Gli aerei sono molto più appariscenti delle navi quando hanno problemi. Li vedi esitare, dubitare, tornare indietro come se al culmine dell’entusiasmo fossero stati lambiti da un fantasma oscuro

Cielo e mare sono imprescindibili l’uno per l’altro. Si scrutano e si compenetrano. Entrambi sono percorsi dagli esseri umani. Gli aviatori sono una presenza apparentemente più fugace rispetto ai marinai, ma un osservatore attento ne può cogliere movimenti, gioie e tribolazioni. Un motore a pistoni che accelera gioioso, un soffio lontano di turboventole, il rombo maestoso di un aereo antincendio. Sono tracce sonore di forti emozioni umane, fra euforia e terrore, che sgorgano nel pieno della sfida più radicale che l’uomo abbia mai mosso alla natura: spiccare il volo anche se è nato senza ali.

Prima dell’epidemia, i velivoli comparivano numerosi a tutte le quote, dai piccoli aeroplani privati fino alle tangenze vertiginose degli aerei di linea che si sono moltiplicati con il boom delle compagnie low cost. Ora che non si può più viaggiare, i turisti d’alta quota hanno lasciato spazio a presenze che non siamo abituati a considerare. Il cielo è davvero vuoto? No; i servizi essenziali non si fermano a terra come in mare come in cielo.
Una sera, mentre guardo le navi galleggiare di fronte al porto in attesa di approdare, le luci di bordo che penetrano le tenebre umide riflettendosi irrequiete sull’acqua nera, odo un fischio poderoso e affannato.

Le nuvole sono basse, corrono veloci e si mischiano con i fumi della Costa Luminosa, ancora ormeggiata in circostanze eccezionali in seguito al focolaio di coronavirus che ha infuriato a bordo; si dischiudono per pochi istanti, rivelando un Boeing 747-400F a bassa quota.

Sono esterrefatta: non avevo mai visto un aereo così grosso avvicinarsi tanto alla città. Sorvola il porto una volta, poi un’altra, poi un’altra ancora. È in difficoltà. Scarica in aria tonnellate di carburante, in attesa di rientrare in un aeroporto sicuro. È un cargo (la F sta per “freighter”); i cargo non si fermano con la pandemia, trasportano una parte delle merci che continuano a percorrere i continenti con ogni mezzo disponibile. Ad ogni nuovo giro sul porto cerco di riavvistarlo, ma il più delle volte il 747 guadagna le nuvole. Lo rintraccio su internet tramite un sito di flight tracking: ha preso la rotta per Malpensa, da dove era decollato. Rimango sintonizzata. È atterrato.

Non avevo mai visto un aereo così grosso e non avevo mai visto un aereo in difficoltà. Sento un’ombra di pianto nel mio cuore. Gli aerei sono molto più appariscenti delle navi quando hanno problemi. Li vedi esitare, dubitare, tornare indietro come se al culmine dell’entusiasmo fossero stati lambiti da un fantasma oscuro. Ancora una volta sento una cesura fra il prima e il dopo. Le strade vuote; la nave da crociera in quarantena, immobile in porto da settimane; le finestre tutte accese sulla vita dei cittadini costretti in casa, fra il baluginare di un televisore e una fila di lanterne colorate; mentre il 747, il Jumbo Jet, la gloriosa balena bianca che ha portato in cielo masse di uomini e merci, vacilla e chiede di atterrare.

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