Solo adesso ci pare di vedere il Novecento da lontano. Il secolo nuovo esce dall’adolescenza, entra in una giovinezza piena di confusione e di promesse

Contare il tempo è una questione tutta umana. I calendari dicono qualcosa che riguarda solo noi - le nostre attese, le nostre speranze, i nostri inganni.

Il tempo va, e noi gli diamo un nome: così, 2020 fa l’effetto di una scoperta. O di una spiazzante messa a fuoco. Possibile che il Ventesimo secolo sia finito già da vent’anni? Possibile che ventenni siano ormai le prime ragazze e i primi ragazzi con anagrafe post-novecentesca? Nello scarto tra millenni avevamo avuto la certezza di un passaggio epocale, ma un’epoca non finisce mai di colpo, come credeva un personaggio sulla “Terrazza” di Ettore Scola: continua a morire a lungo, talvolta non smette più di morire.

Solo adesso ci pare di vedere il Novecento da lontano: la sua fuliggine ideologica sembra quasi completamente dissolta, le ipoteche della vecchia politica e molte fra quelle spirituali risultano scadute. Il secolo nuovo esce dall’adolescenza, entra in una giovinezza piena di confusione e di promesse. Ha la sua occasione. Chi è più anziano di lui lo teme come una minaccia.

Ma su, diamo fiducia a questo ’20, diamo credito a questi anni Venti. Quelli lontani furono elettrici, ruggenti e cupissimi. E questi che cominciano? Come ha scritto un grande ragazzo del secolo scorso, uno che era giovane cent’anni fa, Vittorio Foa, «i valori non sono collocati in un posto fisso come una cassetta di sicurezza, i valori bisogna cercarli ed è una fatica». Anche se orfani, non siamo privi di bussola. Si sono aperti spazi imprevedibili. E c’è un’occasione straordinaria, diceva Foa, per darsi da fare.