La parcella per il parere legale in merito alla tentata scalata del finanziere Mincione alla società Retelit. Il saldo inviato due giorni prima che il professore diventasse presidente del Consiglio. Il Vaticano non sta effettuando alcuna investigazione sull'incarico professionale. L'indirizzo della fattura è lo stesso di quello dello studio di Alpa

La fattura firmata da Giuseppe Conte alla Fiber 4.0 di Raffaele Mincione è del 29 maggio 2018. Il professore (che sarebbe diventato premier incaricato solo due giorni dopo) due settimane prima aveva infatti consegnato un parere pro veritate scritto per la spa del finanziere che stava tentando di conquistare il controllo di Retelit, e ora spediva il conto della consulenza.

Un compenso da 15 mila euro tondi tondi, a cui aggiungere 3.436 euro di spese generali, più la quota della Cassa degli avvocati e l'Iva. L'oggetto della fattura è coerente con il parere di sette pagine inviato a Mincione il 14 maggio 2018: «Saldo dei compensi per la redazione del parere sulla valutazione dell'assunzione, da parte di Libyan Post Telecommunications information Technology Company, del controllo su Retelit Spa all'esito dell'assemblea del 27 aprile 2018 e sulla eventuale violazione degli obblighi stabiliti in materia di golden power».
L'Espresso pubblica il documento per fare chiarezza sull'entità del compenso ottenuto da Conte, dopo che la vicenda – già nota – è stata risollevata due giorni fa dal Financial Times.


La perizia di Conte a favore della Fiber 4.0 di Mincione era stata infatti già svelata da Repubblica quasi in diretta a maggio del 2018. In quei giorni delicatissimi per il Paese e per la sua carriera politica, il futuro presidente del Consiglio continuava (peccando forse sul piano dell'opportunità) a fare l'avvocato. E a incassare (seppur modeste) parcelle da clienti importanti.
Tra questi, c'è Mincione. Che da tempo stava combattendo una battaglia per il controllo della Retelit, azienda strategica che gestisce cavi in fibra ottica per 12.500 chilometri in molte città italiane. I suoi avversari sono proprio i libici di Lptic, una società statale, e quelli di Axxon, fondo teutonico gestito da Shareolder Value Management che con i libici ha stretto un accordo di ferro.

Nell'assemblea citata da Conte, quella del 27 aprile, Mincione viene messo sotto, e non riesca a prendere il controllo del cda. Tenta così un'ultima carta: ottenere dal governo italiano, allora presieduto da Paolo Gentiloni, di considerare Retelit un'azienda strategica per gli interessi nazionali. In quel caso, l'esecutivo avrebbe potuto usare la sua golden power e fare decadere il cda appena insediato, riaprendo così la partita per il controllo.
Come ha evidenziato Valentina Conte su Repubblica, la battaglia viene combattuta anche a colpi di consulenze tecniche. Mincione chiede aiuto a Conte, che di fatto spiega nel suo parere come i rivali del suo cliente avrebbero compiuto un'omissione grave: quella di non comunicare al governo italiano che la loro compagine – con dentro i libici – aveva ormai il controllo di Retelit.

Le accuse di conflitto d'interesse per Conte, di cui hanno poi parlato diffusamente quasi tutti i quotidiani italiani per mesi, scattano poi il 7 giugno, quando il governo (in una seduta in cui il neo premier Conte si astenne) decise di considerare Retelit come “azienda strategica” e di esercitare la golden power. Esattamente come aveva suggerito il parere pro veritate dell'avvocato di Volurara Appula.

Come mai, dunque, l'esterofila stampa italiana ha rilanciato in grande stile il pezzo del Financial Times? Perché il quotidiano tedesco, riprendendo altri scoop dell'Espresso in merito al fondo vaticano da 147 milioni di euro gestito da Mincione ed usato per comprare un palazzo nel centro di Londra (un business finito nel mirino della magistratura della Santa Sede), ha ricordato come Fiber 4.0 di Mincione usasse anche denaro del fondo lussemburghese della segreteria di Stato, l'Athena Capital Global Opportunities Fund.
Mischiando le due storie, e piazzando nello stesso titolo Conte, Vaticano e il fondo di Mincione, l'effetto – soprattutto in concomitanza della notte delle elezioni umbre – è così assicurato.

Il Financial Times si spinge a scrivere che il collegamento tra Conte e Mincione su Retelit (già svelato dallo stesso Mincione in un'intervista a un quotidiano) «probabilmente attirerà un ulteriore esame sull'attività finanziaria della Segreteria di Stato». In realtà se da un lato il premier, che fattura la consulenza a Fiber 4.0, poteva ovviamente non sapere nulla di Athena e dell'origine «sacra» dei suoi fondi, dall'altro i promotori di Giustizia – risulta a chi vi scrive - non hanno alcun interesse investigativo verso le consulenze fatte a professionisti dalle varie società in cui ha investito il fondo lussemburghese. Tantomeno ai 15 mila euro di Conte.

L'intento dei pm del papa, come ha scritto l'Espresso, è quello di verificare se dietro il grande business immobiliare effettuato a Londra (con i denari dell'Obolo di San Pietro in teoria destinati alla beneficenza, ma gestiti con opacità e mancanza di etica dalla Segreteria di Stato) si nascondano reati come corruzione, abuso d'ufficio, riciclaggio e peculato.

Detto questo, la fattura di Conte a Mincione ripropone ancora una volta – grazie all'indicazione dell'indirizzo dello studio romano del premier, a Piazza Benedetto Cairoli 6 a Roma – la questione dei rapporti tra Conte e Guido Alpa. Cioè il giurista e avvocato maestro di Conte che ha studio nello stesso palazzo, e che ha seguito la carriera dell'amico negli ultimi lustri. Un nome, quello di Alpa, che appare direttamente o indirettamente nei concorsi universitari vinti da Conte. Senza scordare che il mentore è stato – anche lui – avvocato di Mincione. Stavolta nell'affaire di Carige, la banca genovese che il finanziere italo-londinese ha provato ha scalare nel settembre del 2018. Il legame tra Alpa, Conte e Mincione finì già un anno fa in un'interrogazione parlamentare del Pd.  «Perché ho scelto Guido Alpa per il dossier Carige? Era la persona più giusta per lavorare con noi visto che era stato consigliere della banca, da cui si era dimesso denunciando tante cose sbagliate” spiegò Mincione mesi fa. «Mi spiace leggere di questa assurda strumentalizzazione politica».