La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito proposto dalla Cgil che proponeva la cancellazione delle norme del Jobs act in materia di licenziamenti illegittimi. Via libera invece a quelli sui voucher e sulla responsabilità in solido appaltante-appaltatore

Il referendum sull'art. 18 non si farà: la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito. Il referendum proposto dalla Cgil puntava ad abrogare le modifiche apportate dal Jobs Act allo Statuto dei lavoratori e a reintrodurre i limiti per i licenziamenti senza giusta causa. Via libera invece al quesito che chiede l'abrogazione delle norme sui voucher, sulle quali il governo ha già detto di voler intervenire. Ok della Consulta anche al referendum contro le norme che limitano la responsabilità in solido fra appaltante e appaltatore. Per il segretario della Lega Matteo Salvini è «una sentenza politica». La Corte Costituzionale ha bocciato il quesito proposto dalla Cgil che puntava ad abrogare le riforme introdotte dal jobs act del Governo Renzi su licenziamenti e statuto dei lavoratori.

Un’altra parte ha una posizione diversa e ricorda come un referendum sull'articolo 18 che estendeva le tutele a tutte le imprese fu vagliato dalla Consulta nel 2003 e fu ammesso, anche se poi sottoposto agli elettori non raggiunse il quorum.

Ecco in sintesi cosa prevedono i tre referendum contro il jobs act.


ABOLIZIONE DEI VOUCHER

Il primo referendum è l’abolizione dei voucher, ossia la retribuzione del lavoro accessorio attraverso dei buoni. Questo il testo sottoposto agli elettori: «Volete l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183?”.

Il pagamento attraverso i voucher in alcuni tipi di lavori era stato introdotto già nel 2003 per far emergere dall’irregolarità alcune forme di lavoro occasionale come le ripetizioni, le pulizie, ma negli anni allargandosi all’edilizia, al lavoro nei campi e perfino all’università è diventato uno strumento per retribuire senza contratto e tutele chi invece un contratto lo potrebbe avere.

Sulla diffusione fuori controllo il Parlamento sta lavorando, non per abrogarli ma per modificarli, riportandoli all'originale profilo, dopo che la legge Fornero del 2012 e un decreto del 2013 del governo Letta li avevano liberalizzati: lo stesso 11 gennaio la Commissione lavoro della Camera riprenderà l'esame del disegno di legge di Cesare Damiano (Pd), che va in questa direzione.

RITORNO ALL’ARTICOLO 18

Il secondo referendum riguarda il ripristino dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, cioè l’articolo che sancisce il diritto al reintegro da parte del lavoratore licenziato senza una giusta causa.

Diventato un simbolo di tutela  si applica solo alle aziende con almeno 15 dipendenti e afferma che il licenziamento è valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo. In assenza di questi presupposti, il lavoratore può fare ricorso. Prima della Riforma del lavoro, il giudice - una volta riconosciuta l'illegittimità dell'atto di licenziamento - era obbligato ad ordinare la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e il risarcimento degli stipendi non percepiti, oltre che il mantenimento del medesimo posto che occupava prima del licenziamento.

Nel 2012, con la riforma del Governo Monti, l’applicabilità della tutela del reintegro nella maggior parte dei casi di licenziamento che arrivano in tribunale diventa più complicata. Il jobs act ha superato definitivamente l’articolo 18 e ha sostituito il diritto al reintegro con un indennizzo economico in caso di licenziamento senza giusta causa.

LA RESPONSABILITA' DELLE IMPRESE

Nel terzo referendum si chiede l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, cioè il ripristino della responsabilità dell’azienda appaltatrice, oltre a quella che prende l’appalto, in caso di violazioni subite dai lavoratori, norma che era stata cancellata dalla legge Biagi, in seguito modificata dalla legge Fornero.

Viene così chiamato a rispondere anche il committente per eventuali violazioni compiute dall’impresa appaltatrice nei confronti del lavoratore. Di conseguenza, l’azienda che appalta sarà tenuta a esercitare un controllo più rigoroso su quella a cui affida un appalto.

I tre quesiti referendari sono accompagnati da una proposta di legge d’iniziativa popolare: l’introduzione della carta dei diritti universali del lavoro, che è praticamente la proposta di un nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, messa a punto dal sindacato.