Definiscono, creano  contesti comuni, specificano la nostra identità.  Perché non possiamo fare  a meno delle bussole

Penso che sia evidente la mia passione “geografica”. Almeno, a chi segue, anche in modo disattento, le mie analisi pubblicate sui giornali. Ma anche i miei libri. Su Repubblica, da quando ho iniziato la mia collaborazione, all’inizio degli anni 2000, ho scelto di associare i miei articoli a etichette precise. Mappe. Atlanti. E Bussole. Le Mappe accolgono e raccolgono le mie riflessioni e le mie ricostruzioni sui temi e sulle vicende più attuali. Negli Atlanti, invece, vengono presentate ricerche e indagini che misurano e delineano le opinioni e gli orientamenti dei cittadini, in modo più ampio e, per quanto possibile, sistematico.

Le Bussole, infine, mi servono a orientare la direzione del mio sguardo. Attraverso riflessioni, per quanto possibile, rapide e suggestive. Per “suggerire” piuttosto che per “definire”. Cioè, de-limitare. Tracciare confini. Non solo fisici, ma anche sociali, culturali, semantici. Una de-finizione, infatti, serve a chiarire i significati riconducibili a una parola. Per comunicare. Certo, le mappe possono cambiare, insieme ai confini. A causa di grandi movimenti e sommovimenti, politici e sociali. Oltre che geologici. Ma senza una mappa, anche sbagliata, anche inattuale, diventa impossibile orientarsi. Una mappa sbagliata o inattuale la puoi cambiare, modificare. Ma senza una Mappa ti perdi. Semplicemente.

Le Mappe servono, inoltre, a creare un con-testo. Un “testo comune”. Condiviso. In base a cui dividersi e confrontarsi. Naturalmente, i confini sono sempre precari e provvisori. Anche quando sono marcati da muri e da barriere. Perché i confini esistono per essere superati, anche quando sembrano inaccessibili. Bloccati. Basti pensare all’esodo costante e massiccio di masse di disperati, che attraversano confini naturali, prima che geo-politici. Dall’Africa, ma anche dall’Oriente, verso di noi. Così, su scala molto minore e in prospettiva molto meno drammatica, la geo-grafia, la raffigurazione del territorio e dei suoi “confini”, serve a specificare la nostra identità. Cioè: chi siamo. In base alla residenza: nazionale, ma anche locale. Noi, infatti, ci sentiamo milanesi, napoletani, torinesi, romani, oppure bolognesi vicentini, baresi, fiorentini, urbinati… E quindi veneti, piemontesi, siciliani, sardi, toscani… Meridionali, del Nord. E poi italiani. Molto meno: europei. Insomma, il riferimento al territorio conta. E spiega una parte importante dei nostri orientamenti, dei nostri valori, delle nostre scelte. Perché un ambito territoriale – un comune, una regione, un’area – “contiene” una società, un’economia. E dietro ha una storia, una cultura, un sistema di valori, che persistono, nel corso del tempo. Non è un caso che in Italia vi siano diverse Italie, sul piano sociale ed economico. Ma anche politico ed elettorale. Io ho ricostruito gli orientamenti di voto, dal 1946 fino a pochi anni fa, in due saggi, sotto-titolati, non a caso, Mappe dell’Italia politica. Mentre il titolo principale evocava i diversi colori usati per differenziare le diverse scelte elettorali. Bianco (la Democrazia Cristiana), Rosso (il Pci e la Sinistra), Verde (la Lega) e Azzurro (Forza Italia e i suoi alleati). Al di là dei colori, le Mappe disegnate dalle diverse elezioni del dopoguerra sottolineano e riproducono una grande continuità, almeno fino all’inizio di questo decennio. Fino al 2013.

Quando le tradizioni politiche cominciano a subire le scosse anti-politiche. Che scuotono tutta l’Italia, scavalcando i confini tradizionali. Se la Sinistra era stata sempre radicata e forte nelle regioni del Centro, La Democrazia Cristiana nelle province del Nord e soprattutto del Nordest, se nel Mezzogiorno erano sempre prevalsi orientamenti filo-governativi (alimentati dal voto di scambio), nel 2013 emerge e si afferma il Movimento 5 Stelle. Che è primo o secondo partito quasi in tutte le province italiane. Così l’Italia si colora di giallo. Lo stesso avviene alle elezioni europee del 2014, quando il PD di Renzi riesce a imporsi anche in zone tradizionalmente ostili alla Sinistra, come il Veneto. Successivamente, questa instabilità si ripete. E rende più difficile l’uso delle Mappe. I colori politici dell’Italia perdono de-finizione. E l’Italia diventa quasi “incolore”.

Tuttavia, io resto in attesa. Convinto che, per citare Simon Garfield, «quando guardiamo una mappa (di qualsiasi genere, in qualsiasi formato, di qualunque epoca) vi troviamo soprattutto noi stessi e la nostra storia» (Sulle Mappe, Ponte alle Grazie). Così sono certo che continuerò a tracciare confini, per nuove Mappe. E nuovi Atlanti. Da osservare e ri-percorrere con nuove Bussole. Mentre per viaggiare e visitare territori sconosciuti mi affiderò, come molti altri, a Google Maps…