'Libere', il documentario di Rossella Schillaci in uscita il 20 aprile, tenta di rendere giustizia all'ancora poco conosciuto contributo femminile alla cacciata del fascismo in Italia

Esce nelle sale italiane in occasione del 25 aprile "Libere" di Rossella Schillaci. Un lungometraggio che mette in luce quella parte della storia confinata ai margini della narrazione ufficiale: la partecipazione femminile alla cacciata del fascismo in Italia.

La Schillaci racconta la storia delle partigiane, ricostruendo anni di lotta attraverso il montaggio di immagini e audio originali d'archivio. Tra le intervistate, Joyce Lussu, Ada Gobetti, Bianca Guidetti Serra e Giuliana Gadola Beltrami. Le voci delle “donne resistenti" raccontano se stesse e la lotta, facendo emergere spaccati in cui la libertà e l'autonomia femminile rappresentano una novità fondamentale per le loro vite e per l'intero movimento antifascista.

Il femminismo è nato nella Resistenza”, afferma Giuliana Gadola Beltrami che attraverso le registrazioni dell'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza fa risuonare la sua voce, a testimonianza del bisogno di rendere merito a questo spaccato di storia.

A chiedere che si facesse luce sul contributo delle donne alla guerra di Liberazione fu nel 1965 Ada Gobetti, nel corso di un intervento a un convegno del Comitato di Liberazione Nazionale. Cinquant'anni dopo Rossella Schillaci ha voluto raccogliere quell'invito, regalando alla storia l’altra parte della verità.

La regista fa parlare di sé le staffette partigiane, quelle che “volevano cambiare il mondo, è questa la grande delusione”. Già, perché le donne della Resistenza vivevano fianco a fianco con gli uomini sulle montagne, sfuggendo da quel ruolo di casalinghe che non avevano scelto. Anche le donne operaie, che lottavano per un salario uguale a quello dei loro colleghi uomini, avevano intravisto nell’essere partigiane la possibilità di creare un’Italia più equa e dignitosa. La loro lotta andava al di là della cacciata dei tedeschi, aveva anche come fine la costruzione di uno stato sociale nuovo e realmente democratico.


Ma il dopoguerra non mantiene le promesse. Le donne che, nel film, alla domanda «Perché l'hai fatto?» rispondono «Perché volevo essere libera, perché non mi piaceva la vita che facevo», dopo la Liberazione trovano un'Italia in cui per l'emancipazione femminile non c'è spazio. Molte di loro continuano a fare politica ma si trovano a vivere un ritorno forzato alla dimensione privata, alla casa.

“Nel ‘45 ci siamo trovate davanti ad una Restaurazione più che a una Liberazione”, dice una partigiana nel film.
Attraverso la ricostruzione del vissuto delle protagoniste della Resistenza, la Schillaci dimostra che qualcosa nella battaglia verso l'emancipazione è rimasto incompiuto e la lotta per la parità di genere si è fermata dopo la cacciata del nazifascismo. Le partigiane, a conflitto concluso, tornano ad essere madri di famiglia, operaie, segretarie. Anche quando intraprendono la carriera politica, ottengono sempre un ruolo marginale all'interno del partito.

Ciò che resta inatteso con l'avvento del Dopoguerra è proprio il "Programma dei Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della Libertà”, il documento programmatico che aveva guidato le partigiane in tutti gli anni del conflitto.

Nell’ultimo punto del documento, riportato interamente nel film, si legge: “le donne di ogni fede religiosa, tendenza politica, donne senza partito chiedono la possibilità di accedere a qualsiasi impiego. Unico criterio: il merito”.

Di strada da fare ce n’è ancora tanta.