La vecchia struttura di comando è stata scossa alle fondamenta. Perdono conservatori e socialisti  a favore delle destre estreme che hanno quasi raddoppiato i voti e comporranno poco meno di un terzo del parlamento. L'onda verde e liberale spazza via vecchio duopolio di governo

Questa sera il parlamento europeo ha indossato il suo vestito blu più bello. E delle sue elezioni di quest'anno, le più importanti di anni recenti, ne ha fatto una festa.
 
Ci sono schermi ovunque, in piazza Lussemburgo, su cui sono proiettate le immagini che raccontano il voto nei 28 Paesi mentre una band suona e centinaia di ragazzi ballano. «Scegli il tuo futuro», una luce gialla proietta sulla cupola dell'edificio più alto.
 
Dentro, oltre 1.300 giornalisti e centinaia di politici sono in eccitazione. Era tanto tempo che l'Europa non interessava tanto. Quarant'anni che la partecipazione al voto non era, ovunque, addirittura in salita, oltre il 50 per cento. La prima volta che l'emiciclo di Bruxelles, dove i 751 deputati votano, è stato trasformato in un'immensa sala stampa, con un mega schermo su sfondo blu dove sono proiettate immagini e risultati e un palco in vetro da cui si ergono 12 stelle dorate.
 
«L'Europa è tornata di moda», ha esultato Guy Verhosfadt, l'attuale (ancora non per molto) leader dei liberali europei, uno dei due partiti – l'altro sono i Verdi – risultati i grandi vincitori delle elezioni.
 
La festa è giustificata. Nulla sarà mai più come prima a Bruxelles. La vecchia struttura di comando dell'Europa è stata scossa alle fondamenta dai cittadini. Conservatori e socialisti, i due partiti che hanno da sempre governato la Ue, hanno perso un'enorme manciata di voti a favore sia delle destre estreme, che hanno quasi raddoppiato i voti e comporranno poco meno di un terzo del parlamento, sia, per reazione e non solo, di verdi e liberali.
 
Il partito di Marine Le Pen, Rassemblement nationale, con il 23,3 per cento dei voti, è diventato il primo partito in Francia, indebolendo En Marche (22 per cento) e Emmanuel Macron.
 
Ma i veri Paesi saldamente anti europeisti nel parlamento come nel Consiglio europeo, rimangono i quattro noti: l'Austria di Sebastian Kurz (OVP) alleato con la destra xenofoba della FPO che, nonostante i recenti gravi scandali su finanziamenti chiesti alla Russia, è scesa solo al 17,5 per cento dal 19; l'Ungheria di Victor Orban (con un consenso superiore al 50 per cento); la Polonia del partito Libertà e Giustizia, che è salito al 42,4 per cento dal 31,78 del 2014, e l'Italia di Matteo Salvini, con una Lega primo partito fra il 30 e il 32 per cento.
 
La grande onda nera non ha soffocato l'Europa ma la rinforzata presenza di estremisti di destra in parlamento (e in Commissione, tramite scelta dei governi nazionali) si farà sentire e costringerà le forze europeiste a fare squadra, nonostante le vistose discrepanze di politica, soprattutto commerciale.
 
La nuova coalizione di governo non sarà più dunque un duopolio a sigla tedesca ma, narrano i corridoi tinti di blu, un quadrumvirato all'interno del quale socialisti (152 seggi) e verdi (67 seggi) faranno blocco comune per controbilanciare liberali (106) e popolari (180). L'estrema sinistra ha raggiunto 39 voti.
 
A regalare l'Onda verde agli ecologisti europei sono stati soprattutto la Germania, dove con il 20,6 i verdi sono diventati il secondo partito dopo la CDU e si sono conquistati un vero peso politico, e la Francia dove, quasi scomparsi fino a qualche mese fa, hanno adesso raggiunto il 13 per cento. Ma l'Onda Verde si estesa un po' ovunque (tranne che in Italia) dall'Irlanda dove hanno guadagnato dieci punti percentuali, alla Danimarca (dove trionfano liberali e socialisti) fino al Portogallo dove conquistano un seggio.
 
I socialisti di Frans Timmermans l'hanno capito, e da un mese a questa parte hanno iniziato a fare loro la corte, sottolineando comunanze e sintonie sulla questione climatica e sociale. «Avranno bisogno di loro per contrastare popolari e Alde e per far fronte all'eventuale fuoriuscita dei britannici», riflette Alberto Alemanno, professore di diritto europeo all'HEC di Parigi.
 
L'Alde, d'altro canto, sta per cambiare nome e contorni. Il suo storico leader, Verhosfadt, dovrebbe farsi da parte per fare posto a volti e leader con un cuore che batte più a sinistra. «Non è detto che Macron non finisca per appoggiare pure lui Timmermans alla guida della Commissione», dice una fonte, a dispetto di Michel Barnier, il negoziatore della Brexit, e Margret Vestager, potente e apprezzata commissaria alla Concorrenza: «Pare che il premier portoghese Antonio Costa sia da qualche settimana lavorando in questo senso».
 
Con i risultati della CDU in Germania e il crollo dei popolari in Europa, che pur tuttavia rimangono primo partito, la candidatura a presidente della Commissione del 47enne Manfred Weber, già debole in quanto non aveva mai avuto esperienza di governo, è definitivamente tramontata. Come premio di consolazione rimane pur sempre la presidenza del parlamento. Sempre che per accomodare una coalizione con Verdi e Liberali, Weber riesca a gestire l'eventuale fuoriuscita di Fidesz dalle fila dei popolari verso quelle dei conservatori di ECR che hanno appena confermato di tenere le porte aperte.
 
Infine, a rovinare la festa dei 27 è, al solito, la Gran Bretagna, dove il partito Brexit di Nigel Farage raggiunge il 31 per cento. Ma i futuri deputati, dicono alcuni rappresentanti, a dispetto della loro intenzione di sfasciare quell'Europa che paga loro lo stipendio, non avranno molta voglia di fare le valige e tornarsene in Patria, motivo per cui già in molti si attendono battaglie legali e trattative estenuanti in autunno (l'ultima estensione scadrà il 30 ottobre).
 
I giochi di governo si prospettano più delicati e laboriosi che mai. E inizieranno martedì prossimo al consiglio europeo.