Dagli anni Settanta all'America di Donald Trump, il Lido sceglie temi politici

La Mostra del Cinema di Venezia arriva alla 75ma edizione e molti registi di tutto il mondo esplorano eventi recenti ?o remoti, ne interrogano il senso, propongono ricostruzioni diverse da quelle ufficiali. Come se solo con i mezzi del cinema il passato diventasse davvero e nuovamente leggibile.

Lo fa Damien Chazelle, che dopo “La La Land” apre nuovamente la Mostra con “First Man”, dedicato all’impresa che nel 1969 portò Neil Armstrong sulla Luna. Lo fa il regista di “Le vite degli altri”, Florian Henckel von Donnersmarck, con “Opera senza autore”, tre ore e passa su e giù per la storia tedesca, dall’avvento del nazismo alla Germania Est anni ’70.

Al Novecento guardano anche Mario Martone e l’ungherese Laszlo Nemec, Oscar per “Il figlio di Saul”, tornando entrambi alla vigilia della Prima guerra mondiale; anche se il primo, in “Capri Revolution”, posa lo sguardo di una ingenua pastorella sui sogni e le utopie di un gruppo di intellettuali cosmopoliti, mentre il secondo in “Sunset” segue la furia di un gruppo di prototerroristi nella Budapest del 1913 con gli occhi di una giovane borghese decaduta.

Ma scavano in ferite più o meno recenti anche Alfonso Cuarón in “Roma”, dal nome del quartiere di Città del Messico in cui il regista è cresciuto nei tumultuosi anni ’70; l’inglese Mike Leigh, che in “Peterloo” torna a un massacro di pacifici manifestanti nella Manchester del 1819; il wonder boy Brady Corbet nell’attesissimo “Vox Lux”, epopea di una pop star che forse deve parte del suo successo all’11 Settembre. Mentre il greco Lanthimos in “The Favourite” porta il suo teatro della crudeltà addirittura alla Corte d’Inghilterra nei primi anni del Settecento. E Alessandro Borghi apre Orizzonti nei panni di Stefano Cucchi ?in uno dei molti film Netflix di Venezia, “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini, una manciata di sale su una ferita sempre aperta. Oltre che uno dei tanti film politici di una Mostra che naturalmente non dimentica il presente. Dalla doppietta di Amos Gitai ?(“A tramway in Jerusalem” e “Letter to ?a friend in Gaza”) ai due film sull’ex-presidente uruguayano Pepe Mujica, uno dei quali firmato Kusturica. Fino ai lavori paralleli di due grandi documentaristi americani, “American Dharma” di Errol Morris, conversazione con il suo ?ex-compagno di studi Steve Bannon; ?e “Monrovia, Indiana” di Fred Wiseman, ?4 ore di cronaca minuta e ammaliante della vita in una di quelle piccole città che hanno regalato la vittoria a Trump.