Catalogna, Brexit, Scozia, Ucraina. Lo Stato sta cambiando la sua natura e attraversando un decadimento profondo. Per questo oggi siamo tutti di fronte a un bivio: unirci davvero come Europa o perire da soli

Non è questione di Spagna o Catalogna. Né di governo debole, né di un re invisibile, né di una città in rivolta per i propri colori. C’è di più in quanto sta succedendo. Ci sono Brexit e Scozia. C’è l’Ucraina e c’è la Germania, a parole unita e forte, ma con le prime crepe post-belliche a Berlino. Non può poi mancare l’Italia, con le sue nuove spinte indipendentiste al Nord e centraliste a Roma.

Qui sta cambiando lo Stato. La sua natura. Verrebbe da chiedersi, con un gioco di parole, “che Stato è stato e che Stato sarà?” Dove sta andando la nazione, casa in cui abbiamo immaginato e costruito il futuro? È in una crisi economica o vive un decadimento più profondo? Credo siamo nella seconda ipotesi. E sembrano riviverci attorno le parole di Toynbee, che teorizzava la fine del modello di Europa fatta di stati-nazione molto tempo fa.

Scriveva che gli europei, come i greci delle polis di fronte all’ascesa dell’impero macedone e poi romano, stavano perdendo la stella polare cui guardare. Proprio come, secoli fa, fu per gli staterelli italiani del Rinascimento passivi di fronte ai primi Stati moderni europei che proponevano un nuovo modello di sviluppo, che finì per prevalere.

Barcellona ci mostra, insomma, che siamo a un bivio: unirci davvero o perire davvero. Ricordiamo, quando cadiamo nella trappola illusoria del sovranismo, che scegliamo una via già percorsa. E che due grandi civiltà europee sono morte a quello stesso incrocio: i greci hanno scelto di continuare a sentirsi ateniesi e spartani, e gli italiani fiorentini e veneziani, con la Roma papalina che si faceva potere militare e sovrano. Questo scenario, trasposto all’oggi, in un mondo globalizzato, ci pone la questione dell’essere davvero europei o morire da italiani, francesi o tedeschi. Considerare cioè l’Europa come espressione geografica, come chi contestò a Machiavelli di immaginare un’Italia davvero unita. Ma la storia ci disse che la visione nostalgica, del piccolo potere frazionato, portò a secoli di declino, irrilevanza e dominio straniero.

Oggi, se possibile, le condizioni in cui versa lo Stato - aggredito dall’alto e dal basso, dalle richieste dell’Unione e da rivendicazioni locali idealmente legittime ma zoppicanti sul piano strategico - sono perfino peggiori. Le nazioni si giocano l’ultimo scampolo di partita sul ciglio del precipizio, ignare che così facendo perderanno lo scettro che hanno retto per decenni. Il potere di fare la guerra, di prelevare le tasse, di far rispettare l’ordine pubblico, progettando tuttavia sempre una crescita, economica ed etica.

Oggi lo scenario è cambiato: basta aprire un libro di storia per capire come l’Europa assista a una dinamica sociale e politica simile a quella del 1929, che ha portato ai regimi. Regimi che non si riconoscono tanto nel capo di turno, nel cosiddetto uomo forte, cui fanno da argine oggi Costituzioni e organismi internazionali. Ma si scorgono in un altro fattore, più insinuante, difficile da fermare: la disponibilità del cittadino deluso ad aderire a progetti nostalgici, che si rifugiano nel passato promettendo il futuro. Un ricordo dell’adolescenza democratica, che porta al risveglio di fenomeni che credevamo sconfitti come razzismo, xenofobia, muri, odio. Lo stesso combustibile che, mescolato agli errori sia di Madrid sia di Barcellona, ha generato quella sensazione di pre-guerra civile in Spagna negli ultimi giorni.

Se non facciamo qualcosa lo Stato cambierà natura. E con lui tutte le forme di aggregazione sociale che sono nate con la democrazia: la crisi della politica, le divisioni del sindacato, la perdita di potere dei “corpi intermedi” vanno di pari passo allo spegnimento lento del nucleo caldo di ciò che era il protagonista indiscusso del Novecento. A questo protagonista non siamo ancora in grado di sostituire qualcosa di altrettanto attrattivo.

Basta guardare a Bruxelles, dove a parole c’è il Consiglio europeo e nei fatti c’è una sorta di nemico invisibile del cittadino comune e pure degli Stati sovrani, non alleato dunque ma obiettivo diretto della protesta di popolo. Quando dovrebbe essere da anni il traguardo cui tende la comunità europea, nel senso letterale di comunità di cittadini con istanze politiche.

Questo senso di estraneità che l’Unione europea ci trasmette deriva dal fatto che abbiamo la percezione che, al di là delle parole, delle sigle, dei trattati il cuore pulsante della civiltà europea batta ancora altrove, e più precisamente nel vecchio corpo “nazione”. Quello che la globalizzazione vorrebbe meno forte sulle scelte economiche e il neo-indipendentismo vorrebbe sostituito con novelle città-stato. Arroccate, dunque, per propria intima natura.

Twitter @Tommasocerno