Per il Pd c'è una “tendenza strutturale alla crescita”. Ma i numeri dell'Istat dicono tutt'altro. Il mercato del lavoro ristagna: frena l'occupazione, aumentano gli inattivi. E le notizie peggiori arrivano da under 24, indipendenti e donne. Si salvano solo gli over 50

“I dati sul lavoro diffusi dall'Istat conferma la tendenza strutturale alla crescita”. Questa è la versione dei deputati Pd, diffusa in un comunicato per bocca di Silvia Fregolent, vicecapogruppo alla Camera. I numeri dicono altro. Descrivono un panorama più stagnante della media Ue, con il primo calo degli occupati dopo quattro mesi, una disoccupazione giovanile in crescita e una percentuale di inattivi da record.

L'unico dato a cui appigliarsi per definire positivo il mese di luglio è il tasso di disoccupazione: -1,3 per cento, che tradotto in persone significa 39 mila senza lavoro in meno. L'occupazione però non ha lo stesso andamento: -0,3 per cento, pari a 63 mila persone. Saldo negativo e segni divergenti, giustificati dalla crescita degli inattivi. Niente brindisi, quindi: i disoccupati, è sempre bene ricordarlo, sono coloro i quali cercano lavoro senza trovarlo. Il loro calo può significare più lavoro. Oppure (come in questo caso) più persone che hanno smesso di cercare un impiego. Anche allargando l'orizzonte al trimestre, i numeri restano deboli: occupati in crescita dello 0,7 per cento, disoccupazione in aumento dello 0,1 per cento. Un quadro, nella migliore delle ipotesi, stagnante. Non certo in solida ripresa.

Andando oltre le cifre aggregate, si scoprono le sacche di maggiore debolezza. Le solite. Lavoratori indipendenti, donne, giovani. Il calo degli occupati è imputabile in gran parte ai 68 mila autonomi che hanno smesso di lavorare (senza conversione in un impiego di diversa natura). Fermi i contratti a tempi indeterminato, sui quali hanno puntato jobs act e defiscalizzazioni: sono 14,85 milioni, inchiodati ai livelli di gennaio. L'effetto incentivi sfuma fino a perdersi. La conferma arriva anche dai contratti a tempo determinato, cresciuti del 3,1 per cento nell'ultimo trimestre.

Altra mazzata per il lavoro giovanile: tra i 15 e i 24 anni, cala del 4,4 per cento l'occupazione, cresce del 3,9 la disoccupazione (al 39,2 per cento) e dello 0,4 il tasso degli inattivi. Chi vuole un impiego non lo trova più e in 15 mila hanno smesso di cercarlo. A meno di 25 anni. Nell'ultimo anno l'occupazione in questa fascia d'età è cresciuta solo dell'1 per cento, generando appena 9 mila posti di lavoro. L'onorevole Fregolent, cui il Pd ha affidato il commento dei dai, sostiene che “le statistiche sui giovani devono essere interpretate non come un aumento dei disoccupati ma come lavoratori che, in un contesto di maggiori speranze, abbandonano lo stato di inattività e si rimettono a cercare lavoro”. Se così fosse, l'aumento della disoccupazione sarebbe giustificato da un calo degli inattivi (che a luglio non esiste e nel trimestre è modesto). Senza dimenticare la flessione degli occupati, che poco hanno a che fare con questo balletto di cifre.

Tra i 25 e i 49 anni ci si consola con una flessione decimale nell'ultimo mese. In questa fascia, che costituisce il grosso della forza lavoro italiana, gli occupati sono 145 mila in meno rispetto a un anno fa. La ripresa non c'è. Solo gli over 50 mostrano un andamento positivo (occupazione in crescita dello 0,6 per cento a luglio, dell'1,4 nel trimestre e del 5,4 sull'anno). La vicecapogruppo Pd rivendica di aver migliorato la condizione degli “over 50”, definendoli “i lavoratori più colpiti dalla crisi”. Anche se i numeri dicono che ad aver pagato sono soprattutto i 15-34enni.

Allargando lo sguardo al resto d'Europa, la stasi trova conferme. Secondo l'Eurostat, la disoccupazione italiana (all'11,4 per cento) resta ben oltre la media Ue (8,6). Fanno peggio solo Cipro, Croazia, Spagna e Grecia. La disoccupazione giovanile, al 39,2 per cento, è quasi doppia rispetto alla media dell'area euro. Solo Atene e Madrid ci stanno alle spalle. L'Italia conquista però il primato degli inattivi. Tra il quarto trimestre e del 2015 e il primo del 2016, solo il 12,5 per cento dei disoccupati ha trovato lavoro. Uno su due è rimasto disoccupato e più di uno su tre (il 37,1 per cento) ha smesso di cercare un impiego. Una percentuale di nuovi inattivi da record, doppia rispetto alla media europea, sulla quale pesa anche un'altra storica falla italiana: l'occupazione femminile. Le donne inattive tra maggio e luglio sono 89 mila in meno. Ma luglio registra una brusca frenata: 51 mila occupate in meno e 52 mila inattive in più.

Il mercato del lavoro italiano, al di là degli zero virgola, continua a singhiozzare. Il governo non può permettersi di rinunciare alla decontribuzione (già ridotta) per le nuove assunzioni. Una voce che peserà anche sulla prossima Legge di stabilità.