Nel Paese a maggioranza islamica l'arrivo di Francesco è visto come un'occasione per il Paese: «E' importante che le sue parole di riconciliazione e armonia siano ascoltate da tutti i cittadini, affinché il governo possa garantire un vero dialogo tra le religioni»

“Non ho parole per descrivere la gioia che provo all'idea che Papa Francesco stia per arrivare qui a Dacca”. Commerciante di circa quarant'anni, Samuel Rozario trattiene a fatica l'emozione. Abita nella cosiddetta “vecchia Dacca”, la caotica zona della capitale bangladese non lontano dal sadarghat, il lungofiume che è la vera arteria commerciale e sociale di questa megalopoli da 18 milioni di abitanti. Qui, come nel resto del Bangladesh, Paese a maggioranza islamica, i cattolici sono una minoranza. Le stime governative parlano di 384 mila fedeli su una popolazione di circa 170 milioni di abitanti.

I pochi che ci sono, attendono con autentica impazienza Bergoglio, il cui arrivo è previsto giovedì 30, dopo la tappa in Myanmar, dove molti sperano che trovi le parole giuste – diplomatiche ma ferme – per condannare le politiche discriminatorie dei militari birmani contro la minoranza Rohingya, parte della quale ha trovato rifugio sull'altro lato del confine, proprio qui in Bangladesh, nell'area intorno al distretto di Cox Baxar.

Sulla porta di casa di Samuel Rozario, al primo piano di un edificio che si affaccia su uno stretto vicolo, campeggia una scritta, sopra a un adesivo che rappresenta la Natività. Recita “Jesus Bless Our Home”. “Lo abbiamo comprato in India e teniamo a mostrarlo ai nostri ospiti. Siamo cattolici, e orgogliosi di esserlo”, precisa la moglie, Elma Ruth Marak, insegnante all'asilo nido Saint Francis Havier, “una delle tante strutture scolastiche gestite dai cattolici”. Elma Ruth Marak è grata a Bergoglio per aver scelto il Bangladesh. “È stata una vera sorpresa. Quando l'abbiamo saputo non riuscivamo a crederci: di solito nessuno si ricorda di noi, e invece l'ha fatto Papa Francesco”. Il marito – in braccio la figlia, di fronte a loro un televisore sopra il quale è appeso un crocifisso – ricorda “che il primo e unico Papa che finora ha visitato il Bangladesh è stato Giovanni Paolo II. Ma era il 1986, trent'anni fa! Io ero piccolo e non ho grandi ricordi di quella visita. Questa volta, non mi farò sfuggire l'occasione”.

L'occasione per “rinforzare la nostra fede, per consolidare l'unità della nostra comunità, ma anche per far capire agli altri che abbiamo un guardiano, qualcuno che ci protegge e che vigila su di noi”, aggiunge Elma Ruth Marak mentre accarezza la collanina con crocifisso. Far parte della minoranza cattolica in un Paese come il Bangladesh non è semplice, precisano entrambi. “Qui c'è gente di tutti i tipi e di tutte le confessioni. Conviviamo, certo, ma a volte – specie nelle aree rurali – c'è tensione, e la convivenza non va mai data per scontata. Tra i musulmani ci sono tanti 'liberali', molti dei quali conoscono e stimano il Papa, rispettano tutte le religioni e lo accoglieranno. Ma altri no: si tratta di gente senza istruzione. Pensano che la loro religione escluda quella degli altri. Ma se la maggioranza pensa di poter escludere la minoranza, i problemi sono inevitabili”.

Per questo, il messaggio di Bergoglio – incentrato intorno ai temi dell'armonia e della pace – incontra particolare favore tra i cattolici incontrati a Dacca e altrove, nel Paese. “La nostra comunità rappresenta meno dell'1 per cento del totale”, prosegue Samuel Rozario, “non possiamo dire di subire aggressioni come accade altrove, perlomeno non qui a Dacca, ma per noi è davvero importante che Papa Francesco venga e che le sue parole di riconciliazione e armonia siano ascoltate da tutti i cittadini e dal governo, affinché il governo possa garantire un vero dialogo tra le religioni. Lo ringraziamo dal profondo del cuore. E ci adoperiamo per accoglierlo al meglio”.

Elma Ruth Marak racconta di esercitarsi ormai da un mese, “almeno una volta ogni due giorni”, per una danza della tradizione indigena Garo. “Con altre dieci donne, proviamo e riproviamo il nostro ballo fin quando non siamo esauste. È parte di una coreografia più ampia, con decine e decine di danzatrici. La mostreremo al Papa, come segno della ricchezza e della diversità culturale del Bangladesh, nell'incontro che si terrà alla Cattedrale”, venerdì 1 novembre nel primo pomeriggio, dopo che Bergoglio avrà celebrato la messa al parco Suhrawardy Udyan di fronte a circa centomila fedeli – tutti già accreditati e muniti di appositi documenti di riconoscimento – provenienti da ogni angolo del Paese.

“La mobilitazione dei fedeli è straordinaria. Ognuno fa del suo meglio per raggiungere Dacca, anche dagli angoli più remoti”, spiega padre Kamal Corraya, incaricato dalla Conferenza episcopale del Bangladesh di coordinare la comunicazione in occasione del viaggio del Papa. Lo incontriamo nel quartiere di Tejgaon, in uno degli edifici del complesso della Chiesa del Santo Rosario, “la prima cattedrale a essere istituita in questo Paese”, precisa con orgoglio padre Corraya, pastore della nuova Chiesa del Santo Rosario, una monumentale struttura a poche decine di metri dal vecchio edificio fondato nel 1677 dai missionari portoghesi che hanno introdotto il Cristianesimo.

Qui, sabato 2 dicembre, ultimo giorno della sua visita, Bergoglio incontrerà circa duemila tra sacerdoti, religiosi, consacrati, seminaristi e novizie. Ma è all'ultimo appuntamento nell'agenda del Papa che padre Corraya sembra guardare con particolare attenzione: “prima di tornare all'aeroporto, incontrerà circa diecimila giovani al Collegio Notre Dame. Si tratta di ragazzi e ragazze provenienti da ogni angolo del Paese, appartenenti a ogni cultura e religione. È questo il nostro patrimonio più prezioso: la diversità sociale e culturale di un Paese che è conosciuto solo per il cricket e per i disastri naturali, ma che al contrario è ricchissimo culturalmente, e sa gestire le differenze”, sostiene padre Corraya mentre il telefono continua a squillare. Sotto la terrazza adibita a ufficio, gli operai continuano a lavorare. Chi sistema le aiuole, chi i fili elettrici, chi l'ultimo mattoncino della nuova pavimentazione.

“Lavori a cui hanno contribuito anche molti musulmani, perché qui il Papa è conosciuto e stimato”. Per padre Corraya, Bergoglio ha cominciato a essere conosciuto in particolare dopo la strage al Rana Plaza, l'edificio che ospitava aziende tessili crollato nel 2013, provocando più di mille morti. In quell'occasione “il Santo Padre ha accusato chi sfrutta i 'nuovi schiavi', e questo ha colpito molti”. Così come “il suo messaggio, semplice ma forte. Come noi: semplici, poveri, ma forti, perché sappiamo gioire del poco che abbiamo”.

Tra i semplici ma forti ci sono anche gli “aspiranti fratelli” della Congregazione della Santa Croce. Tutti ragazzi giovanissimi, tra i 17 e 18 anni, che ambiscono a diventare “fratelli”. Vivono in un seminario, qualcuno viene da lontano, e studiano all'interno del complesso che - nella parte vecchia di Dacca – ospita anche la Scuola Saint Gregory, anch'essa parte della Congregazione. Quando li incontriamo, stanno per cominciare la lezione di inglese. Shuvro Purification, 18 anni, viene dalla città di Rajshahi. Dice di essere “fortunato per la grande opportunità di vedere il nostro leader spirituale, a cui vorrei chiedere la benedizione per il mio Paese”. Rony Joseph, 17 anni, viene da Dacca e spera invece “che la mia fede si rafforzi, grazie alla visita”. Uno dei loro maestri, fratello Rosy, 30 anni, sguardo dolce e gran sorriso, si augura “che con la sua visita il Santo Padre ci aiuti a mettere fine alle divisioni politiche, che qui sono troppo forti e spesso producono veri e propri conflitti”.

Sono conflitti che nascono da interessi materiali. Le differenze religiose vengono usate come pretesto per perseguire obiettivi politici. Per questo, per evitare divisioni pretestuose, ripetono in tanti, è importante che ci sia un terreno comune di comprensione reciproca, fin dalla più tenera età. Come quello offerto dalle diverse scuole cattoliche, le preferite dai membri della classe media del Paese, di qualunque orientamento confessionale: “il 90% degli studenti delle scuole gestite dai cattolici non è cattolico”, spiega Samuel Rozario nella sua abitazione di Dacca. “Sia io sia mia moglie abbiamo studiato alla Saint Gregory, con studenti di tutte le fedi. Da quella scuola e da tante altre simili sono usciti i funzionari statali, l'elite dell'economia e della politica. Tutti coloro che hanno avuto a che fare con gli educatori cattolici, ne apprezzano il lavoro, l'etica, la morale. E sapranno apprezzare anche le parole di Papa Francesco”.

Quando arriverà a Dacca, all'aeroporto internazionale Bergoglio troverà anche la figlia di Samuel Rozario e di Elma Ruth Marak. “Ad accoglierlo, ci sarà una lunga fila di bambini, vestiti in modo tradizionale, con tanti fiori colorati. Gli daranno il benvenuto nel nostro Paese. Povero ma splendido”.