Arabopolis
Itmarhag, festeggiate: il ritmo delle Primavere arabe trascina ancora
Rap, techno e una danza scatenata. Arriva sabato 20 a Romaeuropa uno spettacolo firmato dal francese Dubois coinvolgendo il meglio della scena musicale egiziana. Dalla newsletter dell’Espresso dedicata al mondo arabo
Un ritmo travolgente che unisce rap, musica elettronica, poi il battito martellante della techno. Infine un fumo bianco avvolge i sette musicisti-danzatori, nasconde la scena, attutisce i suoni. Quando il fumo si dirada davanti agli occhi del pubblico di “Itmarhag” c'è la risposta alla domanda che pervade fin dall'inizio lo spettacolo: riusciranno i giovani, entusiasti egiziani a scalfire il potere con la forza della musica, con la potenza dell'arte? Come finirà il “festeggiamento” sfrenato a cui invita il titolo?
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«”Itmarhag” è una parola nuova, un termine che ho inventato io», ha spiegato il coreografo Olivier Dubois. «Deriva da Mahraganat, il nome di questo genere di musica, ma è un verbo che non esiste. “Itmahrag” è un invito a ballare, a cantare, a festeggiare. Un festeggiamento che è come un incantesimo».
Lo spettacolo di Dubois è stato una delle star dei festival a cui è stato presentato finora. In Italia arriva il 20 e 21 novembre, in un festival che nel nome, Roma Europa, unisce una capitale e il suo continente ma che da 36 anni è un imperdibile appuntamento di apertura per il pubblico italiano alle culture del mondo intero. In scena tre musicisti (Ali elCaptin, Ibrahim X, Shobra Elgeneral) e quattro danzatori (Ali Abdelfattah, Mohand Qader, Moustafa Jimmy, Mohamed Toto), uniti in uno spettacolo basato su movimenti che colpiscono per la loro forza innovativa anche se rimandano ai pilastri della street-art, dalla electro alle acrobazie breakdance.
Dubois, star della danza francese, fondatore e direttore di una compagnia tra le più prolifiche del mondo, ha costruito questo omaggio al fascino rivoluzionario delle “Primavere arabe” dopo aver vissuto molti anni tra Parigi e il Cairo. Presentando lo spettacolo, il coreografo insiste nel sottolineare l'approccio di collaborazione tra francesi ed egiziani, lontano da ogni forma di colonialismo o di appropriazione culturale: «Poiché non è un tipo di danza che io sono capace di fare, ho avuto bisogno di trovare un altro modo di impadronirmene, di trasformarla».
Il modo giusto è nato dalla collaborazione con B’sarya, un centro di spettacolo e cultura aperto nel 2017 ad Alessandria d'Egitto. In uno spazio di produzione di 570mq nel cuore della città, B'sarya mette a disposizione di giovani tre stanze per residenze d'artista, uno studio di registrazione del suono, tre sale per seminari e uno spazio polifunzionale che ospita mostre, concerti e dibattiti. Insomma tutto quello che serve per produrre danza, teatro, cinema e altre arti visive.
La musica di “Itmarhag”, composta da François Caffenne & Ali elCaptin, accoglie omaggi alla tradizione occidentale e a quella orientale ma è centrata sul “mahraganat”, o “electro chaabi”. Nato tra i giovani dei quartieri popolari del Cairo, è oggi il ritmo dominante dell'Egitto: unisce la musica che si sente in strada o nei taxi e quella che si suona a feste e matrimoni. Dubois l'ha definita «una danza incendiaria», non per niente è stato il ritmo che ha retto la tensione delle manifestazioni di Piazza Tahrir.
La pièce egiziana è un nuovo capitolo della collaborazione tra Dubois e l'Africa. La sua compagnia è molto impegnata nell'insegnamento ma anche nel coinvolgimento di non professionisti (nel 2017 per la Notte Bianca di Parigi con lo spettacolo “Mille et una danses” ha portato in scena 300 ballerini amatoriali). Dai seminari tenuti in diversi paesi africani (Marocco, Senegal, Mauritania, Egitto, Mali...) sono nati spettacoli come “Souls”, del 2013, che unisce sei danzatori provenienti da sei paesi diversi, e “Mon elue noire”, un assolo per la ballerina Germaine Acogny, creato nel 2015 e ancora in tournée.
Con l'Egitto però il coreografo francese ha un rapporto più profondo: «Ho vissuto per molti anni dividendomi tra Parigi e il Cairo, ho visto nascere questa new wave musicale, l'ho vista travolgere la scena musicale egiziana. Gli egiziano cantano e ballano sempre, ma in modo discreto, intimo: è una parte essenziale della loro cultura. Per questo ho guardato con grande curiosità lo sviluppo di questo stile selvaggio, istintivo. Può sembrare meno raffinato di altre forme di danza ma in realtà è di una pienezza totale, come se ogni spazio, ogni istante dovesse essere riempito, come se il tempo a disposizione stesse per finire. Porta con sé l'audacia della giovinezza. Mi ci sono voluti anni per trovare il coraggio di esplorarlo, perché come straniero sentivo di non avere il diritto di toccarlo, avrei finito per distoglierlo dalla sua ragione d'essere. Oggi lo avvicino con altrettanto rispetto e con la stessa ignoranza di ieri, ma con la convinzione che questa new wave sia profondamente contemporanea, che porti con se un nuovo linguaggio. Un urlo».
La parte più impegnativa nel realizzare la coreografia è stata riuscire a conservare la vitalità di una danza “da strada” in uno spettacolo scritto con grande precisione: «Non serviva un “timing” millimetrico ma una partitura teatrale globale. La scrittura doveva essere così forte e precisa da lasciare ai danzatori la possibilità di navigare liberamente al suo interno. Volevo che gli artisti avessero il pieno controllo del loro linguaggio, che potessero scegliere quello che poteva glorificare il loro talento e allo stesso tempo le loro vulnerabilità».
Per farsi un'idea della potenza di musica e passi dei giovani artisti egiziani, su Youtube è disponibile un teaser dello spettacolo realizzato per il festival Paris l'eté.