Problemi di sonno, apatia, difficoltà di concentrazione: sono questi i sintomi della Post vacation blues. Il presidente eletto della Società Italiana di Psichiatria spiega come combatterli
Evitare il rientro dalle ferie la sera prima di tornare a lavoro e concedersi almeno un giorno di transizione. Riallacciare gradualmente i contatti con i colleghi. Sfruttare l’effetto trascinamento del benessere impostando gli sfondi di smartphone, computer e tablet con le foto scattate in vacanza. Programmare subito un nuovo break e una nuova destinazione. E poi riprendere subito la vita sociale, gli hobby, lo sport e quella routine che non è lavoro ma aiuta la vita quotidiana a tamponare la natura sfibrante della professione.
Sono alcuni piccoli consigli per combattere la Post vacation blues, tradotta in italiano come sindrome da rientro o stress post-vacanza. «Però non è una vera e propria sindrome»,
spiega Bernardo Carpiniello, presidente eletto della Società Italiana di Psichiatria e Ordinario all’Università di Cagliari. «Si tratta di un calo dell’umore con qualche aspetto collegato al piano comportamentale, apatia, problemi di sonno e difficoltà di concentrazione. Dura mediamente pochi giorni e spesso riguarda solo la persona interessata e gli stati soggettivi interni, ma se sfocia in un caso di depressione, e quindi clinico, vuol dire che alle spalle c’è molto altro rispetto a un semplice rientro dalle ferie. Resta però una conseguenza fastidiosa. C’è poi chi non ne soffre e chi invece la vive in modo più accentuato».
Sì, perché le vacanze possono rappresentare anche una delusione delle proprie aspettative, a volte a causa di imprevisti, altre per i costi superiori a quanto preventivato, o perché il divertimento e il relax sono stati inferiori al desiderio iniziale.
«In queste circostanze, più che un rilassamento, assistiamo a un accumulo di stress che il rientro a lavoro non facilita di certo. Ma non dipende dall’aver trascorso le ferie lentamente o con un programma serrato. Ci sono persone che preferiscono la spiaggia e le passeggiate in montagna, altre scelgono i viaggi, gli sport estremi o il ritorno al paese natìo per rivedere parenti e vecchi amici. Vacanza vuol dire rottura di una consuetudine precedente per entrare in una dimensione diversa, quindi riguarda tutti, chi si occupa della casa, chi studia e chi è in pensione. È uno stato mentale e soggettivo, e quello che per alcuni sarebbe fonte di stress, per altri può essere un recupero. Chi svolge attività particolarmente impegnative dal punto di vista fisico o mentale dovrebbe tenerne conto nel programmare le pause, ma l’importante è che ognuno viva quelle di cui ha bisogno».
Purtroppo la crisi economica e l’andamento del mercato del lavoro non permettono a tutti di raggiungere un’altra località, eppure è un errore, soprattutto per i liberi professionisti, valutare la permanenza in città come una mancata occasione di riposo e quindi un momento da dedicare ancora al proprio mestiere.
«La vacanza è formata da due aspetti: quello del recupero psico-fisico e quello edonistico, del piacere e del divertimento. Allontanarsi fisicamente dal luogo in cui si trascorre la propria quotidianità è di certo preferibile e soddisfa il secondo elemento, ma il lavoro non è solo fonte di reddito. Aggiunge tensione e preoccupazioni, ed è oggettivamente stancante: assorbe gran parte della giornata e spesso richiede tragitti più o meno lunghi e faticosi. Anche restare nella propria città e interrompere la routine con altre attività e un ritmo diverso può essere riposante. Altrimenti, a lungo andare, si incorre in cali di rendimento, facile stancabilità e difficoltà sul piano emotivo ad accettare grandi e piccoli stress».
Di quanto tempo abbia bisogno il corpo per ricaricarsi, e in quale mese, pure è decisamente soggettivo. Due settimane consecutive assicurano un distacco notevole dalla quotidianità, ma non tutti hanno lo stesso desiderio. C’è chi preferisce lunghi periodi, chi divide le settimane a disposizione durante l’estate e chi in break di cinque giorni ciascuno.
«Non esistono regole precise in materia clinica», conclude Carpiniello. «L’idea è che più giorni consecutivi, anche più volte durante l’anno, siano però consigliabili dal punto di vista dell’igiene mentale».