Lettera aperta  di Reporter Sans Frontières sul loro corrispondente e gli altri due giornalisti che sono appena stati incarcerati nel paese solo per aver fatto il loro lavoro

Durante la guerra per l’indipendenza dell’Algeria, centinaia di giornali sono stati sequestrati dalle autorità francesi. L’Humanité è stato bloccato 27 volte ed è stato oggetto di ben 150 procedimenti giudiziari. Nel suo tentativo di imporre la censura, Parigi aveva creato, fin dall’inizio del conflitto, un arsenale giuridico per “controllare tutti i mezzi di espressione”. Nel 1961, furono perfino proibiti tutti i testi che “offrono un qualsiasi appoggio ad un’azione di sovversione diretta contro l’autorità o le leggi della Repubblica”.

L’indipendenza algerina, voluta in nome del diritto di autodeterminazione dei popoli e ottenuta al prezzo di lotte durissime, aveva precisamente lo scopo di liberare il paese da un potere coloniale basato in particolare sul controllo dell’informazione. La lotta per l’emancipazione presuppone infatti, in modo evidente, il rispetto della libertà di espressione, e in particolare della libertà di stampa, libertà cardine che permette di verificare l’esistenza di tutte le altre.

Alla luce di questo percorso storico, non riusciamo proprio a capire come mai il giornalista Khaled Drareni, direttore del sito d’informazione Casbah Tribune, e corrispondente di TV5Monde e di Reporters sans frontières (RSF) in Algeria, possa essere in carcere dal 29 marzo, nella prigione di Koléa, in piena epidemia di coronavirus, di cui aveva del resto denunciato con coraggio tutti i rischi. I capi di accusa che gravano su di lui, “danneggiamento dell’integrità del territorio nazionale“ e “incitazione agli assembramenti non armati”, fanno del resto tristemente ricordare la logica coloniale.

Un giornalista come lui, dotato di libertà di pensiero e di senso della responsabilità incontestabili, dovrebbe essere oggetto di orgoglio in Algeria. Una giustizia indipendente non può in alcun modo prolungare ulteriormente questo iter processuale doloroso e fasullo: eppure, Khaled dovrà comparire in tribunale a partire dal prossimo 3 agosto e spiegare perché, facendo semplicemente il suo lavoro di giornalista, ha documentato dal 22 febbraio 2019 le manifestazioni popolari dell’Hirak, in particolare quelle che si sono svolte nella piazza Maurice Audin, eroe dell’indipendenza nazionale.

Mentre scriviamo queste righe, ci giunge la notizia di altri due giornalisti algerini in detenzione, Moncef Aït Kaci e Ramdane Rahmouni, vittime anche essi delle ingiuste misure adottate dal governo algerino.

Dobbiamo forse ricordare gli impegni e gli obblighi delle autorità algerine? Nel 1989, il Paese ha ratificato il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, di cui l’articolo 19 tutela la libertà di opinione ed espressione. Nel 2016, la revisione costituzionale consacrava la libertà di stampa. L’articolo 50 della nuova Costituzione rappresentava, inoltre, un passo in avanti importante per il diritto all’informazione in Algeria, in piena adesione con gli ideali di coloro che hanno lottato per la libertà mettendo a rischio la propria vita davanti al potere coloniale.

Il 5 gennaio 2020, in occasione del suo primo consiglio dei ministri, il capo di Stato algerino Abdelmadjid Tebboune ha esortato il governo a rafforzare la libertà di stampa. Ma è accaduto l’esatto contrario: qualche mese dopo, il 1° maggio 2020, le autorità nazionali hanno attaccato pubblicamente Khaled Drareni, formulando accuse infamanti, e dimostrando in questo modo la natura prettamente politica della procedura giudiziaria e di tutte le vessazioni che lo hanno colpito. 

La storia dell’Algeria, i suoi impegni internazionali, la sua Costituzione e le promesse del suo capo di Stato dovrebbero rappresentare motivi sufficienti per la liberazione e la piena assoluzione di Khaled Drareni, come hanno del resto chiesto un centinaio di firmatari nello scorso mese di marzo, e il Consiglio nazionale dei giornalisti algerini, ad aprile. Un governo non può essere legittimo se rinuncia ai propri principi soltanto perché vi sono persone che gli ricordano la loro intrinseca importanza.

Pierre Audin, membro del Comitato di sostegno per Khaled Drareni, e Christophe Deloire, Segretario generale di Reporters sans frontières (RSF)