All’inizio sono stati maestri di innovazione? in radio e a Mediaset. Poi anni di buio e la rinascita in Rai. Per tornare, ora, su Italia 1

Nella storia della televisione italiana ci sarà anche un capitolo dedicato alla Gialappa’s Band. Giustamente. Il merito del trio lombardo composto da Carlo Taranto, Giorgio Gherarducci e Marco Santin (oltre a quello di aver mutuato il nome del loro gruppo di lavoro da una pianta floreale messicana) è stato cogliere tra la fine degli anni Ottanta e il decollo dei Novanta che il piccolo schermo andava contaminato con altri stili e linguaggi.

In particolare questi ragazzi immersi all’epoca nella Milano ramazzottimista abbinarono i successi raccolti a Radio Popolare, dove commentavano con sarcasmi a presa rapida le prodezze del calcio, alla disciplina dei telecomandi, scombussolati a quel punto dall’entrata in scena delle emittenti commerciali. E in quel clima per mille ragioni padre di momenti splendidi e altri invece modesti, imposero all’attenzione collettiva le loro spigolature vocali. Perfetto e suggestivo, allora. Uomini senza volto che modellavano con le loro parole le immagini fluttuanti sul video. Giovani che nell’Italia pre e post Mani Pulite coltivavano a Cologno Monzese non soltanto il loro talento ma anche quello di decine di attori e comici come Antonio Albanese o Paola Cortellesi. Il trionfo dell’allegria quando afferra il reale e lo trasforma in bruciante lettura antropologica. E anche l’indizio, in quel passaggio denso di speranze, che si potessero costruire trasmissioni lievi e convincenti assieme oltre le logiche dei Bagaglini e dei capezzoli ottusi proposti da Colpo Grosso.

Una bella storia che, come tante altre belle storie, a un certo punto è diventata un incubo. Il tutto per l’abilità di Mediaset nell’inchiodare la Gialappa’s Band a uno dei suoi format più riusciti (Mai dire gol, nato nel 1990) fino a trasformarlo in ossessione, manierismo, noia. Anni infernali di Mai dire Tv, Mai dire Giro, Mai dire Maik, Mai dire Grande Fratello, Mai dire Reality, Mai dire Pupa hanno stremato il caro trio. E a completare spietatamente l’opera sono stati i social network, dove i commenti alla tv in tempo reale da parte del pubblico hanno appannato per quantità (e a volte persino per qualità) il flusso delle voci gialappiche.

Che peccato. E che dispiacere, ora, leggere che i signori Taranto, Gherarducci e Santin, dopo una parentesi agrodolce in Rai (bene Quelli che il calcio con Nicola Savino, piuttosto bene la rinnovata versione on the road di Milano-Roma, un po’ meno bene la furbizia pigra e acchiappa-ascolti di Rai dire Niùs) hanno firmato per tornare nei palazzi di Cologno. Gli stessi vetri e muri che hanno già ospitato il loro progressivo declino. Gli stessi spazi dove presto reciteranno la solitissima parte dei ridanciani a Le Iene in attesa di proporre uno show inedito. Gli stessi uffici, infine, che pagano d’accordo bene, ma non abbastanza per pensionare in anticipo il dono della creatività.