Con minima spesa e però massima resa Riccardo Rossi ha celebrato i dischi portati ?in studio dai suoi ospiti. Senza retorica

Notizia sconvolgente: è possibile realizzare un programma gradevole, coinvolgente, a tratti persino moderatamente istruttivo e comunque sempre dotato di simpatia, leggerezza e capacità di attrarre l’attenzione del pubblico, spendendo un misero pugno di euro. Non è un sogno, non è fantasia e neppure la smania di sbeffeggiare le mega produzioni che tanto gonfiano il petto al vento e poi deludono senza pudore. No: in questo caso specifico, a prevalere è il gusto di applaudire un piccolo spazio che ha avuto nell’onestà il suo massimo pregio.

Titolo della trasmissione finora abbondantemente elogiata: I miei vinili. Conduttore: il cineinterprete-doppiatore-intrattenitore-autoironizzatore Riccardo Rossi. Obiettivo dello show trasmesso da Sky Uno Hd: ospitare una serie di personaggi pubblici (da Rosario Fiorello a Enrico Mentana, fino ad Anna Foglietta) e condividere la classifica dei cinque vinili a loro più cari. Dopodiché è bastato aggiungere all’impianto creativo un giradischi, entrare nella logica quantomai rara di non spolpare la memoria per farne macinato da ascolti, ma di accarezzarla con il piacere di estrarne aneddoti o piccole considerazioni propedeutiche a contestualizzare meglio, e il copione è risultato vincente.

Certo: chi impugnando il telecomando sperava di intercettare tracce del futuro, non ha trovato soddisfazione. Ma in compenso ha avuto la possibilità di condividere parole e pensieri carichi di anti-mitologia, ossia dell’arte in bilico tra cultura e pop di ripercorrere il passato senza per questo farne un feticcio. Basti pensare a quando in studio (che poi sarebbe il negozio capitolino Goody Music, dove per qualche tempo lavorò il ventenne Rossi) si è accomodato con i suoi sarcasmi il direttore del telegiornale de La7 e la consueta polemica sulla supremazia dei Beatles rispetto ai Rolling Stones si è trasformata in spunto di analisi e paradossi. O anche a quando, più in generale, lo stesso Rossi ha puntato sul significato che i 33 e 45 giri avevano nella seconda metà del ventesimo secolo, allorché oltre all’oggetto del disco c’era da considerare la sua confezione (composta da copertina e varie aggiunte cartacee con liriche e fotografie degli artisti) a determinare la comunione tra cantanti e ascoltanti.

Nulla che possa più esistere, adesso. E va benissimo così. Nell’era del digitale tutto procede a colpi di fluidità, e l’acquisto in negozio di stampi vinilici può essere al massimo una moda di nicchia. Ciò non toglie, però, che l’epica indotta da quelle tracce a tratti gracchianti, accompagnata da un flusso poderoso di creatività e talento, possa ancora ispirare emozioni o considerazioni utili a giovani e vecchi tele-frequentatori. E qui è intervenuto, appunto, I miei vinili: video-struttura in grado di maneggiare senza troppe riverenze ciò che ha scaldato i cuori dei suoi ospiti e di tradurlo in romanzo collettivo di formazione.