Va riscritto il contratto sociale tra i sessi, dice Sylvana Simons.  Che si batte in Olanda per portare alla luce del sole i conflitti nascosti. E per cambiare un paese che «per troppi anni ha nascosto la testa sotto la sabbia»

Sylvana Simons ha appena compiuto 48 anni, e in Olanda è uno dei personaggio più in vista degli ultimi anni. Nata in Suriname, oggi stato indipendente ma all’epoca colonia olandese, si è trasferita ad Amsterdam a soli due anni. Diventata celebre a metà Anni Novanta come presentatrice tv di un programma per ragazzi, oggi fa parte del consiglio municipale della capitale olandese, ed è la paladina del movimento antirazzista e femminista.
«Ho scoperchiato un vaso di Pandora», racconta mentre parla della sua attività, iniziata un anno e mezzo fa e sfociata nella creazione di un partito politico ispirato ai principi di inclusione ed integrazione: «Agli olandesi non si può dire di esser razzisti, anche se spesso ce l’hanno scritto in faccia. È quello che succede a nascondere la testa sotto la sabbia per troppi anni».

Dice di sentirsi un po’ come Roberto Saviano, criticata in patria per aver sollevato un problema della sua comunità: «Io voglio contribuire a migliorare il mio Paese, che mi ha cresciuta e dato opportunità. Ma voglio che sia migliore di com’è adesso, specie per i più deboli. Mi hanno detto che ero in cerca di fama, che volevo solo distruggere l’immagine dell’Olanda. Hanno intervistato un mio ex partner per fargli dire che alimento odio e rancore. Ma più sparlano e più capisco che devo combattere».
Sylvana Simons denuncia non solo il razzismo, ma anche la condizione della donna nel Paese: ancora troppo svantaggiata, specie sul posto di lavoro.

Come giudica la condizione delle donne europee?
«Siamo ancora vittime di un sistema patriarcale, mi pare abbastanza evidente. Ma dobbiamo fare attenzione: che cos’è il patriarcato, se non una diretta espressione del capitalismo aggressivo e predatorio? Una volta non potevamo votare o uscire di casa, adesso guadagniamo meno di un uomo pur lavorando spesso di più e dovendo sobbarcarci le questioni domestiche. In Olanda, che è sempre il Paese del sesso, dell’erba e della libertà, le donne guadagnano il 17 per cento in meno degli uomini a parità di lavoro, e circa il 70 per cento delle donne olandesi non è economicamente indipendente. Il problema vero è che anche qui c’è una normalizzazione del fenomeno, esiste una sorta di contratto sociale tra uomo e donna secondo cui ancora oggi, nel 2019, l’uomo deve guadagnare di più e la donna può provare ad emanciparsi un pochino ma in fin dei conti deve fare da madre e occuparsi delle questioni casalinghe, altrimenti è una donna snaturata. Io non giudico nessuno, vorrei solo che ognuna fosse libera di trovare la propria dimensione senza costruzioni».

Lei e il suo partito cosa state facendo, per contrastare questa tendenza?
«Abbiamo avviato la proposta di istituire un ufficio comunale che si prenda cura delle circa 14mila madri single che vivono qui ad Amsterdam. L’87 per cento di loro appartiene a una fascia di reddito bassa, e ha difficoltà enormi a vivere in una delle città più care d’Europa. In Olanda esiste un welfare state abbastanza forte, ma non esiste una struttura di aiuto costante per le donne single. Purtroppo, l’ho vissuto sulla mia pelle: a poco più di vent’anni avevo un bambino piccolo e disabile, e un partner sparito nel nulla dopo anni di violenze. Avrei voluto che lo Stato fosse più al mio fianco, e ora mi batto affinché lo stesso non succeda anche ad altre donne».

Crede che ci sia bisogno di un network globale che unisca i movimenti femministi?
«Assolutamente sì, ma so anche che un movimento di portata internazionale dovrebbe affrontare il problema delle differenze politiche e culturali che ci sono paese per paese. Il rischio di imporre la cultura occidentale in tutto il mondo, facendo così il gioco della globalizzazione e del patriarcato, è veramente molto alto».