Osteggiato dai senatori e trascurato dagli storici, fu reinventato dalla scrittrice francese, che raccontò la sua vita tra debolezze e ambizioni. A 1900 anni dalla sua ascesa al trono, Roma lo celebra con un'esposizione insolita
Roma ha avuto due pontefici e due imperatori di origine spagnola. I papi in questione, Callisto III e Alessandro VI Borgia, zio e nipote, sono ricordati soprattutto per le vicende licenziose di Alessandro. Di ben altro giudizio storico hanno goduto invece Ulpio Traiano (98-117 d.C.) ed Elio Adriano (117-138 d.C.), nativi di Italica, vicino l’odierna Siviglia: diversi per temperamento ma uniti da una straordinaria attività, improntata a un alto senso della “res publica”.
Sono trascorsi 1900 anni da quando Traiano, in fin di vita e senza figli, adottò a Selinunte il suo parente Adriano consentendogli - per una prassi ormai consolidata – di succedergli sul trono. A favorirne però l’ascesa sarebbe stata Plotina, la potente moglie del defunto imperatore, che – secondo gli storici antichi - avrebbe manipolato le ultime volontà del consorte.
Di quel passaggio di testimone Roma celebra l’anniversario con un omaggio ad Adriano da parte dell’artista fiorentina Paola Crema nella mostra “Archeologia Immaginaria”, allestita al Mausoleo di Cecilia Metella per la cura di Laura Monachesi (fino al 10 novembre, catalogo del Centro Internazionale Antinoo per l’Arte). Accolta con entusiasmo dalla direttrice del Parco dell’Appia Rita Paris, sempre aperta a progetti innovativi, è un’esposizione fuori dall’ordinario che, come recita il titolo, non conterrà statue e reperti provenienti da musei, ma creazioni che evocano il mondo culturale dell’imperatore, variegato di gusto per l’esotico.
All’ingresso della cella del Mausoleo ci saranno due “guardiani” in bronzo dorato, che rappresentano la Terra e l’Acqua; altre due erme, nello stesso materiale, segneranno il passaggio verso la torretta angolare dedicata alle
rappresentazioni tutte bianche di Adriano e del suo favorito Antinoo, realizzate con elaborazioni foto-digitali su forex. Il balenío dei metalli pregiati rimbalza in altre creazioni evocatrici di miti, come il Minotauro, simbolo di potenza fisica e lussuria, o la figura alta due metri e mezzo dalle ali spiegate e dal volto di rapace, che richiama un po’ Horus e un po’ Icaro. La maschera del viso femminile in oro e argento è invece un tributo a Cecilia Metella, lì dove c’era la sua urna funeraria. «Sono opere», spiega Crema, «nate dalle suggestioni provocate dall’approfondimento della personalità di Adriano».
L ’immagine del fascinoso Antinoo, scolpita in bronzo dorato, ritorna in un’altra statua, dove attaccati a una corazza di maglia compaiono tanti coccodrilli: è l’epifania simbolica della sua morte, avvenuta nell’ottobre del 130 dopo Cristo. L’imperatore e il suo seguito, moglie compresa, stavano facendo una crociera sul Nilo quando, all’improvviso,
Antinoo cadde nel fiume e morì. Le fonti antiche sono discordanti sulla causa: incidente, suicidio, oppure un sacrificio volontario del giovane per allungare la vita dell’imperatore. Nel vuoto di certezze, non si può nemmeno escludere un complotto di Palazzo: dava sicuramente fastidio a molti il ruolo di primo piano che occupava l’amasio di Adriano e si temeva una sua futura adozione.
L’imperatore, governante accorto, avvertiva l’ostilità senatoria (presente nella storiografia latina e greca), e forse non aveva in mente una soluzione del genere; però era davvero una grande passione quella che nutrì per il ragazzo nativo della Bitinia, dalla cui bellezza appena sbocciata rimase fulminato appena lo vide.
Per i costumi romani la relazione omosessuale del sovrano non era scandalosa: anche il virile Traiano, sempre in guerra, non aveva disdegnato la compagnia di fanciulli; ciò che aveva irritato l’establishment più tradizionalista erano stati l’esibizione e il compiacimento di quel rapporto; addirittura, l’imperatore aveva pianto «come una donnicciola» alla morte del suo favorito.
Eppure, nonostante Antinoo,
Adriano aveva legami affettivi con diverse dame che si aggiravano nella Villa di Tivoli con le loro complicate pettinature: Plotina in primis, e poi la suocera Matidia Maggiore. Quando questa si spense, elargì costose spezie e le dedicò un tempio maestoso, vicino al Pantheon: unico caso in cui un genero divinizza la suocera e invita il popolo a rivolgerle preghiere.
Con la consorte Vibia Sabina ebbe invece rapporti tempestosi, come racconta la tradizione letteraria. Ma Adriano, anche per esigenze di propaganda imperiale, onorò sempre la moglie in pubblico, proclamandola “diva” dopo la morte. Per Antinoo, però, fece molto di più. Vicino al luogo della sua scomparsa venne costruita una città, Antinoopolis, e fu promosso il suo culto eroico. L’immagine del giovane bitinio irruppe così anche in aree sacre, diventando oggetto di venerazione in tutto l’impero. Non si contano le statue, i ritratti, le gemme, le monete, che lo immortalano come icona di perfetta bellezza. Sono inconfondibili quei tratti morbidi e apollinei del corpo, quel volto dai lineamenti regolari, appena imbronciato, se non melanconico, sotto una cascata di riccioli che ora si intrecciano d’edera, ora di uva, a seconda delle divinità alle quali era stato assimilato.
A Roma si mantenne un low profile, limitando il culto nella sfera privata, dove dignitari e aristocratici in cerca di riconoscimenti imperiali facevano a gara per professarlo; lo stesso Adriano non seppellì il ragazzo amato nel suo grandioso Mausoleo (oggi Castel Sant’Angelo), ma nella Villa tiberina all’interno di un complesso sacro egittizzante.
Condurre “ad unum” la figura di questo imperatore, definito dallo storico Aurelio Vittore (IV sec. d.C.) «varius et multiplex», è impresa impossibile: modesto nel non mettere il suo nome sul frontone del Pantheon, da lui ricostruito con la cupola, e arrogante nell’imporre i suoi “desiderata”; tollerante con i cristiani, generoso nel condonare debiti, e implacabile nel sedare la rivolta ebraica tra il 132 e il 135 d. C.;
difensore dei valori romani tradizionali e amante della cultura e della lingua greca. Fu architetto, letterato, attratto da astrologia e culti misterici, viaggiatore infaticabile nelle Province per controllare necessità e risorse delle legioni.
È stata la scrittrice franco-belga Marguerite Yourcenar a renderlo un personaggio più accessibile, tra debolezze e disegni – politici e architettonici – magniloquenti. Sono diventate così popolari in tutto il mondo le sue “Memorie di Adriano”, da far sembrare la scrittrice e l’imperatore una coppia fuori dal tempo ma indissolubile. Tanto che nel 1980, quando la Yourcenar divenne la prima donna Accademica di Francia, anziché il consueto “spadino”, le fu consegnata una moneta d’oro dell’imperatore. Il ,“Centro Internazionale Antinoo per l’Arte”, fondato da Laura Monachesi, è l’unico in Italia a conservare - nella Villa Mondragone dell’università Tor Vergata, a Monte Porzio Catone – uno straordinario patrimonio documentario di questa grande signora della letteratura, che fu anche convinta ecologista, e della quale ricorre quest’anno il trentennale della scomparsa.
L ’altro importante anniversario riguarda, ovviamente, l’imperatore Traiano. Per ricordare i 1900 anni trascorsi dalla sua morte, una mostra a cura della Sovrintendenza Capitolina sarà inaugurata il 29 novembre nel complesso monumentale dei Mercati che ne portano il nome: “Traiano. Costruire l’impero, formare l’Europa” (fino al 16 settembre 2018). «Si deve infatti a questo imperatore», fa notare il sovrintendente Claudio Parisi Presicce, «la realizzazione dell’unità del Mediterraneo: per modalità di amministrazione e diffusione delle infrastrutture utili alle popolazioni conquistate. Nella mostra, una delle sezioni sarà dedicata proprio all’edilizia, che ha caratterizzato la sua azione militare e governativa: acquedotti, ponti, impianti termali, porti come quello di Ostia, archi trionfali che, nel caso di Leptis Magna, rivestivano anche la funzione logistica di mettere in comunicazione la città nuova con quella vecchia».
I Mercati che ospiteranno l’esposizione coronavano il Foro, l’ultimo e il più vasto di quelli imperiali, firmato dall’architetto Apollodoro di Damasco e reso possibile grazie alle tonnellate d’oro e d’argento rastrellate in Dacia, l’odierna Romania, a seguito di due difficili campagne militari (102-103 e 105-106 d.C.).
La Colonna, che svetta ancora tra i resti del Foro, illustra quelle imprese belliche nei vari dettagli: la partenza da Ancona, i combattimenti, le costruzioni realizzate durante le marce, concludendosi con figure dei vinti e la testa del re Decebalo messo su un piatto dai legionari. In origine, il lungo racconto, che si snoda a spirale come tante sequenze di un film, era colorato: i romani potevano così distinguere i fiumi azzurri, il sangue degli scontri, il marrone delle palizzate, le differenti armature.
La rassegna conterrà una decina di calchi di queste raffigurazioni (“sbobinate”, si estendono per 160 metri) e verrà ricostruito l’interno del basamento della Colonna, concepito come un sepolcro per accogliere le urne cinerarie d’oro di Traiano e della moglie Plotina. Video con story-telling, modellini e ricostruzioni virtuali condurranno i visitatori in giro per quell’impero che Traiano portò alla massima estensione, mentre si potranno ammirare fregi marmorei inediti del Foro, lastre figurate che arrivano da musei stranieri, frammenti di mosaici e affreschi provenienti dalla villa d’ozio tra i boschi di Arcinazzo Romano.
«Con Traiano, ricordiamolo, nasce il concetto di welfare», fa notare Parisi Presicce. «Le sue “istituzioni alimentari”, i sussidi per la plebe urbana indigente, sono il primo esempio del genere». Adriano ne proseguì l’iniziativa, ma – per motivi di organizzazione e di difesa - limitò ad Oriente i confini del suo predecessore, pensando alle fortificazioni.
Fu lui a costruire in Britannia il primo “muro” europeo, una specie di muraglia cinese, per impedire il flusso dei “barbari”. È il famoso Vallo di Adriano che tagliava la provincia in due, da un mare all’altro, per 120 km.
La classe dirigente gli preferì Traiano, che con le guerre di conquista procurava bottini e favoriva carriere, definendolo “optimus” come il dio Giove. La fortuna di questo imperatore continuò nei secoli, tanto che Dante lo collocherà nel “Paradiso”.
Non ebbe una Yourcenar per trasmettere i suoi ricordi, ma i senatori, per lungo tempo, a chi saliva sul trono rivolgevano l’augurio, che sapevano impossibile da raggiungere: «Più felice di Augusto, migliore di Traiano!».