti risorse alle casse Vaticane per non meglio precisate “attività di intelligence”. Il Dis nella sua relazione indica come l’allora sostituto Becciu, presentò Cecilia Marogna al generale Luciano Carta, al tempo all’Aise, indicandola come “risorsa per i servizi italiani all’estero”. Lo stesso Carta avrebbe dichiarato che “era il numero tre del Vaticano che lo richiedeva assertivamente per risolvere sequestri all’estero dei religiosi all’estero”. Un’attività mai entrata nel vivo tanto che come scrivono i servizi: “La risorsa Cecilia Marogna raccomandata ai servizi segreti interni italiani dal Cardinale Becciu si dimostrò inutile, fu congelata e poi congedata”.