Il caso del generoso aumento di retribuzione per i presidenti delle società pubbliche quotate in Borsa, sollevato da “L’Espresso”, finisce in parlamento. Il senatore Urso (Fratelli d’Italia) chiama a rispondere il neo-ministro

Il caso dei presidenti delle società pubbliche quotate, che come ha raccontato “L'Espresso” hanno approfittato zitti zitti della mancata ripresentazione di una raccomandazione del Tesoro per raddoppiarsi (o più) lo stipendio, finisce sul tavolo di Giovanni Tria.

A chiedere lumi con un'interrogazione parlamentare al neo ministro dell'Economia è Alfonso Urso, senatore di Fratelli d'Italia.

«Il comportamento posto in essere dai vertici delle principali società partecipate è inaccettabile», dice Urso, che aggiunge: «Serve trasparenza ed è per questo che noi di Fratelli d'Italia chiediamo al ministro se condivide questo atteggiamento o se intende riproporre subito indicazioni precise e vincolanti sui tetti retributivi dei vertici delle società partecipate».

“L'Espresso” aveva rivelato che nei giorni scorsi quasi tutti i numeri uno delle aziende pubbliche presenti al listino, i cui stipendi sfuggono al tetto dei 240 mila euro voluto nel 2014 dal governo di Matteo Renzi, ma che erano stati nello stesso anno oggetto di una raccomandazione calmieratrice (non vincolante) di Pier Carlo Padoan (poi non ripresentata), si sono generosamente ritoccati verso l'alto le retribuzioni per il 2018 (rispetto al 2016). Più 173 per cento, a quota 650 mila euro, Patrizia Grieco (Enel); più 110 per cento, a 500 mila tondi, Emma Marcegaglia (Eni); più 106 per cento, a 490 mila, Gianni De Gennaro (Leonardo); più 102 per cento, a 480 mila, Bianca Maria Farina (Poste).

È rimasta invece al palo (a quota 238 mila) Catia Bastioli (Terna).