Il Nostro Leader, un processo celebrato on line, la condanna a morte a furor di popolo. Ecco l’Italia kafkiana del potere sovranista

"Gentilissimi giurati della corte populista, mi sollevo in quest’aula di giustizia per intraprendere l’estrema difesa del mio assistito, di cui peroro la causa da molto tempo: quasi un mese o giù di lì. Vorrei ricordare che la Nuova Costituzione garantisce a chiunque una tutela equa, nella presunzione di colpevolezza, ed è per questa ragione che mi affatico tanto a chiedere la condanna a morte del mio protetto. I capi di imputazione sono talmente gravi, che sicuramente è colpevole. Sappiamo benissimo come, nel passato, l’abbiano sempre scampata i truffatori, gli omicidi di Stato e quelli privati, i ladri e i corruttori di sistema, arricchendosi alle spalle della gente che lavora.

La feccia della nazione, mentre conclamava orgogliosamente la propria colpa, non pagava mai (nemmeno una volta!, e ci sono da qualche parte le prove di quanto sto dicendo) il pegno dovuto a quella società infelice, che era organizzata solo per il malaffare, i soliti noti, l’abbandono del popolo a se stesso, le tasse altissime comminate a bambini e ad anziani, una cricca che imponeva il comunismo in maniera infida e strisciante, arricchendo i benestanti, gonfiando i profitti delle multinazionali e lasciando INDIFESI i confini nazionali. Voi forse non lo ricorderete, ma a quei tempi la nazione era percorsa da negri devoti ad Allah, che pretendevano di sacrificare dei capretti anch’essi musulmani, sgozzandoli in occasione delle loro feste bantù, anziché onorevolmente tributare al buon Iddio un agnello dalle lane candide, per celebrare il giorno in cui gli ebrei ammazzarono il Redentore. È stata una triste fase della storia del nostro glorioso Paese, sulla quale chiunque può eventualmente ricercare la documentazione relativa e bla bla bla. Le cose sono cambiate. L’esecrabilità è il fondamento dell’autentica nazione.

Il mio assistito, per cui viene giustamente richiesta la pena capitale, si è macchiato di reati abietti, che vorrei ricordare uno per uno a tutti voi, maschi italiani over 21 e under 60, che avete regolarmente svolto la leva e siete qui convenuti on line per emettere un verdetto di ovvia colpevolezza. Ci metto la faccia, per difenderlo, e ha pure da lamentarsi, come potete desumere dal modo in cui aggrotta la fronte: anche la perplessità è un crimine. Cosa crede?, di farci pietà? E dovrei impiegare energia a spulciare un codice penale che non serve a niente, perché è macchinoso e i tempi della giustizia si dilaterebbero all’infinito?

Prima di continuare, però, guardiamo tutti il nuovo video on line del Nostro Leader sulla spiaggia tirrenica: osservatelo sul tagadà, come prende a calci quello che gli sta davanti! Dopo vent’anni è ancora lo splendido quarantenne di un tempo, con la sua mastite e l’epa all’aria, proprio come siamo tutti noi, gente normale. I suoi ologrammi simpaticamente sovrappeso appaiono un po’ dovunque e ci propongono temi fondamentali, dalla parte del popolo. Grande, il Nostro Leader! Avanti così.

Veniamo al presente processo. Se impegno l’aggettivo “presente”, è perché giustamente non intendiamo conoscere altri tempi, se non il presente, insieme al futuro-dei-nostri-figli. Il passato è noioso. Ci serve soltanto per condannare le malefatte, che si annidano sempre lì, in ciò che è stato: un tempo cupo, moderno, cioè medievale. Fa troppo schifo per ricordarlo com’era, per questo amiamo reinventarlo, attenendoci alle fonti, che qualcuno prima o poi andrà a consultare, se proprio si vuole male.

Il primo reato che vorrei contestare al mio assistito è il fatto che sia una donna. Come si permette di non essere una buona madre di famiglia? È vero che il suo primogenito venne a mancare ancora piccino, per una serie di sfortunati eventi, a causa di una malaugurata encefalite primaria, che esordì nella fase esantematica del morbillo. Chi incolpare, se non il destino e la malasorte? Vogliamo tornare forse alle vaccinazioni di Stato, che ingrassavano gli speculatori delle grandi farmaceutiche? Anche se ti muore un figlio, non è una buona ragione per imporre a chiunque lo stesso dolore. Non è che, siccome sei donna, ti vietiamo di guidare, come accade in certe nazioni beduine. Da noi, italiani prima che europei, romagnoli e sondrini prima che italiani, condòmini del secondo pianerottolo prima che romagnoli e sondrini, se sei una bella donna, puoi guidare la macchina, nessuno te lo vieta – ma, da qui a fare vaccinare i tuoi figli, ce ne passa. È dal bando ai virologi falsi e pretestuosi, che la piaga dei vaccini è stata debellata. Niente più iniezioni di sostanze radioattive cancerogene mortali, per guadagnare sulla pelle della povera gente.

La natura fa il suo corso. Ma c’è una nuova story in diretta social del Nostro Leader! Guardate come scia bene! E che splendida fidanzata ha al suo fianco! Non invidiate tutti la devozione con cui lo guarda adorante, tacendo come deve una rappresentante del sesso che la saggezza popolare ha non a caso definito debole? Il Nostro Leader sta parlando dei suoi bambini. Non sappiamo di quanti bambini e quali sia padre il Nostro Leader, sicuramente tantissimi. Non dobbiamo dimenticare che, quando parla, il Nostro Leader lo fa da papà, continuamente da papà: c’è sempre un bambino di cui parlare e a cui preparare un mondo migliore nel futuro-dei-nostri-figli! Guardate la tecnica freestyle con cui ammaestra lo snowboard! Grandissimo, come sempre, il Nostro Leader. Applausi.

Il secondo reato, di cui si è macchiato il mio assistito, è di avere favorito la propria sorella a compiere un espatrio clandestino, per praticare un aborto altrettanto clandestino. Il silenzio che accompagna un tormento interiore è inesprimibile, ma dovrebbe limitarsi appunto al silenzio. La maternità non conosce limiti e ragionamenti. La madre è sublime perché è tutta istinto. L’istinto materno è divinamente animale. La madre non è donna, ma femmina. Per questo l’aborto oblitera la natura, che è a sua volta femmina. Non figliare è criminalità, abortire è la stessa criminalità, ma organizzata. Certi medici, che pretenderebbero di obiettare contro il divieto ad abortire, citano tale Ippocrate. E chi è? Provate a controllare on line. Ippocrate è un personaggio troppo antico per dettare legge anche oggi.

L’accusa ha fortunatamente recuperato uno stralcio on line, in cui il mio assistito descrive in prima persona l’incredibile sequenza di reati commessi in questa occasione: «Nottetempo, schivando casa per casa, ho avvicinato il perimetro del manicomio di Stato. Conoscevo l’edificio, storicamente abbandonato, prima che tutto fosse nottetempo nella nazione. Ho superato la barriera dei controlli in ingresso, mostrando un tesserino falsificato da medico necroscopo al custode. Ci è cascato e non si è trattenuto dall’orrenda abitudine di sentenziare una battuta contro i medici, che avrebbero studiato troppo e parlano difficile. L’ossessione del latinorum ha affossato i sogni della repubblica.

L’area, riattata a ospedale psichiatrico, è quella dell’ex mattatoio cittadino. Lo riaprirono con sfarzo qualche tempo fa, evitando di riedificare e mantenendo intatta la struttura centrale. Ovunque la ruggine crepita, quasi friggendo il ferro o espirando per disseccamento. Le alte mura esterne sembrano falesie su cui hanno urinato per millenni entità titaniche. Gli spazi di contenzione sono reparti protetti, in un corrivo stile liberty. In un’area comune tra reparto e reparto, ho assistito agli strepiti violenti di un esercito di dodici pazienti che parevano scimmie, rifiutando l’assunzione di farmaci di nuova generazione. Gli infermieri li insultavano e li colpivano con grossi tubi di plastica, dando loro degli intellettuali, faticando a strapparli dalle sbarre alle finestre, a cui si erano attaccati con mani minute e femminee, prive di calli. Ho impiegato un’ora scarsa a reperire la stanza in cui mia sorella era legata al letto da lacci consunti di cattivo cuoio. Le avevano da poco somministrato una terapia elettroconvulsivante, priva di anestesia totale.

Si iniziò da Brunico, da Oristano, Verona, Pisa e poi Milano, a praticare il revival dell’elettrochoc a bassa intensità. Accadeva prima del nuovo corso sovranista. Era una terapia che si diceva dispiacere alle multinazionali del farmaco e quindi qualcosa di buono lo otteneva di sicuro. Mia sorella, internata per una depressione maggiore, era stata messa incinta in quell’asylum da un caritatevole infermiere, che non smetteva di molestarla, di stuprarla. Grande è la fedeltà maschile, specie quando la si declina. Me la sono caricata addosso, semincosciente. Il controllore all’uscita ci ha lasciato passare in cambio di qualche migliaio di lire. Ho sistemato il corpo esanime di mia sorella in auto e mi sono diretta al punto di raccolta concordato con le due coppie omosessuali, che mi avevano contattato sotto provvidenziale anonimato, in cerca di un’uscita da questa nazione da incubo. L’elusione sembra diventata oggetto di fraternità.
Abbiamo battuto strade provinciali impercorribili per via delle buche, un manto butterato di crateri, l’asfalto balcanico che segnala ovunque la presenza dell’incuria, privata o di Stato che sia. L’economia si è trascinata ben al di fuori dal controllo statale o dalle concessioni ai privati. Tenendomi lontana dalle poche arterie manutenute, ho proceduto lenta, sbrecciando il catrame sbriciolato, in direzione nord, fino al punto in cui il confine con la Svizzera non è presidiato e si può passare. I compagni del Mutuo Soccorso ci hanno fatto penetrare in una clinica cantonale. La procedura per l’aborto è stata eseguita in tempi rapidissimi, l’isterosuzione ha aspirato l’endometrio e l’embrione. Io e mia sorella abbiamo pianto per ore, mentre lei sussultava per il dolore fisico e per la sofferenza morale, in una sala attigua a quella dell’intervento, ci sentivamo entrambe vuote e violate, prive di una patria spirituale e menomate dal mondo. Ci siamo abbracciate, lei proseguiva verso il nord, io tornavo qui, dove la sorellanza si è trasformata in delitto».

Quale ammissione di colpe molteplici! Quale diffamazione dei principi costitutivi della nostra sovranità! Sebbene la condanna a morte sia scontata, non dobbiamo dimenticare, per dovere civico, che abbiamo da esserne convinti e, se mi è concessa la licenza poetica, addirittura entusiasti nell’emetterla. Dobbiamo sempre ricordare il precedente storico, la prima condanna a morte, a cui fu sottoposto quell’uomo che fotografava di nascosto i bambini che giocavano sulla spiaggia. Era certamente un pedofilo e le autorità lo salvarono dal linciaggio, per denunciarlo e cambiare a furor di popolo il codice. Serve sempre il furor di popolo, non dimenticatelo mai.

Attenzione! C’è un nuovo filmato on line del Nostro Leader: è sul pedalò, mentre mostra a tutti noi il pollice alzato, questo segno che ci infonde la certezza dell’ottimismo nella vita. Sta illustrandoci come non si intercetti nemmeno un cadavere tra le acque cristalline intorno a Lampedusa. Dalla politica, ai fatti. È incontestabile che si vedano meno negri in giro, dalla proclamazione della Nuova Costituzione. All’inizio fu problematico farlo intendere agli scettici, di cui in seguito ci siamo liberati: rovesciando le carrette del mare e assistendo coraggiosamente all’annegamento di qualche centinaio di subsahariani, per ogni morto che contavamo, sapevamo di salvarne migliaia, che non avrebbero intrapreso mai più quelle rotte, stroncando il traffico umano, attrezzato spietatamente da chi non era governativo. Bene così.

Torniamo ai reati dell’imputato. Devo denunciare la sua piena responsabilità nell’avere pubblicamente espresso opinioni con un vocabolario ricercato, per niente intuitivo, contorto, suppostamente raffinato e quindi teso a non permetter e che la gente comprenda quello che si sta dicendo. È un attentato linguistico che non abbiamo mancato di emendare. L’evidenza brucia la propria attendibilità. Cosa significa? Il mio assistito si è “peritato”, come amerebbe dire, di pronunciare aggettivi quali “errabondo”, “falotico” o “ergativo”, non disgiunti da arcaismi, ipotassi e immotivati troncamenti. Ci sarà un motivo se siamo tutti arrivati a comunicare con un vocabolario medio giornaliero di non più di duecento termini. È anche economico, oltreché democratico. Chiunque capisce subito tutto. L’utilizzo di una lingua bizantina, sottratta alla giusta sintesi, contraddice l’art. 1 della Nuova Costituzione, che recita: “L’aria è cambiata”. E contrasta con l’articolo immediatamente successivo: “Noi siamo noi, loro sono loro”. State con noi o con loro?

Un attimo di interruzione, per la diretta video del Nostro Leader, che ci dice cose reali, rivolgendosi alla nostra pancia, mentre succhia un Calippo e gioca a racchettoni in un bagno adriatico. Ve lo ricordate il Calippo? Vi ricordate i racchettoni? Non ne sbaglia una, il Nostro Leader! È davvero una comunicazione popolare e geniale.
Veniamo all’ultimo reato contestato al mio assistito. Si tratta della mancata adesione a Delazione.it. Conosciamo tutti i pregi di questo formidabile social, lanciato con successo dal governo che ha cambiato tutte le cose, rimettendole al loro posto. Con l’iscrizione su base volontaria obbligatoria, si possono aumentare i punteggi personali, denunciando anonimamente i comportamenti aberranti dei nostri conoscenti, dei nostri parenti, perfino di noi stessi. Più punteggio, meno tasse. È un principio che l’articolo terzo della Nuova Costituzione assicura a ogni cittadino: “Chiunque deve pagare meno tasse di prima”. Che cos’era, da subito, Delazione.it? Era una smisurata convenzione, il campo trincerato del genere umano attaccato da tutte le tenebre nello stesso tempo, notturni falò di un esercito di idee assediate, immane bivacco di spiriti su un versante abissale. Nella storia, nulla di paragonabile a questo gruppo, insieme senato e plebaglia, conclave e trivio, areopago e piazza pubblica, tribunale e imputato. Ecco cos’era: era lo Stato stesso. Era ciò che volevamo essere.

Quando portiamo i nostri bambini in gita a Roma, a visitare quello che fu il Parlamento e nel vuoto della vetusta aula, in cui si praticava un’inconcludenza degradante, le guide ci additano il cavallo, cioè il ronzino che il Nostro Leader ebbe l’intuizione di sistemare nell’emiciclo quando lo chiudem mo per decreto e pubblico plauso, faremmo bene a meditare gravemente su quell’equino: si aggira come un palafreno fantasma, nitrisce sulle gradinate, cerca il giaciglio tra i banchi del governo, sfiata dalle froge nel silenzio assoluto, in cui rimbombano i suoi zoccoli. È un simbolo potente della nostra volontà di cambiare.

Senza Delazione.it, con cosa avremmo sostituito quell’assemblea di vitalizi e corruttela? Ebbene, il mio assistito non ha denunciato nessun comportamento doloso per il bene comune e si è limitato a pubblicare un unico e non del tutto innocuo intervento, che vado a leggervi: «Nel nome del popolo italiano: quale sarebbe questo nome? Ho riflettuto e ponderato le possibili soluzioni, per giungere alla conclusione che il popolo italiano ha questo nome: infinita fine». Che cosa significa? È una messa in accusa dello Stato, cioè della gente? È un codice per cellule dormienti? È un ulteriore e forse insuperabile reato retorico? Perché l’Italia sarebbe un’infinita fine? Non lo comprendiamo e per ciò stesso condanniamo a morte l’imputato che ho appena difeso!».
E i moltissimi likarono.