Critica sui migranti, sulla demonizzazione delle Ong e in rapporti non idilliaci con i produttori di armi. Ecco perché è il ministro più odiato dai leghisti

«Se una madre e un padre mettono il proprio figlio su un barcone sapendo che potrà morire non lo fanno perché pensano di andare in crociera, ma perché cercano una vita migliore. Nessuno vuole lasciare il suo Paese, nessuno vuole lasciare la sua cultura, la gente oggi fugge da guerre e carestie». E poi: «Non so chi parla della leva obbligatoria, io che sono il ministro della Difesa non ne parlo e non sono d’accordo con l’idea di rimetterla».

E ancora: «Le Ong? Dico basta a una eccessiva demonizzazione che non mi convince e non mi piace». Parole di Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, che si diverte sempre di più a fare il controcanto a Matteo Salvini. E così dopo aver chiesto scusa a Ilaria Cucchi, dopo aver litigato pubblicamente con Gasparri e La Russa per via di uno spot dell’esercito, dopo aver perorato la causa della missione Sophia nel Mediterraneo (ottenendone la proroga), dopo aver cantato a Radiorock la canzone pacifista di Gianni Morandi (“C’era un ragazzo che come me...») e dopo aver infine preso le distanze dalle piromani dichiarazioni di Salvini sul conflitto in Medio Oriente, Trenta è diventata uno dei ministri più sgraditi ai leghisti e alle destre.

La ministra è poco amata anche da alcuni ambienti della produzione militare, a iniziare da Leonardo Finmeccanica (ha proposto una “rimodulazione” degli investimenti con l’obiettivo di ridurre la spesa) ed è detestata dai cappellani militari, visto che ha cercato (finora inutilmente) di tagliarli. Eppure Trenta non proviene certo dall’ala sinistra del M5S, anzi: è stata consigliere comunale dell’Udc a Velletri in appoggio a un sindaco di An, Bruno Cesaroni, noto per aver intitolato una via a Ettore Muti.