L'Espresso pubblica intercettazioni e documenti inediti sulla catena di attentati in Europa. Il terrorista di Berlino ucciso a Sesto fu attivato da altri complici. L'eccidio al concerto di Manchester pianificato da Dallas via Torino. Il Califfato nero ha trasferito covi e basi terroristiche dalla Siria a Tripoli. E dietro i "lupi solitari" c'è una brigata militare di veterani del jihad. L'inchiesta esclusiva sull'Espresso in edicola da domenica 13 agosto

Gli ordini di morte per la strage di Manchester e per altri attacchi terroristici dell'Isis sono passati dall'Italia. Lo scrive l'Espresso, che nel numero in edicola da domenica 13 agosto ricostruisce, con documenti giudiziari e intercettazioni finora inedite, i primi risultati delle indagini internazionali sui più sanguinosi attentati commessi in nome del cosiddetto Stato Islamico.

Sono inchieste scottanti, avviate in nazioni diverse e ancora in pieno svolgimento, che cominciano a decifrare come funziona e da quali ingranaggi è composta la macchina dello stragismo globale, in grado di mettere in moto singoli terroristi dal Medioriente al Nordafrica, dall'Europa agli Stati Uniti. Dietro una lunga serie di carneficine rivendicate dall'Isis – dagli attacchi con armi ed esplosivi di Parigi e Bruxelles, alle stragi di turisti in Tunisia, dal jihadista con il camion che ha travolto la folla il 19 dicembre 2016 a Berlino, all'eccidio di adolescenti all'uscita da un concerto il 22 maggio scorso a Manchester – le indagini stanno delineando una rete del terrore organizzata a sistema: non lupi solitari, non attentatori improvvisati e scollegati, ma un branco di potenziali kamikaze nascosti in Paesi diversi e pronti ad essere attivati a distanza.

Le inchieste internazionali rivelano, inoltre, che gli strateghi del Califfato nero hanno trasferito covi e basi operative del terrorismo jihadista dalla Siria alla Libia, una nazione nel caos che ha mille legami con l'Italia. Anche Anis Amri, il terrorista del camion di Berlino, ucciso in una sparatoria con la nostra polizia a Sesto San Giovanni, risulta attivato da altri complici dalla Libia, non dalla Siria.

Tra le nuove carte contro l'Isis pubblicate da l'Espresso c'è il testo di un'intercettazione impressionante sulla strage di Manchester: una conversazione importante, che ha spinto una squadra di magistrati federali statunitensi e poliziotti dell'Fbi a piombare in Italia a metà luglio per interrogare, per rogatoria, un giovane jihadista arrestato a Torino dai carabinieri del Ros. Gli inquirenti americani hanno scoperto che quel ragazzo di 28 anni gestiva dalla sua casa in Italia, all'insaputa di tutti gli amici e familiari, un canale segreto di comunicazione via Internet, utilizzato dai terroristi dell'Isis per reclutare jihadisti. E anche per organizzare attentati.

In quel dialogo via Internet, intercettato dall'Fbi alcuni mesi prima della strage di ragazzini inglesi al concerto della cantante americana Ariana Grande, c'è un giovane aspirante terrorista che, dalla Gran Bretagna, chiede e ottiene l'autorizzazione a «uccidere civili con una bomba a Manchester». A dargli via libera sono un predicatore-ideologo abilitato a parlare dalla Siria in nome dell'Isis, chiamato con reverenza «sceicco», e un misterioso cittadino statunitense, poi arrestato dalle autorità americane come reclutatore di jihadisti.

Entrambi, come il terrorista di Manchester, parlavano protetti da profili anonimi sul canale di messaggistica gestito dal ragazzo di Torino. Che era tra i soli cinque utenti autorizzati a intervenire in quella riservatissima comunicazione a distanza, ma è rimasto sempre zitto, in religioso silenzio. A Torino gli inquirenti americani non lo hanno trattato come un ipotetico complice, ma come un testimone: un prezioso ascoltatore passivo, uno dei pochissimi che hanno potuto sentire in diretta le comunicazioni tra i boss dell'Isis che pianificano gli attentati. L'inchiesta statunitense riguarda anche la strage di capodanno (39 vittime) in una discoteca di Istanbul affollata di turisti occidentali.

Dopo l'arresto a Torino il giovane jihadista italo-marocchino, che si era radicalizzato molto in fretta con la micidiale propaganda del califfato su Internet, sembra aver preso le distanze dall'Isis con altrettanta rapidità: secondo il suo avvocato italiano, «ha deciso di collaborare con la giustizia». Se queste parole verranno confermate dai fatti, il suo ruolo chiave nelle comunicazioni segrete tra terroristi potrebbe farne il primo pentito italiano dell'Isis.