Il Carroccio che promuove le indicazioni in dialetto si batte contro quelle in arabo. Ma solo se possono essere utili: in caso indichino divieti allora vanno benissimo

Ai tempi di Umberto Bossi la Lega combatteva la sua battaglia linguistica imponendo le scritte anche in dialetto sui cartelli stradali dei comuni che amministrava, da “Bèrghem” (Bergamo) a “Sasôl” (Sassuolo). Qualcuno di quei cartelli resiste ancora, in Lombardia e Veneto, in memoria di quando il Carroccio era federalista se non indipendentista. Adesso la parola “Nord” non c’è più nemmeno nel nome del partito, ma gli amministratori salviniani hanno dato il via a un’altra campagna linguistica: quella contro le scritte (anche) in arabo che compaiono in alcuni luoghi pubblici, per consentire una migliore comprensione agli immigrati dal nord Africa e dal Medio Oriente.

L’ultimo caso è quello del consigliere regionale dell’Emilia Romagna Daniele Marchetti che si sta battendo contro le scritte integrative in arabo nell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove quasi un quarto degli utenti è di lingua madre araba. «Non si può pensare che dobbiamo essere noi, a casa nostra, a dover imparare la lingua araba per agevolare il loro inserimento sociale nel nostro Paese», ha tuonato Marchetti.

Le scritte al Sant’Orsola, peraltro, sono anche in italiano ?e inglese - che compaiono sopra, quella in italiano anche più grossa - quindi nessuno deve «imparare l’arabo». Ma, soprattutto, tra i primi sindaci a utilizzare scritte in arabo nei luoghi pubblici c’è stato proprio un leghista: tre anni fa fu il compianto Gianluca Buonanno, allora deputato del Carroccio e primo cittadino di Varallo Sesia (in Piemonte), a disseminare il suo comune ?di cartelli in arabo che indicavano il divieto di circolare con il volto coperto, di mendicare e di vendere merce sui marciapiedi.

Insomma alla Lega i cartelli ?in arabo vanno benissimo se impongono proibizioni e minacciano multe, ma non vanno più bene se possono aiutare i malati a trovare un padiglione.