Il parto nella propria abitazione sta vivendo un grande ritorno, come effetto collaterale del virus. E non solo per il timore d’infettarsi

Le richieste informative per il parto in casa in Lombardia sono triplicate negli ultimi due mesi, per la paura di contrarre il virus in ospedale. «Prima dell’emergenza ognuna di noi aveva mediamente una chiamata alla settimana, adesso ne riceviamo tre», conferma Marta Campiotti, dell’Associazione nazionale ostetriche parto a domicilio e casa maternità. Che però aggiunge: «Partorire a casa è un percorso da costruire durante tutta la gravidanza. Per questo non prendiamo in carico coppie che ci contattano spinte solo dal panico dell’ospedale, all’ultimo momento».

In ogni caso il parto nella propria abitazione sta vivendo un grande ritorno, come effetto collaterale del virus. E non solo per il timore d’infettarsi: «Da quando la pandemia ha scardinato il concetto di normalità, le donne in attesa si sono viste private di molte garanzie a cui erano abituate in ospedale. I corsi preparto sono fermi, non c’è più la possibilità di avere il marito a fianco né la possibilità di avere la propria ostetrica in sala parto», spiega Campiotti. «Così sta crescendo il bisogno di rivolgersi a un’ostetrica libera professionista su cui poter contare nella propria abitazione. Lì i papà sono più presenti, ci si fanno nuove domande, insomma il parto in ospedale non è più la scelta scontata. E pensiamo che si tratti di una tendenza che resterà anche dopo il virus». L’idea di far nascere il figlio tra le mura domestiche intanto si è diffusa anche fuori dalla Lombardia. Aumenti sono stati registrati in Emilia-Romagna, Puglia e Lazio: «La curiosità delle donne ha avuto una spinta», dice Simona Pantanella, ostetrica in provincia di Frosinone. «Ed è probabile che l’interesse proseguirà anche una volta che ci saremo lasciati il peggio alle spalle, perché le tante esperienze positive si stanno trasmettendo con il tam tam, spezzando molti dei pregiudizi che circolavano sul parto in casa».

Anche se nel mondo scientifico la diatriba tra favorevoli e contrari al parto in casa si è ormai esaurita, chi lo sconsiglia porta come argomentazione la minore sicurezza e la minore sterilità dell’ambiente domestico rispetto a quello ospedaliero. E viene sottolineato il rischio che, se qualcosa andasse storto, la disponibilità di avere un’ambulanza nel giro di pochi minuti sarebbe inferiore a causa dell’emergenza. «Le ambulanze adesso non mancano e le due ostetriche che seguono il momento del parto hanno una formazione specifica oltre al kit per gestire ogni emergenza. Le donne che desiderano seguire questo percorso si informano in profondità e capiscono che gli stereotipi sul tema sono infondati. Ma spesso hanno paura del giudizio dei parenti, che criticano la scelta di partorire in un luogo che non sia l’ospedale».

Per questo c’è chi ha preferito nascondere la scelta ai famigliari: «L’idea di mettere al mondo i miei figli in casa mi aveva sempre affascinata, anche se per farlo serve che tutti i parametri siano buoni e che non ci sia rischio di complicazioni», spiega Valeria, che ha appena messo al mondo un bimbo nella sua abitazione di Lecco. «Quando lo scorso febbraio la Regione ha imposto la chiusura delle scuole ho detto all’ostetrica che mi seguiva che avrei voluto partorire in casa. Mio figlio è nato una settimana dopo, ma ai miei parenti ho detto della mia scelta soltanto dopo. Ancora oggi quando ne parliamo mia madre mi dà della pazza».

Oltre a una questione culturale, a pesare su chi è attirato da questa strada c’è poi, spesso, un problema economico. «La Lombardia non prevede alcun rimborso per chi sceglie l’assistenza ostetricia domiciliare», spiega Campiotti. «Ma chi fa questa scelta meriterebbe di vedersi restituire almeno una parte dei costi che fa risparmiare al sistema sanitario pubblico, come succede in Piemonte, in Emilia-Romagna, nelle Marche o nel Lazio». Invece le famiglie lombarde devono infatti sostenere il costo integrale del parto in casa, che è intorno ai 2.000 euro. Un fattore che ha spinto molte donne ad accantonare l’idea. Mentre altre si sono organizzate con una colletta: «Il virus ci ha convinti al parto in casa», racconta Alice, che è al settimo mese e ha lanciato su Facebook una raccolta fondi per avere un aiuto economico: «Al posto di ricevere vestiti e giocattoli di cui non abbiamo bisogno, abbiamo chiesto ad amici e parenti di contribuire con piccole cifre».

E tra chi, invece, il parto in casa per svariate ragioni non ha potuto farlo oggi non mancano i rimpanti: «Quando l’emergenza Covid è iniziata mancava poco alla nascita di mio figlio, ogni notizia che leggevo mi faceva passare la voglia di andare in ospedale, mi sarebbe piaciuto considerare il parto domestico», racconta Marcella dalla sua casa di Seriate, uno dei comuni più colpiti dal Covid. «Non ho potuto. E niente supererà la pesantezza delle ore in ospedale, quando dalla finestra della mia stanza vedevo i militari portare via i morti mentre io ci mettevo tutta la forza che avevo per dare la vita».

Una testimonianza non dissimile da quella di Silvia, che ha partorito a Bergamo lo scorso 7 aprile: «Mio marito non ha avuto il permesso di rimanere accanto a me durante il travaglio. Al momento del parto ho chiesto che fosse avvisato e mi hanno risposto che dovevo essere io a mandargli un messaggio. E il papà ha dovuto lasciare l’ospedale due ore dopo il parto. Da lì in poi tutto è stato sulle mie spalle. Non c’era nessuno a cui io potessi affidare mio figlio, nemmeno quando facevo la doccia. La paura si sentiva nell’aria, nei corridoi desolati e nelle chiacchiere tra infermiere Quando sono tornata a casa ho tirato un sospiro di sollievo. E sono scoppiata a piangere».