La serie 1993 non affronta in chiave morale l’epoca di Tangentopoli. Punta piuttosto?a restituirne lo squallore umano e politico

Nel corso del 1993 la storia mondiale si è rivelata parecchio densa. Gli Stati Uniti celebrarono l’ingresso alla Casa Bianca del democratico Bill Clinton e patirono il primo attentato al World Trade Center, a Stoccolma Nelson Mandela vinse il premio Nobel per la pace mentre a Maastricht nasceva con il trattato omonimo l’Unione Europea; e intanto la Cecoslovacchia spaccava in due il suo Stato e la Francia incoronava primo ministro Édouard Balladur.

Dopodiché tocca pure parlare dell’Italia e degli incubi acrobatici che la opprimevano. Tangentopoli a quel punto era esplosa, e dietro le quinte delle cronache giudiziarie e mondane si muovevano uomini come il rampante (aggettivo stomachevole dell’epoca) Leonardo Notte. Che poi sarebbe il protagonista con voce e volto di Stefano Accorsi di 1993, serie prodotta da Wildside che Sky Atlantic Hd trasmette il martedì sera. Una ricostruzione in bilico tra affari, costume e politica dove il mastice narrativo è l’umiliazione della decenza umana in nome del cinismo e della conservazione del peggio.

La penisola delle tangenti, insomma, della rincorsa insaziabile a potere e profitto, la nazione dove da un lato chi poteva speculava sulla salute collettiva (vedi lo scandalo Poggiolini) e dall’altro il populismo alternava slogan secessionisti a interessi più in linea con Roma ladrona, non intendeva arrendersi. Anzi in quello spazio dove bianco e nero, involuzione ed evoluzione, vecchio e molto presunto nuovo si intrecciavano con naturalezza, i poteri del nostro Paese cambiavano pelle in corsa per resistere alle unghiate della magistratura e dell’opinione pubblica. Sullo sfondo, la tele-colonna sonora del Maurizio Costanzo Show, meta ambita nella trama di 1993 da una stellina di fluide vedute (l’ottima Miriam Leone), e in primo piano gli occhi privi di sguardo del faccendiere Accorsi-Notte. Pupille in grado di vedere, dopo la pioggia di monetine al Raphael sulla grandeur di Bettino Craxi, l’opportunità della discesa in campo di Silvio Berlusconi presso il quale - nella finzione proposta da Sky - lavorava come fantasista (ovvero incursore per ogni evenienza al fianco di Marcello Dell’Utri), senza però riuscire a scorgere il proprio stesso declino.

Gli eventi, in quel momento, portavano già in grembo i danni che oggi abbiamo tatuati addosso. Ma la serie 1993, diretta da Giuseppe Gagliardi, non ha proprio l’ambizione di giudicare o riordinare quella storia ancora così calda. Preferisce la tecnica dell’affresco, o meglio del mosaico, priva è vero di esplosioni oltre i confini della genialità ma anche utile per contaminare realtà e immaginazione, ragioni e torti. Non conta che la macchina da presa inquadri il ghigno dalemico, il palpito dello squallore leghista, ciò che restava di un Psi in caduta libera o il re di Arcore in tuta blu tra i devoti di bianco vestiti. Importa l’odore acre di una decadenza spacciata per rinascita. Quel retrogusto di fognatura alla vigilia di un ritornello noto a tutti: «L’Italia è il Paese che amo».