Erano gli eroi della guerra all’Isis. Ma l’Occidente li ha dimenticati. Mentre Stati Uniti e Russia si affrontano in Siria Dall’assedio di Kobane all’invasione turca di Afrin. Il destino di un popolo che ha combattuto l’Isis “per conto nostro” e subito dopo è stato abbandonato. Nei giorni dell’escalation militare nell’area siriana (Fotografie di Augusto Casasoli per L’Espresso, disegni di Zerocalcare)

Nei giorni in cui la crisi siriana si aggrava con il coinvolgimento diretto di Usa e Russia, L’Espresso torna a occuparsi dei curdi, un popolo prima esaltato per il suo ruolo nella guerra all’Isis e poi abbandonato al proprio destino. Lo fa dialogando con Zerocalcare (Michele Rech), autore di “Kobane calling” e Ozlem Tanrikulu, presidente dell’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. Per L’Espresso hanno partecipato al forum il direttore Marco Damilano, il vicedirettore Alessandro Gilioli, Gigi Riva e Francesca Mannocchi.

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L’Espresso
Si chiama operazione Ramoscello d’ulivo, è iniziata il 20 gennaio 2018 in una città siriana che si chiama Afrin, uno dei luoghi di cui ormai parliamo poco e che non finisce sulle prime pagine dei giornali. Quello che è accaduto lì riguarda il nostro modo di guardare ai popoli che da molto tempo cercano uno Stato, una nazione, che sono oppressi. E riguarda anche il nostro modo di guardare ai cambi di alleanze internazionali e al cinismo delle grandi potenze in Siria, dove dal 2011 si combatte una guerra spaventosa con il suo carico di morti e di profughi, e che oggi incontra una nuova escalation. Al centro il c’è popolo curdo, usato dalle grandi potenze. Quando c’era da combattere l’Isis i curdi erano eroi, poi sono stati dimenticati, come sta succedendo in questi mesi.

Tanrikulu
Il pubblico internazionale conosce il popolo curdo grazie a Kobane e a Zerocalcare. In realtà la resistenza dei curdi dura da molti anni. È una resistenza di riconoscimento, che è diventata una richiesta sia per l’intero popolo curdo, che è stato diviso in quattro parti, sia per il progetto di democrazia confederale del Rojava. La lotta per Kobane è stata un passaggio molto importante che ha fatto conoscere un’idea, la soluzione avanzata dal popolo curdo che riguarda tutto il Medio Oriente: una via di convivenza tra i popoli. Parliamo di Kobane e di Afrin, dove convivono diverse etnie e religioni, le stesse che sono diventate lo strumento per creare guerre tra le popolazioni mediorientali. La soluzione che i curdi hanno portato avanti a Kobane è una convivenza pacifica guidata dalle donne.Sono le donne a creare la società democratica che per poter vivere deve avere una mentalità non dominante, non patriarcale, non distruttiva. Con la guerra in Siria si è creata un’opportunità: far conoscere la possibilità di dar vita a una democrazia dal basso, basata sull’autogoverno delle città. Un modello che la Siria non ha mai conosciuto. I curdi hanno cominciato a trasformare una cultura distruttiva sostituendola con una che costruisce legami forti. E la guerra di autodifesa dal Daesh, la resistenza di Kobane, è diventata la resistenza dell’umanità. Perché lì era in atto un attacco all’umanità. Recentemente con la guerra ad Afrin abbiamo visto non solo un attacco al popolo curdo, ma al diritto internazionale.

L’Espresso
Ma adesso com’è la situazione? Ci hai raccontato un momento di speranza quando sembrava che il vostro progetto fosse appoggiato da quelle superpotenze che quando voi resistevate in nome dell’umanità erano vostre alleate. Invece la Turchia e l’esercito siriano sono entrati ad Afrin, bombardando con gli aerei, con i droni. Le denunce delle organizzazioni internazionali parlano di una possibile catastrofe umanitaria: circa 150 mila profughi. Tutto è cambiato: siete tornati a essere un popolo dimenticato.

Tanrikulu
Io non direi dimenticato, perché un popolo che si organizza dal basso, anche se deve lasciare la propria città per non morire, non vuol dire che venga abbandonato. Le forze internazionali perseguono i loro interessi, ma tutti avranno bisogno dei curdi per costruire una democrazia in Medio Oriente. Sono i curdi che per primi hanno costruito una democrazia. Grazie a questa nostra cultura le grandi potenze in qualche modo dovranno mettersi in dialogo con il popolo curdo e con le sue organizzazioni. Certo, oggi quello che vediamo ad Afrin è una bomba ogni minuto, vediamo la distruzione non solo fisica, ma di una cultura. Vediamo distruggere villaggi interi. Un altro attacco all’umanità questa volta condotto dall’esercito turco che è il secondo esercito della Nato e che utilizza tutte le sue armi. Di fronte a questo l’autogoverno di Afrin ha deciso che la popolazione doveva lasciare la città. Parliamo di 250 mila abitanti che si sono spostati per fuggire alla morte e alla distruzione. Hanno tagliato l’acqua, l’elettricità... Hanno bombardato i fornai per togliere il pane, poi l’ospedale. La stampa internazionale quasi non ne ha parlato. Ma la lotta di Afrin continua. Questa guerra in Siria è una guerra della Turchia per avere più potere in Medio Oriente, cambiando alleanze e strategie.

L’Espresso
Michele, come hai incontrato la causa del popolo curdo e perché l’hai presa così a cuore? In queste settimane hai anche denunciato con grande forza il silenzio dell’Occidente e dell’Italia.

Zerocalcare
La storia del mio legame con i curdi risale a molto tempo fa. Avevo 14 anni quando Öcalan venne in Italia a chiedere asilo politico. Erano gli anni in cui cominciavo a vedere quello che succedeva nel mondo; vedevo la diaspora curda in Europa che veniva a Roma per sostenere questa richiesta di asilo e i centri sociali romani che si occupavano dell’accoglienza, portando coperte e cibo a tutti i curdi che erano venuti ad accamparsi sotto il Celio, dove era detenuto Öcalan. Era il mio primo contatto con la politica, con i centri sociali che avevano stabilito legami con i curdi a Roma. Dopo molto tempo, quando i media hanno dato visibilità all’assedio di Kobane, noi abbiamo pensato che stava succedendo qualcosa che ci era sfuggito. Abbiamo richiamato la comunità curda e in un incontro all’Università ci raccontarono della rivoluzione iniziata con la guerra civile in Siria e di questo sistema del confederalismo democratico. Ci sembrava che parlasse la lingua nostra, non la lingua dell’Occidente, ma qualcosa di molto più avanzato: il protagonismo femminile, la convivenza tra differenti religioni e culture, la redistribuzione del reddito, l’ecologia... Quindi non si trattava solo di aiutare, c’era qualcosa da imparare da quel modello. Sono partito per Kobane con la staffetta romana, non per fare il fumetto, ma per queste ragioni. All’inizio anche con scetticismo.

L’Espresso
Infatti in “Kobane calling” racconti i tuoi dubbi su quel modello, sulla Carta del Rojava.

Zerocalcare
Sì, perché le cose che vediamo da lontano spesso le vediamo con la lente della propaganda, dell’esotico. Invece era vero. Era qualcosa che esisteva: il ruolo della donna, la convivenza... si toccavano con mano. Ho pensato che quel modello andasse raccontato e difeso, per questo ho disegnato Kobane calling. L’ultima fase, quella dell’invasione turca di Afrin, l’ho vissuta peggio. Siamo passati dai curdi eroi, dall’empatia, all’indifferenza. Nel momento in cui il nemico non era più Daesh ma la Turchia, i curdi sono diventati invisibili, come non li avessimo mai conosciuti. Cose che gridano vendetta. Erdogan è venuto in visita a Roma e non c’è stata alcuna obiezione. Eravamo sotto elezioni con una campagna giocata sulla pelle dei migranti, e ci siamo trovati davanti a una situazione che è il prototipo dell’atteggiamento dell’Occidente: noi diamo i soldi a Erdogan per tenersi i profughi, con quei soldi lui compra le armi con cui fa la guerra lì producendo altri profughi, e noi gli ridiamo soldi per tenere là, nei lager, i profughi che lui stesso produce. Tutto questo senza che dalla politica italiana si alzi una voce.

L’Espresso
Come dobbiamo inquadrare quello che ci è stato raccontato negli scenari degli ultimi giorni e nel quadro degli equilibri internazionali?

Riva
Do per scontato che dobbiamo sentirci in debito con i curdi, che fanno la guerra per conto nostro. Che sono stati usati come esercito-taxi da cui ora stiamo scendendo. Al netto della buona volontà che Ozlem manifesta dicendo che non si sente abbandonata, io sono un po’ più pessimista, se inquadro la situazione nelle strategie geopolitiche. Assad chiudeva un occhio riguardo all’esperienza curda nel nord del Paese perché gli serviva in funzione anti-Isis. Una volta finita l’emergenza tutto sta tornando nel fiume lungo nella questione curda, che non ha mai avuto soluzione. La vera questione è se questo tentativo di autogestione del Rojava, del nord dell’Iraq e della zona orientale della Turchia prelude (è questa la grande paura) al vero sogno del popolo curdo: l’unione di tutti in uno Stato. È così Ozlem?

Tanrikulu
No, non credo. La soluzione dell’autogoverno dei curdi in Iraq non prevede quello che stiamo discutendo in Siria. La nostra richiesta di autogestione non prevede di dividerci dal paese in cui siamo vissuti per anni. Un siriano insieme ai curdi trova la sua esistenza. Il referendum per l’indipendenza dei curdi iracheni è stato anche una provocazione delle forze internazionali che li hanno spinti ad andare fino in fondo. Dichiarare l’indipendenza del Kurdistan iracheno non va in direzione della convivenza pacifica tra popoli. La questione è democratizzare. I curdi sono motori per la democratizzazione della Siria; e anche per l’Iraq e per la Turchia. Ma in Iraq ha prevalso una mentalità da clan, non quella di un autogoverno democratico. Il nostro progetto non prevede di toccare i confini esistenti, per questo durante l’attacco turco ad Afrin abbiamo chiamato il governo siriano dicendo: “sono i tuoi confini, vai a difenderli”. Non sono andati. Quello a cui stiamo assistendo è la volontà della Turchia di creare un nuovo impero ottomano. Parliamo di un cambiamento totale del Medio oriente che prevede anche la divisione della Siria. I curdi sono a favore dell’unità della Siria.

L’Espresso
Francesca, tu racconti popoli senza stati e entità statali che non esistono più, come la Libia, l’Afghanistan, la Siria. La nostra informazione come racconta i curdi?

Mannocchi
Penso che siano state usate tre parole cruciali da Gigi Riva: per conto nostro. È la sintesi di quello che sta accadendo alla narrazione e a quello che sta accadendo sul piano politico. Faccio un esempio: nel 2004 vengono pubblicate le foto delle torture di Abu Ghraib e i giornali internazionali si sono interrogati per mesi su chi fossero i torturatori, su che cosa fosse successo... Che cosa fosse successo sul piano etico all’Occidente. Nei mesi della guerra di Mosul arrivano le stesse immagini, ma in questo caso quanto sono durate queste notizie? Un battito d’ali. Perché? Perché sono cambiate le mani dei torturatori, ci somigliano di meno, non hanno i nostri passaporti... I governi occidentali sono diventati così intelligenti da non andare ufficialmente a sporcarsi le mani, hanno imparato dagli errori: mandiamo i servizi segreti e gli diciamo “lì ci sono i foreign fighters, a casa non ce li rimandate ma li ammazzate voi”. Così quella guerra ci sembra lontana. Li facciamo diventare combattenti al posto nostro, ma con le nostre armi. Il governo Usa ha speso 25 miliardi per armare l’esercito iracheno. Funziona con la Turchia: vi diamo i soldi e tenetevi i migranti. Funziona con la Libia: addestriamo la vostra guardia costiera e mandate indietro i migranti. Quello che succede sul piano dell’etica, del diritto, non ci interessa perché sul campo non ci siamo noi; e questo comporta una generale banalizzazione. Se è vero che abbiamo bisogno dei curdi sul campo di battaglia è altrettanto vero che la gente ha bisogno del cattivo e ha bisogno dell’eroe.

Damilano
Ozlem dice anche che i curdi non sono interessati a distruggere la Siria e che la Turchia sta allargando i confini della propria influenza fino a riproporre impero ottomano. È queste una delle partite che si sta giocando?

Riva
È evidente che la Siria è diventata il luogo di scontro tra tutte le potenze internazionali, uno stato di cose che nasce alla volontà degli Stati Uniti di andarsene dal Medio oriente, anche perché nel 2017 hanno raggiunto l’autosufficienza energetica. Altre potenze hanno cominciato ad avere appetiti nell’area: Turchia e Russia in primo luogo. In questo quadro, dopo sette anni di una guerra che ha lacerato la popolazione siriana, sarà molto difficile che Assad resti al potere essendo leader di una minoranza. Vedo, contrariamente a Ozlem, che il Medio oriente si sta ricostituendo su basi etniche. La tentazione di ridisegnare le frontiere è sempre più evidente e si scontra con la politica che Ozlem ci ha raccontato. Credo che il suo parere non sia condiviso nemmeno da tutti i curdi, e che siano molti quelli che vogliono creare un proprio stato. Mi permetto di dubitare che il modello di democrazia di base del Rojava possa diventare un modello per il Medio Oriente. Sono più pessimista rispetto al futuro dell’area e credo non usciremo da questo conflitto con i confini con cui ci siamo entrati.

Gilioli
Vorrei tornare sui rapporti tra i media e la politica estera. Diceva Michele che la stampa italiana ha seguito per un po’ la causa curda per poi abbandonarla. In generale i media italiani hanno una scarsa attenzione per le questioni internazionali. Colpa anche della società, non solo dei media: quando metti in rete un pezzo sul Sudamerica o sull’Asia, i commenti sono tutti su Renzi e Di Maio, si torna sempre alle questioni di cortile italiane. Michele, tu sei uno dei pochissimi che sono riusciti a creare una grandissima audience in Italia parlando di esteri, della questione curda. Come hai fatto, come si fa?

Zerocalcare
Io sono stato aiutato dal mezzo, che è il fumetto. Un mezzo che richiede partecipazione intellettuale e anche emotiva al lettore, che deve riempire degli spazi tra una vignetta e l’altra; è un grande vantaggio. Forse conta anche il fatto che sentivo molto la cosa che ho raccontato, non l’ho fatta perché mi era stato assegnato un compito. Stavo facendo una cosa lontanissima da molti lettori, penso ai più giovani. Così mi sono posto il problema di raccontare la storia e la geografia, non potevo raccontare quello che stava accadendo a Kobane senza raccontare quello che c’era stato prima. Il lettore deve sapere la storia che ci ha portati là.

L’Espresso
Ozlem, cosa possiamo fare noi, da qui, per voi?

Tanrikulu
Per noi ma anche per voi... Non è facile, ma il popolo curdo non si lascerà dividere sui diritti fondamentali, che in Occidente sono spesso solo sulla carta. Cosa potete fare voi? Per esempio sapere che vengono costruiti elicotteri italiani che diventano bombe sui curdi. Una protesta su questo sarebbe già importante. L’Italia ha tantissime imprese in Turchia, per questo non ha parlato. Quello che si può fare oggi è anche boicottare la Turchia, il suo turismo, i suo prodotti.