La Regione verso il lockdown non per i numeri assoluti quanto per una sanità disastrata che riesce a stento a rispettare i livelli minimi di assistenza. E un nuovo super-commissariamento è in arrivo

Da regione sostanzialmente risparmiata dall’epidemia, per mesi fiera dei suoi contagi zero, a “sorvegliata speciale”, candidata al lockdown per almeno 15 giorni. Per la Calabria, il nuovo dpcm, che divide l’Italia in tre con regole e chiusure differenziate a seconda del livello di rischio, potrebbe essere un salto indietro nel tempo. Un ritorno – dai più inaspettato, dopo un’estate da cicala fra assessori regionali che plaudivano alla “movida responsabile” in un’affollata discoteca e una Giunta pronta a giurare che «qui il rischio è solo di ingrassare» – a quei mesi di strade vuote, negozi chiusi, serrande abbassate, mobilità limitata. Un’anomalia al Sud.  

Provvedimenti così severi sono allo studio solo per la Lombardia, fin dall’inizio della pandemia la “grande malata d’Italia” con in media 6mila casi giornalieri, e il Piemonte, che di nuovi contagi ne segna quotidianamente più di 3mila. In Calabria, non sono mai arrivati a 300 al giorno e in totale sono poco più di 3600.   

CONTAGI IN CRESCITA, REPARTI AL COLLASSO 
Ma i numeri assoluti sono bugiardi e i 21 indicatori individuati dal governo per elaborare la “classificazione complessiva del rischio” e “lo scenario” per la Calabria sono una condanna. Perché – è vero – i contagi sono relativamente pochi, sebbene quasi doppino i “casi chiusi” per guarigione o decesso dall’inizio della pandemia, ma già bastano per rischiare di mettere a rischio la tenuta del sistema. Anzi, spiegano gli esperti, se i trend di contagio dovessero essere confermati – recita il monitoraggio Iss del 24 ottobre – con un Rt pari all’1.66 e un’incidenza pari al 166.73 per 100mila, c’è più del 50% di possibilità che i posti di terapia intensiva siano occupati per oltre il 30% e quelli nei reparti per oltre il 40%. Sono le soglie oltre cui scatta l’allarme e per quanto riguarda i letti di pneumologia e malattie infettive, forse le proiezioni sono state anche ottimistiche.  
Da Reggio Calabria a Cosenza, è allarme. Cinque giorni fa, il Policlinico Universitario Mater Domini e l’ospedale Pugliese Ciaccio, entrambi di Catanzaro, hanno dovuto alzare bandiera bianca e dichiarare il “tutto esaurito” nei reparti di malattie infettive, incluso quello appena aperto. Lo stesso è successo due giorni fa con la Terapia Intensiva Covid al Mater Domini. Il 25 ottobre, stessa situazione critica si registrava a Cosenza, dove 33 ricoveri hanno saturato i reparti di Pneumologia e Malattie infettive.  
A Reggio Calabria, si è cercato in tutta fretta di correre ai ripari. Dai reparti dismessi e di recente trasferiti in un'altra struttura ospedaliera della città, sono stati ramazzati letti e attrezzature per allestire una nuova area Covid, mentre in tempi record è stata autorizzata l’assunzione a tempo determinato di 209 fra medici, infermieri, tecnici e oss. Il 26 ottobre, la direzione dell’ospedale ha pubblicato cinque avvisi pubblici per reclutare in tutta fretta infettivologi, chirurghi, pneumologi, radiologi e neuroradiologi, specializzati o specializzandi che siano. Gli aspiranti hanno avuto solo 7 giorni per presentare domanda e curriculum, perché c’è fretta di spedirli in reparto. Nelle stesse ore, sono partiti i telegrammi di convocazione per infermieri, tecnici e oss già in graduatoria. Ma la situazione è sotto controllo, assicurano dall’ospedale.  
Peccato che i nuovi 12 posti di terapia intensiva annunciati a mezzo stampa come “pronti” in realtà siano ancora un cantiere, con gli operai che continuano a uscire dai locali del vecchio centro trapianti per midollo osseo, non si sa bene chi li dovrà gestire, mentre a tutti i reparti è stato ordinato di comunicare i nomi di tre infermieri e un medico che dovranno aggiungere almeno un turno in area Covid alle loro normali mansioni. Nel frattempo, la commissaria dell’azienda ospedaliera Jole Fantozzi è stata costretta in tutta fretta a pubblicare anche una manifestazione di interesse per la fornitura urgente di 1.5 milioni di guanti di vario tipo.  

TRACCIAMENTO FUORI CONTROLLO  
E se questa è la situazione negli ospedali, di certo non appare migliore quella sul fronte del tracciamento. Non più tardi di una settimana fa, il presidente facente funzioni Nino Spirlì, che ha assunto la guida della Regione dopo la morte improvvisa della governatrice Jole Santelli, ci ha tenuto a ringraziare pubblicamente Puglia e Sicilia per aver ceduto alla Calabria i tamponi necessari per effettuare almeno 3mila test al giorno. E spesso neanche ci si arriva. Ma le Usca che da decreto governativo avrebbero dovuto occuparsi di assistenza domiciliare e trattamento per metà sono rimaste su carta, da tutta la regione i contatti di positivi denunciano un’attesa media di 5-7 giorni per il test e di altrettanti per i risultati. La sorveglianza attiva sui malati in assistenza domiciliare rimane spesso nel novero delle buone intenzioni, l’individuazione della rete di un contagiato il più delle volte è affidata alla buona volontà del singolo e l’annunciato screening sulle Rsa non deve funzionare benissimo se è vero che almeno due sono già diventate focolaio. In più, chi può si rivolge ai laboratori privati che da maggio hanno iniziato a fare tamponi e sierologici a pagamento, senza che nessuno si sia mai preoccupato né di verificare l’attendibilità dei test, né di pretendere la trasmissione dell’esito di quegli esami. Traduzione, i dati che ogni giorno finiscono nel bollettino regionale e vengono trasmessi a Roma, sono verosimili fino ad un certo punto.  
E questi non sono che alcuni dei motivi per cui l’Istituto superiore di sanità ha messo nero su bianco l’alta probabilità di una “trasmissione non gestibile in modo efficace con misure locali (zone rosse)” e il governo ha seriamente valutato il lockdown per la Calabria.  

L’EREDITA’ DEL COMMISSARIAMENTO 
Certo, la Regione partiva zoppa. Commissariata da oltre un decennio, la rete degli ospedali calabresi paga tagli lineari di reparti, servizi e personale, un blocco del turnover che ha portato a oltre 3700 fra infermieri, medici e operatori sanitari mandati in pensione e mai rimpiazzati e solo 2,5 posti letto per ogni mille abitanti contro i 4 di media nazionale. Al conto sono da aggiungere, tre Asp commissariate per mafia e sommerse dai debiti, anche per l'abitudine di pagare più volte le prestazioni ai privati amici e convenzionati e un ritardo medio di circa 900 giorni nel pagamento dei fornitori. Un lasso di tempo buono a far maturare interessi e penali o funzionale a spregiudicate operazioni di cartolarizzazione di quei crediti, come quella che ha fatto finire in pancia ad un bond negoziato sui mercati finanziari internazionali fatture inevase vantate da aziende e cooperative in odor di mafia.  
Il risultato è uno scheletro sanitario esile e che tale è rimasto nonostante i decreti emanati dal governo Conte bis abbiano dato ampia possibilità di potenziare i reparti, in termini di mezzi e personale. Ma soprattutto, per la prima volta nella storia recente della regione, l’allora governatrice Jole Santelli ha avuto mano libera e sostanzialmente un assegno in bianco per farlo. Il risultato però è lungi dall’essere soddisfacente. Secondo il Sole24Ore, dall’inizio della fase 2 sono state create solo 6 postazioni in più di terapie intensive. Per la Regione invece sarebbero almeno 40, ma nel conto ci finiscono anche vecchi ventilatori ricondizionati o quelli nuovi spediti in fretta e furia da Roma. In totale, le terapie intensive in Calabria sono 146. Peccato che per le linee guida fissate dal ministero della Salute dovrebbero essere quasi il doppio.  

IL LIBRO DEI SOGNI DELLA SANITA’ CALABRESE 
Lo ha scritto chiaro il commissario ad acta per la sanità, il generale Saverio Cotticelli, che tra giugno e luglio ha firmato due decreti in cui, fra le altre, si indicavano come necessarie e urgenti la realizzazione di un centro Covid regionale, di Covid-hotel, l'assunzione di 500 unità di personale medico e paramedico a tempo determinato e indeterminato, la realizzazione di 136 nuovi posti di terapia intensiva e di 134 di sub-intensiva. È rimasto tutto su carta. Eppure i soldi c’erano, alla Calabria sono stati destinati 86milioni di euro. Ma nel rimpallo di responsabilità fra politica e struttura commissariale, non è stato possibile neanche capire come mai a un realistico piano Covid ci si è arrivati solo quando il super commissario Domenico Arcuri da Roma ha messo a lavorare Asp e Aziende ospedaliere.  
“Già il governo Conte con i Decreti 14/20, 18/20 e 34/20 della primavera scorsa aveva perentoriamente indicato alle Regioni come contrastare la Pandemia provocata dal COVID 19, che ha messo in crisi un’organizzazione della sanità ospedalocentrica obbligando, finalmente, a modificare la cifra culturale e organizzativa della sanità valorizzando la Medicina d’iniziativa e di prossimità che pone al centro il paziente e i suoi bisogni di salute, con un forte ruolo della Medicina Territoriale e della Prevenzione” tuona Comunità competente, un gruppo di associazioni di medici, specialisti, tecnici e operatori del terzo settore, che da mesi cerca di farsi ascoltare. Gli strumenti finanziari e normativi per riportare la sanità calabrese nel terzo millennio ci sono – spiegano -  basta immaginare un sistema diverso basato sulle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) attive h12 e le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) h 24, già programmate e finanziate e mai realmente realizzate. E poi bisogna attivare tutte le 37 Usca che il governo aveva previsto, acquistare le apparecchiature necessarie in ospedali e poliambulatori con gli 86milioni di euro già stanziati e assumere il personale per gestirle, insieme a quegli infermieri di famiglia e comunità previsti dal Dpcm del maggio scorso. Nessuno li ha mai presi in considerazione.  

IL DECRETO CALABRIA BIS E IL NUOVO SUPERCOMMISSARIAMENTO  
Il dato però è uno ed è certo. Rispetto a quanto previsto come necessario è stato fatto poco o nulla. Risultato, la Calabria non solo si è fatta trovare del tutto impreparata alla seconda ondata della pandemia, ma già da una settimana non riesce a garantire neanche l’ordinaria attività negli ospedali pubblici. Con ordinanza firmata di suo pugno, il leghista Spirlì ha sospeso attività ambulatoriali, visite e operazioni chirurgiche ordinarie e non urgenti. Era già successo durante il primo lockdown e mesi dopo è toccato a medici e pazienti raccogliere i cocci di diagnosi tardive, trattamenti dilazionati e all’Asp pagare i conti delle operazioni non differibili dirottate sulle cliniche private.  
 Ecco perché insieme al possibile lockdown o a restrizioni meno severe, per la Calabria arriverà un nuovo super-commissariamento della sanità regionale, che di fatto esautora o rende marginale il ruolo della Regione. Obiettivo, ripianare il gigantesco debito accumulato anche a causa del continuo ricorso al privato convenzionato e alla necessità di sovvenzionare una gigantesca mobilità sanitaria, ma soprattutto mettere in atto il piano Covid e rafforzare una struttura sanitaria a stento in grado di rispettare i Lea – livelli minimi di assistenza – anche prima della pandemia. 
“Combatteremo per i diritti dei calabresi” tuona il leghista Spirlì, che contro il decreto Calabria fa appello a Mattarella e promette battaglia, parla di lesa maestà e scomoda persino il fantasma della governatrice, di recente deceduta, per affermare che “anche Jole aveva espresso la propria contrarietà al commissariamento”. Gli va dietro tutto il centrodestra, che sospende le ostilità interne per la definizione di liste e candidature in vista delle prossime regionali, nonostante la pandemia che infuria, invocate per gennaio e in coro tuona contro il nuovo super commissariamento e il possibile lockdown. “La Calabria abbandoni, da subito, la Conferenza Stato-Regioni” propone il presidente del Consiglio regionale, Domenico Tallini, parla di “regime dittatoriale” il deputato di Forza Italia, Domenico Torromini, insinua che “ii territori governati dalla sinistra abbiano dal governo nazionale un trattamento di favore” Roberto Occhiuto, altro deputato azzurro calabrese, per il suo collega leghista Domenico Furgiuele invece “la zona rossa offende e umilia la Calabria” e in fondo che “solo il 22% delle terapie intensive” sia occupato da malati Covid non è poi così preoccupante, mentre per la deputata di Fdi Wanda Ferro l’esecutivo “sacrifica la Calabria, mentre con il nuovo Decreto Calabria, continua a fare della sanità calabrese uno strumento di gestione del potere”.  

Nel frattempo però, sul fronte della pandemia, la maggioranza che governa la Regione sembra aver fatto poco. Se non tentare di giocare a nascondino con i dati. O almeno, questo è l’intento che sembra aver ispirato la tardiva correzione del bollettino regionale, che martedì sera, attorno alle 20, ha ritoccato al ribasso il numero delle terapie intensive. Improvvisamente sono passate da 26 a 10. E non perché ci sia stata un’ecatombe regionale in poche ore. La chiave sta nella nuova distinzione – introdotta proprio mentre da Roma venivano indicati i criteri per definire il livello di rischio delle Regioni – fra pazienti intubati e non intubati. Da martedì, per la Regione solo gli intubati vanno in conto alla terapia intensiva. O almeno, così funziona nella Calabria che cerca a tutti i costi di dribblare il lockdown.