Prima messo alla porta dopo un decennio in Luxottica. Poi finito in disgrazia come consulente di Renzi a palazzo Chigi. E ora alle prese con i conti di Eataly che non tornano. Le promesse mancate di un manager molto celebrato

Doveva essere l’anno della grande rivincita, dopo un 2016 nella polvere. Invece Eataly, colosso d’argilla della ristorazione fighetta, ha chiuso con un utile netto da mercato rionale: un milione (su un giro d’affari di 465). Segnando l’ennesimo scivolone del suo presidente esecutivo, il celebrato (e vai a capire perché) Andrea Guerra.

Testone alla Charlie Brown, conciato come Marchionne (in vacanza, però), molto vendicativo e dotato di un ego che gli impedisce di rispondere al saluto, il (presunto) fenomeno era già stato accompagnato alla porta nel 2014 da Leonardo Del Vecchio, patron di quella Luxottica che ha guidato per un decennio («L’azienda era indietro...»).

Rimasto a spasso, sia pure con un bottino-record di 61,7 milioni, stipendio e stock option compresi («nulla di clamoroso», fece spallucce lui), s’era messo con lungimiranza sotto l’ala dell’allora premier Matteo Renzi, al quale lo lega un certo velleitarismo. Pomposamente nominato consigliere strategico per l’industria, aveva preteso l’ufficio più bello di palazzo Chigi, accaparrandosi lesto i dossier Ilva, Alitalia e rete Telecom. Che infatti sono ancora tutti lì.

Finito di nuovo (e più rapidamente, stavolta) in disgrazia, aveva accettato l’ingaggio di un altro chiacchierone doc: Oscar Farinetti. Il patron di Eataly non doveva aver ascoltato bene quando (Leopolda 2013) Guerra vagheggiò di 3 miliardi di nuovi consumatori. Salvo ?poi limare la stima a mezzo miliardo, senza per ciò fare una piega.

Tra spigole ?e babà, la vocazione alle parole in libertà non ha più trovato freno: «Possiamo arrivare sopra il miliardo, miliardo e mezzo (di fatturato, ndr)», ha garantito ?di recente. Così, mentre lo sbarco in Borsa continua a slittare, più d’uno sghignazza di gusto sull’ultimo slogan di Eataly: “Teniamo i piedi per terra”.