Tutti i primi cittadini dei capoluoghi chiamati al voto saranno maschi. Il centrosinistra non ha presentato una sola donna alle urne

Nei 19 capoluoghi di provincia dove si è votato, nessun sindaco sarà donna. Non era così imprevedibile, se si pensa che su 164 candidati nei 20 comuni interessati (a Carbonia, in Sardegna, si voterà il 10 e l’11 ottobre), solo 29 erano donne. Meno del 18 percento, in nessun comune sopra un terzo dei nomi nella lista.

 

Nel giorno post voto ci si affanna a trovare il senso di queste elezioni amministrative. Le ripercussioni sul governo istituzionale. La sconfitta del populismo sovranista e la vittoria dei moderati progressisti. Il fallimento del Movimento 5 Stelle nelle precedenti giunte di Roma e Torino. Le prossime mosse di Matteo Salvini, forse pronto a scindersi dalla Lega e creare un proprio partito. E si va avanti ancora a lungo nelle pagine dei quotidiani.

 

Ma un dato – insieme all’altissimo tasso di astensione – è chiaro, non ha bisogno di spiegazioni né interpretazioni, bensì di riflessione autocritica: i partiti non hanno puntato sulle donne. In cinque città (Caserta, Grosseto, Isernia, Novara e Savona), nemmeno una è stata candidata. Il Partito democratico, che dall’arrivo di Enrico Letta tanto si è affannato nel ristabilire le quote rosa, dalle capogruppo alle due Camere alla composizione interna, non ne ha candidata nessuna.

 

Sarà riuscito nell’intento di ristabilire il bipolarismo, di stravincere contro la destra a Milano, Napoli e Bologna. A ottenere risultati convincenti a Roma, dove la forbice tra Roberto Gualtieri e Michetti risolvip roblemi è molto più stretta di quanto ci si aspettasse. È sopra a Torino, dove l’imprenditore Paolo Damilano era in vantaggio nei sondaggi alla vigilia. Aggiunge una ruota nella costruzione del carro trainante della coalizione con il Movimento di Giuseppe Conte. Ma non ha concesso alle esponenti del partito di correre per la poltrona da prima cittadina.

 

Sorte inversa per il Movimento: a Roma e Torino ha deciso di puntare rispettivamente sulla sindaca uscente Virginia Raggi e, dopo l’indisponibilità di Chiara Appendino, su Valentina Sganga. Entrambe non andranno al ballottaggio e hanno ottenuto risultati deludenti dopo il successo del 2016. A Milano, dove i grillini non hanno mai fatto breccia, la manager Layla Pavone non ha nemmeno raggiunto il 3% necessario a entrare in Consiglio comunale.